LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso gli Uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende.
– ricorrente –
contro
S.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Berengario n. 14 presso lo studio dell’Avv. Antonio Apicella che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. Filippo Apicella per procura a margine del controricorso con ricorso incidentale.
– controricorrente/ricorrente incidentale –
per la cassazione della sentenza n. 404/1/14 della Commissione tributaria regionale della Calabria, depositata il 4 marzo 2014.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 novembre 2020 dal relatore Cons. Roberta Crucitti.
RILEVATO
che:
nella controversia originata dall’impugnazione da parte di S.M. di cartella, emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis a seguito di controllo della dichiarazione dell’anno di imposta 2006, per il pagamento di Irpef e Irap, l’Agenzia delle entrate ricorre, articolando due motivi, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Calabria (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.) ne aveva rigettato l’appello avverso la decisione del primo Giudice di accoglimento del ricorso proposto dal contribuente.
Secondo il Giudice di appello il contribuente, a fronte delle generiche deduzioni svolte dall’Ufficio sul criterio della competenza, aveva dimostrato documentalmente che il suo credito verso il Comune di Fuscaldo era oggetto di contestazione innanzi all’Autorità giudiziaria, sicchè l’importo dei ricavi derivanti dal contratto di appalto era incerto sia nell’ammontare che in relazione all’effettiva percezione.
S.M. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale fondato su unico motivo.
Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c. alla trattazione in camera di consiglio, in prossimità della quale il controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1 Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 109 laddove i giudici di merito avevano ritenuto che il mancato incasso di un credito, pur dichiarato dal contribuente, non giustificasse la ripresa a tassazione, mentre, secondo la prospettazione difensiva, la normativa fiscale non consente di traslare il momento impositivo in un esercizio piuttosto che in un altro.
2.Con il secondo motivo – rubricato: violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – la ricorrente deduce l’errore in diritto commesso dalla C.T.R. laddove aveva ritenuto illegittima la cartella perchè il contribuente aveva dimostrato che il suo credito era oggetto di contestazione di fronte all’Autorità giudiziaria, mentre la cartella era stata emessa in quanto il contribuente non aveva versato le imposte dovute sulla base della dichiarazione dallo stesso presentata.
Si trattava, rileva la ricorrente, di somme dichiarate e mai rettificate dal contribuente con la conseguenza che le imposte iscritte a ruolo si riferivano a imponibili certi in quanto dichiarati dallo stesso contribuente.
3.Prima di procedere all’esame dei motivi appare opportuno, al fine di una migliore intelligenza delle questioni rimesse all’esame di questa Corte, riassumere gli aspetti fattuali della vicenda processuale quali risultano, pacificamente (perchè non contestati dalle parti) in atti. A seguito di controllo formale della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2006, l’Amministrazione finanziaria notificò al contribuente cartella, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis chiedendo il pagamento di Irap e Irpef dichiarate ma non versate.
Il contribuente impugnò la cartella deducendo, sin dal primo grado, di essere incorso in un errore nella compilazione del Modello unico 2006, allorchè aveva imputato a detto anno d’imposta “materia imponibile” giuridicamente inesistente, costituita da ricavi di impresa che, sebbene certi nell’an, erano ancora privi del carattere della determinatezza o determinabilità, come richiesto dall’art. 109, comma 1, u.p., ai fini della loro imputazione a altro periodo di imposta. In particolare e, in sintesi, si trattava di somme relative a corrispettivi per un contratto di appalto che il contribuente, aveva, nel loro importo, unilateralmente, determinato e fatturato ma che la stazione appaltante (Comune di Fuscaldo) non aveva corrisposto e, anzi, contestato, dando vita all’instaurazione di giudizio ancora pendente.
4.Sulla questione, sollevata in controricorso relativa alla possibilità per il contribuente di rettificare la dichiarazione già presentata, sono intervenute le Sezioni Unite di questa Corte le quali, con la sentenza n. 13378 del 30/06/2016, componendo un contrasto insorto, hanno affermato, in via generale, che “la possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all’art. 2, comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa ai periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l’amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43. Il rimborso dei versamenti diretti di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa”.
La Corte, tuttavia, ha anche precisato che “il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2”, e dall’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 “in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sul’obbligazione tributaria”.
L’arresto delle Sezioni Unite, dunque, pone in chiara evidenza che la dichiarazione dei redditi, in quanto dichiarazione di scienza, non è un elemento intangibile ma, di fronte alle richieste del Fisco, è suscettibile di emenda e ritrattazione, sì da influire sulla pretesa dell’erario.
il contribuente, in altri termini, è sempre ammesso, in sede contenziosa, a provare che egli non ha giustificatamente versato la (maggiore) somma pretesa dall’Amministrazione finanziaria con la cartella esattoriale poichè l’originaria dichiarazione era viziata da un errore di fatto o di diritto (e, dunque, il presupposto impositivo non era sussistente), senza che rispetto a tale difesa siano configurabili decadenze di sorta (così, tra le altre, Cass. n. 5728 del 09/03/2018) la quale ha, anche ribadito l’ulteriore principio, per cui nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis spetta al contribuente che “ritratta” la propria dichiarazione fornire la prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., del fatto impeditivo dell’obbligazione tributaria.
5.Alla luce di tali principi, seppur in linea generale e astratta, deve essere riconosciuta al contribuente la possibilità di ritrattare la dichiarazione dei redditi, nella particolare fattispecie ciò non è possibile.
Le circostanze in fatto, addotte dal contribuente e come sopra illustrate, per giunta verificatesi in epoca successiva al momento della compilazione della relativa dichiarazione, non integrano l’errore di fatto o di diritto suscettibile di essere fatto valere quale fatto estintivo della pretesa tributaria. Nella specie, infatti, lo stesso contribuente ha dedotto in giudizio (v.pag.6 del controricorso) di non avere assolto il debito di imposta a causa dell’inadempimento del Comune-Stazione appaltante e l’indicazione contenuta nella dichiarazione appare correttamente formata secondo i criteri di cui all’art. 109 TUIR (esercizio in cui le prestazioni sono state ultimate). Di contro, solo quando all’esito del contenzioso in corso sarà stato determinato l’ammontare dei ricavi di impresa effettivamente spettanti e, nel caso in cui questi, venissero stabiliti in misura inferiore, il contribuente potrà, eventualmente, scomputarli come sopravvenienze passive.
6.Ne consegue, in accoglimento di entrambi i motivi di ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari, ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può essere decisa nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente.
7.L’accoglimento del ricorso e la conseguente cassazione della sentenza impugnata assorbono l’esame dell’unico motivo di ricorso incidentale con il quale il contribuente ha dedotto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, per avere la C.T.R. compensato le spese, adducendo la sussistenza di non meglio precisate “giuste ragioni”.
8. In conclusione, in accoglimento del ricorso principale e assorbito il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata e, decidendo nel merito, il ricorso introduttivo del contribuente va rigettato.
9. La sopravvenienza della soluzione del contrasto giurisprudenziale induce a compensare integralmente tra le parti le spese processuali dei gradi di merito mentre le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico di S.M., soccombente.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal ricorrente.
Compensa integralmente le spese dei gradi di merito.
Condanna il controricorrente alla condanna in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 29 gennaio 2021