LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –
Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25831-2016 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
MILANO ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 6, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO SCIUTO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO SCOFONE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1814/2016 della COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositata il 31/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/09/2020 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI.
RITENUTO
che:
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, avverso la sentenza della CTR della Lombardia, indicata in epigrafe, che respingendo l’appello erariale aveva confermato la decisione della CTP di Milano, la quale aveva accolto il ricorso di Milano ASSICURAZIONI s.p.a. e dichiarato illegittimo l’avviso di liquidazione in misura proporzionale dell’imposta di registro, in relazione al decreto ingiuntivo ottenuto da detta società nei confronti di Palma di Seta s.r.l., e di altri soggetti, in forza di fidejussione prestata dalla compagnia assicuratrice a garanzia dell’esatto adempimento, da parte del debitore principale, delle obbligazioni assunte verso l’Agenzia delle entrate, creditore beneficiario, rapporto pacificamente soggetto ad IVA..
Secondo il giudice di appello, l’azione di regresso esercitata dal fidejussore escusso (Milano Assicurazioni) partecipa della stessa natura del credito soddisfatto per cui il fideiussore, il quale, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38-bis in qualità di garante del diritto, spettante all’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto, di ripetere le somme risultanti a credito del contribuente in sede di dichiarazione annuale, abbia pagato quanto preteso dall’amministrazione finanziaria in via di ripetizione a seguito dell’accertamento operato, è surrogato nei diritti e nelle azioni di cui godeva il creditore garantito anche nei confronti del cessionario dell’originario (ed infondato) credito di rimborso.
La compagnia assicurativa, ora UnipolSai Assicurazioni s.p.a., resiste con controricorso.
CONSIDERATO
che:
La ricorrente prospetta, con il mezzo d’impugnazione, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 37, e dell’art. 8, comma 1, lett. b, Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. citato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giacchè il giudice di appello ha erroneamente ricondotto ad unità il pagamento per escussione della garanzia, e quello per regresso del fideiussore, senza considerare che il pagamento in regresso del garantito verso il garante previamente escusso (oggetto del decreto ingiuntivo soggetto a imposta di registro) è del tutto distinto da quello afferente l’autonomo rapporto tra il garante ed il beneficiario di una polizza fideiussoria, ed è estraneo al campo di applicazione dell’IVA.
La questione posta dall’Agenzia delle Entrate involge l’interpretazione del disposto dell’art. 8 della Tariffa, Parte Prima, allegato A, D.P.R. n. 131 del 1986, che sottopone a tassazione gli atti dell’autorità giudiziaria in materia civile, compresi i decreti ingiuntivi, distinguendo, tra gli altri, i provvedimenti indicati alla lett. b), recanti “condanna al pagamento di somme o valori o altre prestazioni, o alla consegna di beni di qualsiasi natura”, e della nota II apposta in calce all’art. 8 in esame, la quale prevede che gli atti di cui al comma 1, lett. b), “non sono soggetti all’imposta proporzionale per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del testo unico”.
In particolare, il D.P.R. n. 131 del 1986, all’art. 40, prevede che gli atti sottoposti, anche teoricamente, perchè di fatto esentati, all’IVA non debbono scontare quella proporzionale di registro, e ciò al fine di evitare che siano assoggettate a quest’ultima imposta operazioni già colpite dall’altra imposta, ed in tal senso viene letta la previsione della nota II dell’art. 8, comma 1, lett. b), della Tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, sopra riportata, in relazione al principio dell’alternatività IVA/Registro;
Nella fattispecie in esame, il decreto ingiuntivo assoggettato a registrazione è stato emesso per il pagamento di quanto dovuto dal debitore verso l’erario, a seguito di escussione della garanzia prestata in favore dell’Amministrazione finanziaria dalla odierna intimata, non avendo il soggetto garantito provveduto a restituire a Milano ASSICURAZIONI s.p.a. la somma dalla stessa corrisposta all’amministrazione finanziaria beneficiaria di polizza, ed il giudice di appello anzichè valutare se la somma in questione fosse o meno soggetta ad IVA, facendo pedissequamente propria la tesi sostenuta della contribuente ha ritenuto applicabile al decreto monitorio la tassa fissa di registro, in quanto il rapporto di garanzia, e dunque l’operazione sottostante alla vicenda giudiziaria, è assoggettabile al regime di alternatività IVA/Registro.
Se, tuttavia, la ratio del principio di alternatività tra IVA ed imposta di registro, fissato dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 40 è quella di evitare che siano assoggettate all’imposta proporzionale di registro somme già assoggettate ad IVA e, dunque, di evitare una duplice imposizione, risulta erronea l’applicazione all’atto giudiziario (il decreto monitorio) di condanna alla restituzione di somme, comprensive di interessi, escluso dal campo di applicazione dell’IVA, il regime impositivo proprio delle prestazioni oggetto della polizza fideiussoria, laddove l’unico tributo dovuto è l’imposta proporzionale di registro, che inerisce più che alla ricchezza trasferita, direttamente all’atto giudiziario, preso in considerazione in funzione degli effetti giuridici ed economici che esso è destinato a produrre, trattandosi, pacificamente, di tributo che ha natura d’imposta d’atto (Cass. n. 14649/2005).
In tal senso si era espressa questa Corte in base all’affermazione per cui “il decreto ingiuntivo ottenuto dal garante, che sia stato escusso dall’Agenzia delle entrate per l’inadempimento di un’obbligazione d’imposta da parte del debitore principale, è soggetto a registrazione con aliquota proporzionale al valore della condanna, in quanto il garante, a seguito del pagamento, non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto” (Cass. n. 20262/2015, n. 25702/2015) ed in consapevole dissenso da altro orientamento (Cass. n. 14000/2014, n. 16192/2014. N. 19365/2018) secondo cui, “in tema di imposta di registro, il decreto ingiuntivo ottenuto dal fideiussore nei confronti del debitore inadempiente per il recupero di somme assoggettate ad IVA è soggetto, ai sensi dell’art. 8 della tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, all’applicazione dell’imposta in misura fissa, atteso che la surrogazione del fideiussore al creditore principale comporta una peculiare forma di successione nel credito e la novazione dal lato soggettivo ma non incide sull’identità oggettiva dell’obbligazione, che conserva la sua natura ai fini tributari”, per cui la condanna al pagamento in favore del fideiussore non può che considerarsi avere ad oggetto obbligazioni di natura (anche fiscalmente) identica a quella afferente le obbligazioni garantite” e, pertanto, che “… correttamente il giudice del merito ha ritenuto si debba fare applicazione… dell’art. 8…, per la parte in cui esclude dall’obbligo di registrazione (e perciò dal pagamento della tassa in ragione proporzionale) gli atti dell’autorità giudiziaria concernenti pagamenti di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto (quale è pacificamente l’obbligazione principale del rapporto… dedotto in giudizio)”.
Ebbene, le argomentazioni svolte dal giudice di appello, le quali appaiono riconducibili a detto indirizzo giurisprudenziale, si risolvono, in estrema sintesi, nell’affermazione per cui la condanna al pagamento in favore del fideiussore, insita nel decreto ingiuntivo, non può che considerarsi avere ad oggetto obbligazioni di natura, anche fiscalmente, identica a quella afferente le obbligazioni garantite e, pertanto, che si debba fare applicazione della nota II dell’art. 8 citato, nella parte in cui esclude dall’obbligo di registrazione, e perciò dal pagamento della tassa in ragione proporzionale, gli atti dell’autorità giudiziaria concernenti pagamenti di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, quale è pacificamente l’obbligazione principale del rapporto fideiussorio dedotto in giudizio.
Le Sezioni Unite della Corte (sent. n. 18520/2019) hanno risolto la questione in disamina affermando il seguente principio: “In tema d’imposta di registro, il decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del debitore dal garante che abbia stipulato una polizza fideiussoria e che sia stato escusso dal creditore è soggetto all’imposta con aliquota proporzionale al valore della condanna, in quanto il garante non fa valere corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, ma esercita un’azione di rimborso di quanto versato”.
Non è possibile configurare alcuna operazione complessiva e inscindibile, e ciò perchè la polizza fideiussoria non mira a garantire l’adempimento dell’obbligazione principale, bensì a indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore: la prestazione che ne è oggetto è quindi qualitativamente altra rispetto a quella oggetto dell’obbligazione principale.
Di qui l’autonomia della garanzia, che risponde appunto a funzione indennitaria e non satisfattoria, perchè è volta al trasferimento da un soggetto a un altro del rischio economico derivante dalla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale oppure dall’insussistenza dei presupposti per ottenere il rimborso dell’iva (Cass., sez. un., n. 3947/2010, nonchè, tra le altre, Cass. n. 12228/2019).
Del resto, si era già coerentemente sottolineato, quanto alla polizza fideiussoria prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis che la ratio di essa non sta nella sostituzione e garanzia del versamento dell’imposta, bensì nel rimettere le parti nella posizione anteriore al rimborso (Cass., sez. un., n. 3519/1994; sez. un., 10 ottobre 1996, n. 8592/1996; sez. un., n. 10188/1998 e sulla natura di contratto autonomo di garanzia, tra varie, Cass. n. 7884/2017; n. 20657/2017; n. 9826/2018).
V’è quindi autonomia di titoli e di conseguenti rapporti, che non riescono a configurare un’operazione unitaria e inscindibile, in quanto danno vita a prestazioni diverse, non sempre equivalenti e non necessariamente corrispondenti.
Privo di fondamento risulta il riferimento alla surrogazione che il garante esercita a seguito del pagamento, e che comporterebbe la novazione meramente soggettiva dell’obbligazione originaria, la quale, dunque, permarrebbe oggettivamente identica, anche sul piano tributario, e ciò perchè non ricorre l’istituto della surrogazione, prevista per il pagamento della somma che forma oggetto dell’obbligazione o da parte di un soggetto diverso dall’obbligato (artt. 1201 e 1203 c.c.) o da parte dello stesso obbligato, ma con danaro altrui (art. 1202 c.c.).
In virtù del contratto autonomo di garanzia incorporato nella polizza fideiussoria, difatti, il garante non è tenuto con altri, ma neanche per altri al pagamento del debito, ovviamente, altrui, perchè è tenuto per sè all’adempimento dell’obbligazione che scaturisce dal contratto stipulato e che ha contenuto diverso rispetto a quella originaria del debitore principale. Il rapporto autonomo di garanzia, a differenza della fideiussione, non sorge tra garante e creditore, ma tra garante e debitore, e ha oggetto diverso da quello del debito principale; laddove il creditore, che non è parte, nè in senso sostanziale, nè in senso formale della convenzione, si limita a beneficiarne degli effetti.
Il debitore principale ha dunque diritto di ripetere dal creditore l’eccedenza che sia stata versata dal garante solo se quest’ultimo abbia proposto azione di rivalsa nei suoi confronti, non avendo altrimenti legittimazione sostanziale a richiedere al terzo creditore quanto egli abbia indebitamente percepito non da lui, ma da altro soggetto (n. 18995/2016).
Come di recente rilevato da questa Corte (Cass. n. 8085/2020) “Quando il garante chiede l’emissione del decreto ingiuntivo per ottenere dal debitore principale quanto ha versato al creditore, non fa affatto valere il credito da corrispettivo per la prestazione resa al debitore, in seno al rapporto che a lui lo lega, ossia, come si esprime la L. n. 212 del 2000, art. 8 il costo della garanzia, ma si limita, a ristorarsi di ciò che ha versato, mediante l’esercizio di azione di rivalsa nei confronti del debitore, sicchè il titolo giudiziario ottenuto dal garante, concernendo la somma già da lui versata, non ha ad oggetto il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto, e non dispone una prestazione soggetta a iva, ossia quella di garanzia, già eseguita e verosimilmente remunerata col premio, per conseguenza, non ne riguarda il corrispettivo, ossia il controvalore effettivo del servizio prestato all’utente (giusta, tra varie, Corte giust. 10 novembre 2016, causa C-432/15, Bastovà)”.
Il ricorso, in conclusione, va accolto e, non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto dell’impugnazione originariamente proposta dalla compagnia di assicurazioni.
La sussistenza del contrasto giurisprudenziale e la composizione dello stesso ad opera delle S.U., successivamente alla introduzione del ricorso per cassazione, comporta la compensazione delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente. Compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021
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