LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –
Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28659-2015 proposto da:
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI, 11, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE ESCALAR, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3929/2015 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di SALERNO, depositata il 29/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/09/2020 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.
RITENUTO
CHE:
Con sentenza n. 3929/15, depositata il 29 aprile 2015, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello, proposto da BNL S.p.A., avverso la sentenza n. 291/18/12 della CTP di Salerno, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite.
La contribuente aveva impugnato l’avviso di liquidazione con cui era stato richiesto il pagamento in misura proporzionale, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, dell’imposta di registro dovuta in relazione ad una sentenza di condanna in solido, di un correntista e dei suoi fideiussori, alla restituzione di un finanziamento, con relativi interessi, in favore della Banca, lamentando il difetto di motivazione dell’atto impositivo, per mancata allegazione della sentenza del Tribunale di Salerno, e deducendo nel merito l’applicazione dell’imposta in misura fissa, avendo la condanna ad oggetto corrispettivi soggetti ad IVA, quali lo scoperto di un conto corrente bancario.
La CTR, confermando la sentenza di primo grado, affermava la legittimità dell’avviso essendo l’imposta di registro correttamente applicata in misura proporzionale, in quanto le prestazioni avanzate nei confronti dei fideiussori non erano soggette ad IVA.
Avverso la sentenza di appello, la Banca ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati con memoria; l’Agenzia ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO
CHE:
Con il primo motivo di ricorso la Banca denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7,L. n. 241 del 1990, art. 3, avendo la CTR errato nel ritenere sufficiente la motivazione dell’avviso di liquidazione impugnato, nonostante non fosse allo stesso allegata la sentenza del tribunale, nè riprodotto nell’atto il suo contenuto essenziale, mancando, altresì, qualsiasi indicazione circa i presupposti di fatto e di diritto dell’imposta di registro richiesta in misura proporzionale.
Con il secondo motivo la contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 37 e 40, art. 8, nota II, della Tariffa allegata al medesimo D.P.R., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 1, n. 1 avendo la CTR errato nel ritenere soggetta ad imposta proporzionale la sentenza di condanna del debitore principale, ancorchè in solido con i fideiussori, al pagamento di corrispettivi soggetti ad IVA.
OSSERVA CHE:
Il primo motivo di ricorso risulta infondato.
Questa Corte ha affermato che se le indicazioni di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 54, comma 4, risultano riportate nell’atto, tanto basta ai fini della motivazione dell’avviso di liquidazione, “non essendo neanche necessario allegare agli atti la sentenza o il suo contenuto essenziale ai fini del pagamento dell’imposta di registro, trattandosi di pronuncia resa a seguito di giudizio che ha visto i ricorrenti quali parti in causa, trattandosi di provvedimento quindi conosciuto dalle parti, non potendosi ravvisare alcuna violazione del diritto di difesa tutelato dalla L. n. 212 del 2020. Art. 7 (Statuto dei diritti del contribuente)” (Cass. n. 24098/2014).
I principi sopra enunciati, di recente ribaditi dalla Corte (Cass. n. 21713/2020), sono all’evidenza applicabili al caso di specie proprio perchè la sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro, pronunciata dal tribunale campano e soggetta ad imposta di registro, era atto conosciuto o conoscibile dalla Banca, in quanto parte del relativo giudizio, intentato (con richiesta monitoria) contro la correntista, Tecnologie Chimiche Avanzate s.r.l., ed i fideiussori, L.V., D.G., B.L. e F.F..
Risultano, inoltre, agevolmente ricavabili (il ricorso riporta a pag. 4 la motivazione dell’atto impositivo), mediante semplice operazione matematica, valori imponibili ed aliquote applicate, nonchè l’imposta liquidata, oltre alle sanzioni ed agli interessi di mora.
Il secondo motivo di ricorso risulta invece fondato.
L’avviso di liquidazione impugnato ha ad oggetto una richiesta di pagamento dell’imposta di registro, determinata in misura proporzionale ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, rispetto ad una sentenza di condanna, emessa sia nei confronti del debitore principale, che dei fideiussori in solido, alla restituzione di un finanziamento reso nell’ambito di un rapporto di conto corrente, pacificamente soggetto ad IVA, seppure in regime di esenzione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10.
L’art. 8 cit. assoggetta ad imposta di registro gli atti dell’Autorità Giudiziaria ordinaria e speciale in materia di controversie civili che definiscono, anche parzialmente, un giudizio, prevedendo fattispecie in cui l’imposta è dovuta in misura fissa ed altre in cui è dovuta in misura proporzionale.
Ai sensi della lett. b) sono soggetti ad un imposta proporzionale del 3% quelli “recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”; recita poi la nota II allo stesso articolo: “Gli atti di cui al comma 1, lett. b), e al comma 1-bis non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del testo unico”.
Secondo il richiamato art. 40, comma 1, “Per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa”.
Inoltre, l’art. 5, comma 2, stabilisce che “le scritture private non autenticate sono soggette a registrazione in caso d’uso se tutte le disposizioni in esse contemplate sono relative ad operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto”.
Ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 1 si considerano operazioni imponibili ai fini IVA le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti di qualunque soggetto, nell’esercizio di arti e professioni.
Dal quadro normativo innanzi delineato risulta che le operazioni relative ad atti soggetti all’imposta sul valore aggiunto scontano l’imposta di registro in misura fissa e vanno registrati solo in caso d’uso o volontariamente.
Emerge, altresì, che il principio di alternatività tra le due imposte non è condizionato, nè subordinato all’effettiva applicazione dell’IVA sull’operazione considerata, ma è sufficiente che essa rientri tra le operazioni rilevanti ai fini IVA. Restano quindi assoggettate all’imposta di registro (in misura proporzionale) solo le operazioni non soggette a IVA (c.d. escluse) per carenza del requisito oggettivo (artt. 2 e 3) e di quello soggettivo (artt. 4 e 5) previsti dal D.P.R. n. 633 del 1972.
Tale principio costituisce espressione e attuazione del divieto della doppia imposizione che ricorre allorchè uno stesso soggetto è destinatario di più imposte relative al medesimo presupposto e per lo stesso periodo di imposta, divieto che, a sua volta, costituisce esplicazione del principio costituzionale della capacità contributiva (art. 53 Cost.).
L’alternatività tra le due imposte non è connessa solo alla circostanza che un atto sottoposto a registrazione sia effettivamente soggetto ad IVA, ma opera anche quando l’operazione rientri comunque nel campo di applicazione di tale imposta, anche se in concreto non dovuta perchè si tratta di operazioni non imponibili o esenti, sicchè lo scopo del principio in questione è non solo quello di carattere economico di impedire la doppia imposizione, ma anche quello di soddisfare l’esigenza di evitare interferenze applicative tra le due imposte in relazione ad una medesima operazione.
Il principio di alternatività, per quanto qui d’interesse, opera anche con riguardo ai provvedimenti dell’autorità giudiziaria, per effetto della disposizione contenuta nella nota II all’art. 8 della Tariffa parte prima allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.
Detta nota stabilisce infatti che gli atti di cui all’art. 8, comma 1, lett. b) e cioè quelli “recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura”, nonchè quelli di cui al comma 1 bis (cioè gli atti del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali che definiscono, anche parzialmente, il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi esecutivi, che recano condanna al pagamento di somme di danaro diverse dalle spese processuali) “non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del Testo unico”.
Viene in tal modo esclusa l’applicazione dell’imposta di registro in misura proporzionale allorchè la condanna sia volta ad assicurare l’adempimento di obbligazioni nascenti da un rapporto soggetto ad IVA.
La corretta applicazione del principio quindi presuppone che in presenza della registrazione di una sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro venga verificato, preliminarmente, se quelle stesse somme si riferiscano o meno a prestazioni di beni o servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto.
Nel caso in esame, non è in discussione il fatto che la sentenza avesse ad oggetto un’operazione di finanziamento connessa ad un “rapporto di conto corrente”, con “due collegati conti anticipi”, soggetto ad IVA, quale “prestazioni di servizi” D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 3, comma 2, n. 3, ancorchè poi esentata dall’imposta stessa dal successivo art. 10, n. 1, esenzione che, secondo consolidata giurisprudenza, non esclude l’applicazione del principio dell’alternatività imposta di registro-IVA (Corte Cost. 14 dicembre 2014, n. 279 e 13 luglio 2017, n. 177 e Cass. n. 29385 del 2019; n. 24268 del 2015; n. 9403 del 2007).
In fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella in disamina, “resa complessa dalla presenza di fideiussori” e quindi di “più rapporti, ciascuno autonomo e scindibile: quello fra creditore e debitore principale, quello fra creditore e fideiussore, quello fra fideiussore e debitore”, la Corte ha avuto modo di esprimere il seguente principio di diritto: “In tema di imposta di registro sugli atti giudiziari, alla sentenza di condanna ottenuta dal creditore sia nei confronti del debitore inadempiente che del fideiussore per il recupero di somme soggette ad IVA, non è applicabile l’imposta di registro in misura proporzionale bensì, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), nota II della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, l’imposta in misura fissa, senza che assuma rilievo se la stessa sia emessa contro il solo debitore principale, il solo fideiussore o entrambi, non soggetti IVA.” (Cass. n. 21702 del 2020).
Siffatta pronuncia, cui il Collegio intende dare continuità, ha opportunamente posto in evidenza come, nella specie, debba “trovare… applicazione altro principio acquisito, e mai smentito, secondo cui “La registrazione del decreto ingiuntivo esecutivo ottenuto dal creditore per il pagamento di somme assoggettate ad I.V.A. gode, giusta il principio dell’alternatività previsto dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40 dell’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa. Il dato secondo cui l’ingiunzione sia emessa contro il solo debitore principale, il fideiussore o entrambi, non soggetti I.V.A. non assume rilievo” (Vedi Cass. n. 9390 del 2007; n. 16098 del 2000; n. 3572 del 1998; n. 9007 del 1992)”.
E si tratta di principio elaborato, come pure confermato da un recente arresto delle Sezioni Unite (sentenza n. 18520/2019), proprio con riferimento “all’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa al decreto ingiuntivo ottenuto non già dal garante, bensì creditore soggetto iva nei confronti del debitore principale, del garante o di entrambi in relazione all’unica operazione” (in motivazione Cass. n. 18520 del 2019)”.
In tali ipotesi, elemento dirimente ai fini impositivi è il conseguimento da parte del creditore, soggetto IVA, di un unico titolo esecutivo per il soddisfacimento del proprio diritto, “a prescindere dal fatto che tale diritto trovi la sua fonte sia nel rapporto principale con il debitore che in quello di garanzia”, per cui appare “decisiva la posizione del creditore, dato che, come si è visto, la tassazione investe il titolo esecutivo dallo stesso ottenuto: se il creditore ha la qualità di “soggetto-IVA”, e se l’adempimento reclamato è riconducibile nell’ambito di una fattispecie che implichi l’insorgenza del suo obbligo di pagare l’IVA, come appunto si verifica per chi conceda un prestito di denaro di cui ha diritto alla restituzione, il provvedimento giudiziale assume la consistenza di condanna ad un pagamento sottoposto all’IVA medesima.” (Cass. 21702 del 2020 citata.:”‘.13 anche Cass. n. 1942 del 2001; n. 2718 del 2008).
Per le suesposte considerazioni, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata cassata e, poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione della causa nel merito (ex art. 384 c.p.c.) mediante l’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente.
Le spese del giudizio di legittimità vengono poste a carico dell’Agenzia delle Entrate, con compensazione delle spese dei gradi di merito, attesa la controvertibilità e novità della fattispecie esaminata.
PQM
La Corte, accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente. Condanna la controricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.300,00 per compensi professionali, oltre spese generali ed accessori di legge. Compensa le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, il 29 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021