LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 292-2020 proposto da:
M.L., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCO BERETTI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BOLOGNA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 2250/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 01/08/2019 r.g.n. 3154/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/09/2020 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.
RILEVATO
CHE:
M.L. cittadino del *****, chiedeva alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis);
la Commissione Territoriale rigettava l’istanza;
avverso tale provvedimento proponeva, ai sensi del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 ricorso dinanzi al Tribunale di Bologna, che ne disponeva il rigetto;
tale ordinanza, appellata dal soccombente, è stata confermata dalla Corte distrettuale;
a fondamento della decisione assunta, la Corte territoriale evidenziava l’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento di tutte le forme di protezione internazionale invocate dal ricorrente, tenuto conto che aveva lasciato il proprio paese per motivi economici e, quanto al permesso di – soggiorno per motivi umanitari, non sussisteva alcuna condizione di vulnerabilità che ne giustificasse il rilascio;
il provvedimento della Corte d’appello è stato impugnato per cassazione con ricorso fondato su due motivi;
il Ministero dell’Interno, non costituito nei termini di legge con controricorso, ha depositato atto di costituzione ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo, si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3;
si censura la pronuncia della Corte di merito, in estrema sintesi, per aver erroneamente applicato la normativa di riferimento nel valutare le conseguenze del rimpatrio del richiedente, omettendo di porre riferimento alle condizioni individuali del soggetto, in rapporto al contesto della complessiva realtà socio-economica politica e di sicurezza del Paese di provenienza; si osserva che le fonti internazionali più accreditate sono concordi nel segnalare il Gambia come un Paese poverissimo – pur se in miglioramento quanto alla situazione politica e sociale – con “molte difficoltà a lasciarsi alle spalle la dittatura”; tale situazione, obiettivata dai summenzionati dati, consente di ritenere che una volta rientrato in patria, il richiedente si troverebbe in una condizione di estrema vulnerabilità idonea a pregiudicare i propri diritti fondamentali;
viene altresì criticata la statuizione relativa al diniego di riconoscimento di una condizione di integrazione in Italia, considerato che il contratto di lavoro in qualità di magazziniere, sebbene a tempo determinato, era stato prorogato da ultimo, sino al giugno 2020; ci si duole quindi che il giudicante abbia omesso dl operare un doveroso confronto fra le condizioni di vita presenti in Gambia e quelle riscontrabili in Italia;
2. con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 ovvero dell’art. 10 Cost., comma 3;
si prospetta la necessità di valutare le conseguenze del rimpatrio del richiedente, alla luce della nuova formulazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e quindi il diritto al rilascio di un permesso per “protezione speciale” come formulato all’esito della novella di cui al D.L. n. 113 del 2018, che va rilasciato nelle ipotesi disciplinate dal D.Lgs. n. 286 del 1998 in caso di motivi di protezione sociale, vittime di violenza domestica, situazioni di vulnerabilità normativamente indicate, calamità naturali, sfruttamento lavorativo;
3. il ricorso, nei suoi articolati profili, è inammissibile per le ragioni di seguito esposte;
in via di premessa occorre rammentare che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018, qui applicabile ratione temporis), costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso (vedi ex plurimis Cass. 15/5/2019 n. 1-3096);
la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve, poi, essere ancorata ad uno scrutinio individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (vedi Cass. 3/4/2019 n. 9304);
il relativo giudizio deve quindi fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass. 23/2/2018 n. 4455);
a siffatti principi si sono conformati i giudici del merito, i quali hanno rimarcato che dal ricorrente non era stata allegata alcuna effettiva situazione di vulnerabilità che potesse consentire di formulare in relazione all’eventuale rimpatrio, una prognosi di privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale;
del resto, è circostanza rimasta incontroversa, che la ragione che ha indotto il richiedente ad espatriare è di tipo economico e detta statuizione, integrante autonoma ratio decidendi, non è stata oggetto di impugnazione da parte ricorrente così determinandosi l’inammissibilità, per difetto di interesse, del ricorso per cassazione (vedi per tutte Cass. 7/9/2017, n. 20910; Cass. 3/5/2019, n. 11706);
la qualità soggettiva di migrante economico è comunque sufficiente ad escludere in radice la concedibilità della protezione umanitaria – così come della protezione internazionale – in quanto i c.d. migranti economici possono avere ingresso nel nostro Paese attraverso l’applicazione della diversa disciplina basata sulla periodica regolamentazione dei flussi migratori (vedi, per tutte in motivazione, Cass. 17/5/2019 n. 13444);
non senza considerare che, ratione temporis, non rinviene applicazione nello specifico, la disciplina di cui al D.L. n. 113 del 2018, invocata a sostegno del secondo motivo di doglianza;
in base alla pronuncia delle Sezioni Unite del 13/11/2019 n. 29460, che ha avallato l’interpretazione maggioritaria inaugurata da Sez. 1, n. 4890 del 19/02/2019, in tema di successione delle leggi nel tempo in materia di protezione umanitaria, il diritto alla protezione, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissone dei diritti umani fondamentali e la domanda volta ad ottenere il relativo permesso attrae il regime normativo applicabile; ne consegue che la normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito con L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova -applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge; tali domande vanno, pertanto, scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione (vedi Cass. 30/3/2020 n. 7599);
in definitiva, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, in quanto il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede;
si dà infine atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, quanto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ivi previsto, se dovuto giacchè le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale non sono annoverate tra quelle esentate dal contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 9 e 10 (vedi ex aliis, Cass. 8/2/2017 n. 3305).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 9 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2021