Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.21082 del 22/07/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2750/2020 proposto da:

A.H., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO CENTORE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI SIRACUSA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 367/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 03/06/2019 R.G.N. 209/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.

RILEVATO

Che:

1. con sentenza n. 367/2019 la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato il rigetto della domanda di A.H., cittadino del Pakistan, di riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria;

1.1. il giudice di appello ha preliminarmente rilevato che l’appellante non aveva ottemperato all’ordinanza con la quale era stato disposta a cura del procuratore del ricorrente l’integrazione degli atti di causa e precisamente del provvedimento della commissione territoriale e del verbale di audizione del ricorrente, allegati al ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, non presenti nel fascicolo, e osservato che tanto si rifletteva sull’osservanza dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c.; ha quindi osservato che: la mancata produzione della documentazione non consentiva di correlare l’espatrio a persecuzioni legate a motivazioni direttamente riconducibili ad aspetti previsti dalla Convenzione di Ginevra; dalle fonti consultate non emergeva una situazione di violenza generalizzata; non sussistevano i presupposti per la protezione umanitaria motivata con riferimento al pregiudizio al quale si sarebbe trovato esposto il richiedente in caso di rientro in Pakistan ed ad una generica condizione di equilibrio conseguita in Italia;

2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso A.H. sulla base di cinque motivi; il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

CONSIDERATO

Che:

1. parte ricorrente, richiamata la vicenda alla base dell’allontanamento dal paese di origine rappresentata, in estrema sintesi, dal timore di ritorsioni da parte dei mujadin che lo credevano un delatore della polizia in relazione al traffico d’armi che gli stessi gestivano nell’area nella quale viveva il richiedente, area posta al confine tra il Pakistan e l’India, e l’analogo timore di essere ritenuto coinvolto in tale traffico dalle forze di polizia, ha formulato i seguenti motivi di ricorso:

2. con il primo motivo ha dedotto nullità della sentenza per error in procedendo denunziando violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato per non avere il giudice di appello pronunziato sulle censure che investivano il mancato riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria;

3. con il secondo motivo ha dedotto omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione fra le parti, rappresentato dalla situazione di insicurezza e instabilità in cui versa il Kashimir, sua regione di provenienza;

4. con il terzo motivo ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in comb. disp. con il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis;

censura la sentenza impugnata sia per la mancata integrale citazione delle fonti consultate sia per essere l’accertamento operato riferito ad una regione diversa – il Punjab – da quella di provenienza il Kashmir;

5. con il quarto motivo ha dedotto omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto non assolto l’onere probatorio a suo carico con riferimento alla mancata integrazione della documentazione; sostiene di avere, nel ricorso in appello, prospettato specifici motivi di vulnerabilità rispetto ai quali denunzia apparenza di motivazione;

6. con il quinto motivo di ricorso ha dedotto violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ratione temporis vigente, in comb. disp. con il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3; violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 e 36 Cost. e dell’art. 8CEDU;

7. il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità; secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, infatti, quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (cfr. tra le altre, Cass. Sez. Un. 22/05/2012 n. 8077; Cass. 28/11/2014 n. 25308; Cass. 21/04/2016 n. 8069); pertanto, in base alla giurisprudenza richiamata, era necessaria la trascrizione delle parti del ricorso in appello nelle quali erano formulate le censure che si assumono non esaminate dal giudice di secondo grado; ciò al fine di consentire al giudice di legittimità la verifica di fondatezza della doglianza articolata sulla base del solo esame del ricorso per cassazione, senza attingere a fonti integrative (Cass. 09/07/2004, n. 12761; Cass. Sez. Un. 02/02/2003, n. 2602; Cass. 30/03/2001, n. 4743);

7.1. parte ricorrente non ha ottemperato a tale onere avendo proceduto ad una trascrizione solo parziale del ricorso in appello; in ogni caso, il motivo è privo di pertinenza con le ragioni della decisione, avendo il giudice di appello espressamente preso in considerazione i presupposti per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), pur essendo pervenuto ad una soluzione giuridicamente non corretta alla stregua di quanto si evidenzierà in relazione ai motivi secondo e terzo;

8. il secondo ed il terzo motivo di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione, sono fondati, con effetto di assorbimento del quarto e quinto motivo;

8.1. il giudice di appello ha escluso il ricorrere di una situazione di violenza generalizzata per effetto di conflitto armato interno e quindi dei presupposti per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), richiamando “i più autorevoli e recenti report”, senza ulteriori specificazioni e facendo riferimento alla relazione Easo del 2018 relativa alla situazione del Punjab; ciò pur avendo dato atto nello storico di lite che il richiedente aveva dichiarato di provenire dalla regione del Kashmir;

8.2. secondo la giurisprudenza di questa Corte il riferimento, operato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, alle fonti informative privilegiate deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità di tale informazione rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione. A tal fine, il giudice di merito è tenuto a indicare l’autorità o l’ente da cui la fonte consultata proviene e la data o l’anno di pubblicazione, in modo da assicurare la verifica del rispetto dei requisiti di precisione e aggiornamento previsti dal richiamato art. 8, comma 3, del predetto D.Lgs., nonché dell’idoneità delle C.O.I. in concreto consultate a quanto prescritto dalla norma da ultimo richiamata (Cass. 11/11/2020, n. 4557; Cass. 27/01/2021, n. 1777);

8.3. il giudice di appello non si è uniformato a tali indicazioni sia perché le fonti alle quali ha dichiarato di attingere sono state evocate in termini riassuntivi e generici senza alcuna precisazione circa l’ente o l’autorità di provenienza e la data e l’anno di pubblicazione sia perché le informazioni tratte dall’unico rapporto citato corredato delle indicazioni prescritte sono dichiaratamente riferite ad una regione diversa – il Punjab – rispetto a quella di provenienza del richiedente – il Kashmir; esse risultano quindi prive di pertinenza in relazione alla situazione che avrebbe dovuto essere accertata;

10. al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo e accoglie il secondo e il terzo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Caltanissetta in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021

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