Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.239 del 12/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23652-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

e contro

IMMOBILIARE F. DI F.M. & C SAS;

– intimata –

avverso la sentenza n. 347/2014 della COMM.TRIB.REG. di GENOVA, depositata il 20/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/09/2020 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.

RITENUTO

CHE:

Immobiliare F. s.a.s. di F.M. & C. impugnò l’avviso di liquidazione per imposta di registro e sanzioni, relativamente alla sentenza civile n. 137/2009 del Tribunale di Chiavari, e l’adita Commissione tributaria provinciale di Genova, accolse il ricorso, con decisione successivamente confermata, a seguito di appello della Agenzia delle Entrate, dalla Commissione tributaria regionale della Liguria, con la sentenza n. 347, pronunciata il 5/5/2014 e depositata il 20/3/2014.

Il giudice di secondo grado rilevò che la motivazione dell’atto impositivo era carente “essendo in esso indicati solamente la data e il numero della sentenza omettendo invece di individuare l’Autorità Giudiziaria che ha pronunciato la sentenza oggetto di imposta di registro, mancando l’indicazione della base imponibile e l’aliquota applicata”, ed inoltre evidenziò anche “la mancata allegazione della sentenza civile cui l’avviso di liquidazione fa riferimento”.

L’Agenzia delle Entrate ricorre, con un motivo, per la cassazione della sentenza mentre l’intimata contribuente non si è costituita.

CONSIDERATO

CHE:

La ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in particolare, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54, comma 5, giacchè la CTR ha erroneamente considerato non assolto l’obbligo di motivazione dell’avviso di liquidazione in oggetto ancorchè esso riportasse oltre agli estremi della sentenza (numero e data dell’emissione), l’indicazione delle parti del relativo giudizio civile svoltosi innanzi al Tribunale di Chiavari, essendo il presupposto dell’atto impositivo certamente conosciuto o conoscibile dalla contribuente, la quale aveva partecipato alla causa definita con la sentenza tassata.

La censura è infondata e non merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

Appare pacifico tra le parti, come peraltro riportato nel ricorso dell’Agenzia delle Entrate, che l’avviso di liquidazione de quo contiene la richiesta di pagamento della imposta di registro dovuta dalla odierna intimata “in relazione alla sentenza civile n. 137/2009 del 13/02/09 emesso dal Tribunale e per i seguenti motivi: Rep. N. 207 Registrazione sentenza Immobiliare F. s.a.s. Portofino Servizi s.a.s.”.

Orbene, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37 stabilisce che gli atti dell’Autorità giudiziaria in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, il giudizio sono “soggetti all’imposta anche se al momento della registrazione siano stati impugnati o siano ancora impugnabili, salvo conguaglio o rimborso in base a successiva sentenza passata in giudicato”.

Ciò che rileva, infatti, ai fini dell’applicazione dell’imposta è l’esecutività dell’atto e non la sua esecuzione in concreto, in quanto essa colpisce la manifestazione della capacità contributiva indipendentemente dalla volontà del contribuente di procedere all’esecuzione del titolo.

La registrazione deve essere effettuata in termine fisso.

L’Ufficio finanziario, ricevuto l’atto da sottoporre a registrazione – ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 10, lett. c), “La registrazione deve avvenire da parte dei cancellieri e/o segretari entro 5 giorni dalla pubblicazione” -, provvede a liquidare l’imposta dovuta, e per compiere la necessaria operazione aritmetica individua sia la base imponibile, cioè il valore economico dell’atto da tassare, sia l’aliquota applicabile, cioè la misura percentuale di incidenza del tributo.

Al fine di determinare la base imponibile occorre guardare agli effetti prodotti dall’atto e questa Corte ha avuto modo di affermare il principio “secondo cui quella di registro è imposta “d’atto” comporta, nel caso in cui l’atto da registrare sia una sentenza, che per stabilire i presupposti e i criteri della tassazione occorra fare riferimento al contenuto ed agli effetti che emergono dalla sentenza stessa, senza possibilità di utilizzare elementi ad essa estranei nè di ricercare contenuti diversi da quelli Lui si sia formato il giudicato” (Cass. n. 19247/2012; Corte Cost. n. 158/2020, che ha riaffermato la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro).

Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, comma 4, attraverso un rinvio per relationem, rende applicabili ai provvedimenti giurisdizionali gli stessi criteri di computo della base imponibile previsti per gli altri tipi di atti (pubblici e privati) che producono analoghi effetti giuridici.

Le aliquote sono invece stabilite dall’art. 8, Tariffa, parte I, in relazione a categorie omogenee di atti giudiziari ed al contenuto degli stessi.

Ciò detto, il giudice di appello ha ritenuto inadeguata la motivazione dell’atto impugnato essendo indicanti soltanto la data ed il numero della sentenza civile oggetto di registrazione, neppure allegata, nonchè “mancando l’indicazione della base imponibile e l’aliquota applicata”, stante quindi l’impossibilità di considerare adempiuto, anche solo per relationem, l’obbligo motivazionale gravante sull’Agenzia delle Entrate.

Secondo il giudice di appello, è stata così impedita alla società contribuente la possibilità di ricavare dal contenuto intrinseco del provvedimento giudiziario, e dalle sue statuizioni, gli elementi, anche matematici, posti alla base della operata liquidazione dell’imposta di registro, al fine di esercitare il diritto di difesa.

Si tratta, a ben vedere, di affermazione non adeguatamente contrastata dalla difesa erariale, che insiste piuttosto sul tenore letterale del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54, comma 5, (“Nell’avviso devono essere indicati gli estremi dell’atto da registrare o il fatto da denunciare e la somma da pagare”).

Ritiene il Collegio di dover fare proprio l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità, che va progressivamente consolidandosi, secondo il quale è del tutto indifferente, ai fini qui considerati, che gli elementi (matematici) da porre a base della liquidazione dell’imposta di registro siano desumibili direttamente dalla motivazione dell’atto impositivo, ovvero indirettamente dal contenuto di un diverso atto da questo richiamato, seppure non allegato, allorchè si tratti di un atto – nella specie la sentenza del Tribunale di Chiavari – conosciuto o comunque conoscibile dal contribuente.

Questa Corte ha affermato che se le indicazioni di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54, comma 4, risultano riportate nell’atto, tanto basta ai fini della motivazione dell’avviso di liquidazione, “non essendo neanche necessario allegare agli atti la sentenza o il suo contenuto essenziale ai fini del pagamento dell’imposta di registro, trattandosi di pronuncia resa a seguito di giudizio che ha visto i ricorrenti quali parti in causa, trattandosi di provvedimento quindi conosciuto dalle parti, non potendosi ravvisare alcuna violazione del diritto di difesa tutelato dalla L. n. 212 del 2000, art. 7 (Statuto dei diritti del contribuente)” (Cass. n. 24098/2014).

I principi enunciati dalla Corte sono all’evidenza applicabili al caso di specie proprio perchè la sentenza del tribunale ligure soggetta ad imposta di registro era atto conosciuto o conoscibile dalla Immobiliare F. s.a.s. di F.M. & C., in quanto parte del relativo giudizio, intentato contro Portofino Servizi s.a.s.., nè la odierna controricorrente ha mai dedotto di avere avuto con quest’ultima società ulteriori contenziosi.

Siffatta interpretazione, inoltre, è in sintonia con il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 2-bis, seconda parte, (quale introdotto dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, art. 4, comma 1), secondo il quale, in relazione al contenuto dell’avviso di rettifica e di liquidazione per l’imposta di registro su atti aventi ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari “se la motivazione fa riferimento ad un altro atto non conosciuto nè ricevuto dal contribuente, questo deve essere allegato all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale”.

Ancora, in fattispecie riguardante avviso di liquidazione per “imposta di registro su decreto ingiuntivo individuato chiaramente con data, numero e giudice emittente” la Corte ha affermato che il giudice di secondo grado aveva “correttamente ritenuto che la società contribuente, la quale aveva chiesto ed ottenuto il decreto ingiuntivo, fosse consapevole di dover corrispondere all’Agenzia delle Entrate l’imposta di registro a norma del D.P.R. n. 131 del 1986 e più precisamente in base all’art. 37 del TUIR che prevede la registrazione di tutti gli atti dell’autorità giudiziaria, compresi i decreti ingiuntivi” (Cass. n. 1696/2020).

I medesimi principi hanno trovato applicazione in fattispecie riguardante un avviso di liquidazione per imposta di registro su verbale di conciliazione giudiziale sottoscritto dai medesimi contribuenti, in quanto “Il fatto (…) che l’avviso non rechi in allegato il verbale di conciliazione non è di per sè rilevante. L’obbligo di motivazione non può essere inteso in senso formalistico talchè esso non riguarda atti o documenti conosciuti dal contribuente. Tanto meno riguarda il verbale di conciliazione, atto, non solo conosciuto, ma redatto dal contribuente.” (Cass. n. 13402/2020).

La Corte ha poi rimarcato che “questa esegesi è coerente con il disposto della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 1, secondo cui i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al “principio della collaborazione e della buona fede”. Invero, l’obbligo per l’amministrazione finanziaria di comunicare, in allegato all’avviso di liquidazione, un atto già noto al contribuente integrerebbe un adempimento superfluo ed ultroneo, che, da un lato, determinerebbe un eccessivo aggravamento degli oneri connessi all’esercizio della potestà impositiva e, dall’altro, non varrebbe a fornire elementi utili e significativi per la tutela del diritto di difesa nei confronti della pretesa tributaria” (Cass. n. 21713/2020).

Nella sopra richiamata decisione è stato opportunamente rimarcato che “la mera allegazione della sentenza civile può essere talora insufficiente ad integrare il contenuto dell’avviso di liquidazione, come nel caso in cui l’elevato grado di complessità delle statuizioni giudiziali non assicuri un’agevole comprensione in ordine alle modalità di individuazione della base imponibile ed ai criteri di calcolo dell’imposta”.

Ed è alla luce di quanto innanzi esposto che va rettamente intesa la portata del principio, contenuto in altre pronunce di questa Corte, secondo le quali, in tema di imposta di registro, l’avviso di liquidazione emesso ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54, comma 5, che indichi soltanto la data e il numero della sentenza civile oggetto della registrazione, senza allegarla, sia da considerare illegittimo, per difetto di motivazione, “in quanto l’obbligo di allegazione, previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 7 mira a garantire al contribuente il pieno ed immediato esercizio delle sue facoltà difensive, laddove, in mancanza, egli sarebbe costretto ad una attività di ricerca, che comprimerebbe illegittimamente il termine a sua disposizione per impugnare” (Cass. n. 18532/2010; n. 12468/2015; n. 29402/2017).

Vero è, infatti, che la valutazione da parte del giudice di merito del concreto assolvimento dell’obbligo di motivazione gravante sull’Amministrazione finanziaria non si esaurisce nella mera verifica dell’allegazione all’avviso della sentenza civile assoggettata all’imposta di registro, trattandosi di atto che, per un verso, si presume conosciuto o comunque conoscibile dal contribuente, e che, per altro verso, può essere caratterizzato, sotto il profilo del contenuto informativo che qui interessa, dai più vari enunciati.

Essa, piuttosto, involge la necessità di operare una complessiva valutazione di sufficienza circa l’indicazione degli elementi essenziali (base imponibile e aliquota), anche matematici, sui quali si fonda la liquidazione dell’imposta, sia che tali elementi siano immediatamente riportati nell’avviso impugnato, sia che essi siano desumibili dal provvedimento giudiziario (sentenza, ordinanza, decreto) richiamato nell’atto impositivo, anche se a quest’ultimo non materialmente allegato, purchè in entrambi i casi si tratti di un corredo di informazioni che integri, sia pure per relationem, una motivazione dell’atto impositivo adeguata, secondo le previsioni dello Statuto dei diritti del contribuente (vedi l’art. 7), delimitando l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, nella quale non è data alcuna possibilità di integrazione, e quindi consentendo al contribuente l’esercizio del diritto di difesa.

La Corte ha già avuto modo di affermare, sia pure in relazione ad altro tributo, che, “In tema di riscossione tributaria, la necessità di specifica motivazione dell’avviso di liquidazione emesso non si traduce nel mero richiamo degli atti prodromici (nella specie, della sentenza divenuta definitiva), ma richiede anche la determinazione del tributo dovuto e l’indicazione degli elementi matematici posti alla base di tale quantificazione onde consentire al contribuente la verifica della correttezza del calcolo operato dall’Amministrazione finanziaria.” (Cass. n. 24220/2016, in fattispecie nella quale il contribuente non era stato posto in condizione di verificare la correttezza del calcolo operato dall’Ufficio in quanto mancava l’indicazione di quali fossero gli immobili da considerare, tra i numerosi che costituivano oggetto dell’atto sottoposto ad imposizione, ai fini dell’imposta (Invim) e l’aliquota applicata in relazione a ciascuno di essi, essendo necessario, a tal fine, che l’atto stesso contenga gli elementi essenziali, nella specie, l’indicazione delle aliquote applicate, tenuto conto del valore iniziale e del valore finale di ciascun bene).

Illegittimo è stato ritenuto l’avviso di liquidazione che “non riporta i presupposti normativi della pretesa impositiva (…) Il solo riferimento al D.P.R. n. 131 del 1986, senza precisa indicazione dell’articolo applicato, non basta a soddisfare l’obbligo di motivazione perchè detto riferimento non consente di individuare con chiarezza in base a quale disposizione la pretesa impositiva è stata avanzata. L’avviso manca anche di riportare l’aliquota dell’imposta” (Cass. n. 13402/2020, in fattispecie relativa a conciliazione giudiziale sottoscritta dai contribuenti in forza della quale la controparte si era obbligata alla restituzione di una somma ricevuta a titolo di caparra confirmatoria in base a contratto risolto con il medesimo verbale di conciliazione).

La Corte ha pure evidenziato che “L’avviso di accertamento sia delle imposte dirette sia di quelle indirette deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione dell’imponibile, dell’aliquota applicata e dell’imposta liquidata, nonchè dei criteri richiamati ai fini della rettifica” e quindi che deve ritenersi carente la motivazione dell’avviso di liquidazione “priva della indicazione dell’aliquota dell’imposta applicata e della indicazione della base imponibile” (Cass. 13402/2020 cit., in fattispecie relativa a sentenza di divisione).

Proprio facendo applicazione dei medesimi principi, la Corte ha ritenuto invece sufficiente “il mero riferimento al numero ed alla data della sentenza civile nell’avviso di liquidazione”, in fattispecie relativa a sentenza civile che, con riguardo “all’articolazione del dispositivo nel duplice capo di condanna al pagamento a diverso titolo della medesima somma di denaro (per capitale ed accessori)”, mediante operazione matematica assicurava “al contribuente l’agevole intellegibilità dei valori imponibili, delle aliquote applicate e dell’imposta liquidata” (Cass. 21713/2020 cit.).

Ancora, con riguardo alla tassazione del verbale di conciliazione intervenuto in un giudizio di divisione immobiliare, tra società e soci, nel quale si discuteva dell’applicabilità dell’aliquota degli atti di divisione, e non quella della vendita, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 34, la Corte ha osservato che “Nella specie, per quanto scarna, la motivazione dell’avviso raggiunge lo scopo, poichè qualifica e tassa il negozio divisorio come “trasferimento”, così definendo la pretesa tributaria in punto di aliquota e sul punto attivando la difesa del contribuente” (Cass. n. 17512/2017).

In conclusione, l’accertamento della adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento non dipende soltanto dagli elementi in esso esposti, ma anche da quelli contenuti nel richiamato provvedimento giudiziario tassato, in quanto destinanti ad integrarsi reciprocamente, ai fini qui considerati, anche se il provvedimento non risulti materialmente allegato, in quanto atto conosciuto o conoscibile dal contribuente.

Assume, allora, rilievo decisivo la circostanza che il contenuto delle informazioni fornite al contribuente sia tale da garantire la conoscenza dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa fiscale, e che si tratti di informazioni agevolmente intellegibili, valutazione che non può prescindere dalla maggiore o minore complessità delle statuizioni giudiziali, avuto riguardo agli effetti giuridici prodotti dal provvedimento, ai quali occorre fare riferimento per determinare il valore economico da tassare (base imponibile) e la misura percentuale di incidenza del tributo (aliquota), elementi tutti che confluiscono nella operazione matematica di liquidazione dell’imposta di registro dovuta.

Si tratta di valutazione che, indubbiamente, presenta profili di delicatezza, e che deve tenere conto dell’estrema varietà topologica degli atti dell’autorità giudiziaria e degli altri atti di formazione giudiziale soggetti a registrazione (solo a titolo di esempio, atti recanti 7asferimento di diritti reali, provvedimenti di aggiudicazione e di assegnazione, sentenze di usucapione o che subordinano un trasferimento immobiliare al pagamento di un prezzo, atti recanti una condanna, atti recanti un accertamento, atti dell’autorità giudiziaria non, recanti un trasferimento, una condanna o un accertamento, atti che pronunciano la nullità, l’annullamento, la risoluzione, atti dell’autorità giudiziaria inerenti la separazione coniugale o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, atti dell’autorità giudiziaria recanti una omologazione), delle eventuali difficoltà di interpretazione dell’atto tassato circa la natura e portata delle statuizioni, da effettuarsi sulla base del dispositivo e della motivazione, nonchè della molteplicità delle voci tariffarie (cfr. Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986) che individuano i vari atti, talora, in base al tipo di effetti che sono idonei a produrre, talaltra, menzionandoli singolarmente con il rispettivo nomen iuris, e che possono richiedere esplicite indicazioni da parte dell’Ufficio impositore.

Il progressivo consolidarsi della giurisprudenza richiamata giustifica la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021

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