LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7183/2014 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
Fallimento ***** s.r.l., e per esso il sig.
C.L.A. ultimo legale rappresentante p.t., corrente in *****, con gli avv.ti Stefano Modenesi e Antonio Tomassini, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via dei Due Macelli n. 66;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia – Milano n. 98/18/13, pronunciata il 03 giugno 2013 e depositata l’11 settembre 2013, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2020 dal Cons. Marcello M. Fracanzani.
RILEVATO
che:
1. La società contribuente ***** s.r.l., ora in fallimento, operante nel settore di materiali ferrosi, impugnava due avvisi di accertamento relativi alle imposte dirette per l’anno 2004 con cui veniva disconosciuta la deducibilità dei costi per Euro 13.804.072,66, in quanto relativi a spese non sufficientemente documentate nè determinabili nel loro ammontare. Tra le varie censure essa lamentava l’assenza di un obbligo di tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino, di non poter produrre la prova della tracciabilità dei pagamenti relativi all’acquisto di materiali ferrosi da privati perchè avvenuti in contanti e di aver comunque rispettato la normativa tributaria in materia di compilazione delle autofatture.
1.1. La CTP di Milano, previa riunione dei due ricorsi, li accoglieva. Promuoveva appello l’Ufficio, cui resisteva il contribuente. In particolare l’Amministrazione finanziaria censurava la sentenza sotto il profilo dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sia perchè nel settore in cui operava la contribuente era prassi normale l’emissione di autofatture in caso di acquisto di materiali (da privati), sia perchè doveva tenersi conto della sentenza di assoluzione pronunciata dal Tribunale penale di Monza nei confronti del rappresentante legale della società. Con riguardo alle autofatture se ne contestava anche la regolarità, essendo prive di riferimenti indicativi dei soggetti cedenti. Resisteva il contribuente eccependo, in rito, l’introduzione di un motivo nuovo. Evidenziava invero che con l’atto di appello le autofatture erano state qualificate come relative ad operazioni soggettivamente inesistenti e come tali indeducibili come costi ai sensi della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, laddove erano state sempre contestate come costi indeducibili ai sensi dell’art. 109 T.U.I.R.. Nel merito contestava le avverse censure.
1.2. La CTR respingeva l’appello richiamando le precedenti decisioni di rigetto assunte dalla CTR di Milano sulla medesima contestazione, ancorchè relativa ad una diversa annualità, nonchè la sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale di Monza nei confronti del legale rappresentante della società contribuente perchè i fatti non sussistono. Osservava poi che non era stata sollevata alcuna contestazione in materia di IVA, tenuto conto dell’applicabilità, nel caso di specie, del meccanismo del reverse charge e che con l’avviso di accertamento impugnato in primo grado erano state contestate le autofatture poichè riferibili ad operazioni oggettivamente inesistenti.
Ricorre per cassazione l’Avvocatura con un unico motivo di ricorso cui replica il contribuente in proprio, nonchè in nome e per conto della società contribuente fallita, con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 109 T.U.I.R., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Afferma in particolare che le autofatture prive dell’indicazione del cedente, e avente ad oggetto cumulativamente più operazioni, non sono idonee a conferire ai costi ivi rappresentati il carattere della certezza con l’effetto di renderli indeducibili.
2. Il motivo svolto è fondato.
La contribuente deduce costi per oltre 13 milioni di Euro autofatturati (con regime speciale per i rottami) senza le prescritte indicazioni (a cominciare dall’indicazione del soggetto cedente) e senza quindi consentire il tracciamento dei pagamenti. Il rilievo non è in discussione. E’ stato ricordato che in tema di imposte sui redditi l’irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti di contenuto prescritti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto ivi rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo, per cui l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati (Cfr. Cass., Sez. V, n. 9912 del 27/05/2020). Persino in tema d’IVA, riguardo al meccanismo del l’autofatturazione il diritto alla detrazione, che assicura la neutralità fiscale dall’imposta, deve essere sì accordato qualora ne siano rispettati i requisiti sostanziali, anche ove taluni obblighi formali siano stati violati, salvo che da ciò consegua l’effetto d’impedire la prova dell’adempimento dei requisiti sostanziali (Cfr. Cass., Sez. V, n. 15143 del 16/07/2020). La CTR ha mal governato questi principi. Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, indica i requisiti della fattura ed entra evidentemente in rilievo laddove si discuta di prerequisiti del costo deducibile: in questo senso se ne parla a pag. 8 del ricorso, così come altrettanto esattamente si parla a pag. 7 del mancato rispetto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 39. Per cui il motivo non può considerarsi nuovo, ma inerente alla deducibilità dei costi. Nè risulta l’avvalimento d’informazioni complementari alle fatture ovverosia di quei documenti o messaggi che fanno specifico e non equivoco riferimento ad esse (cfr. Cass. Sez. V, n. 29290 del 14/11/2018).
Il ricorso è quindi fondato e merita accoglimento.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per la Lombardia – Milano, cui demanda anche la regolazione delle spese del presente grado del giudizio.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021