LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – rel. Consigliere –
Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13599/2014 R.G. proposto da Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente –
contro
Fallimento ***** s.r.l., e per esso C.L.A., corrente in *****, con gli avv.ti Stefano Modenesi e Antonio Tomassini, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via dei Due Macelli n. 66;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia – Milano n. 63/29/13, pronunciata il 23 gennaio 2013 e depositata il 3 aprile 2013, non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre 2020 dal Cons. Marcello M. Fracanzani.
RILEVATO
che:
1. La società contribuente, operante nel settore dei materiali ferrosi, veniva attinta da un avviso di accertamento relativo alle imposte dirette per l’anno 2003. L’avviso veniva emesso a seguito di un processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza e fondato su due rilievi. Infatti, alcuni costi erano stati ritenuti indeducibili sia perchè relativi a spese non sufficientemente documentate nè determinabili nel loro ammontare, sia perchè relativi a fatturazioni per operazioni inesistenti. Più specificatamente, sotto il primo profilo alla contribuente era stata contestata l’emissione di autofatture prive dell’indicazione del soggetto cedente, così come la circostanza di non aver indicato nè gli acquirenti dei materiali ferrosi o nè fornito riscontri oggettivi sul carico del magazzino. Sotto il secondo profilo, veniva contestata l’emissione di fatture fittizie da parte della società 2R s.r.l. nei confronti della contribuente con la partecipazione attiva del sig. R.V., amministratore della società 2R s.r.l., il quale aveva peraltro confermato il disegno fraudolento. Inoltre la società 2R s.r.l. appariva sostanzialmente inattiva, stante l’assenza di documentazione società sia nella sede legale sia in quella operativa, ove invece era stato reperito materiale riconducile ad un soggetto terzo.
1.1. La contribuente adiva così il giudice di prossimità, censurando il primo profilo in ragione dell’assenza di un obbligo alla tenuta delle scritture contabili, dell’impossibilità di fornire la prova della tracciabilità dei pagamenti per l’acquisto di materiale ferroso giacchè avvenuto in contanti e, in ogni caso, del rispetto della normativa tributaria in ordine alla compilazione delle autofatture. Rispetto al secondo profilo evidenziava che alle fatture non avrebbe dovuto applicarsi il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, bensì il T.U.I.R., art. 109, e che, a prescindere, non era stata sollevata dai verificatori alcuna contestazione in punto di IVA.
La CTP accoglieva il ricorso della contribuente, previa sua riunione all’ulteriore impugnativa promossa avverso la cartella di pagamento nel frattempo emessa.
1.2. L’Ufficio proponeva così appello, rigettato dalla CTR per molteplici ragioni. In ordine al primo motivo di appello il Giudice del gravame affermava che l’Amministrazione finanziaria non aveva fornito la prova, nemmeno presuntiva, che la contribuente avesse preso parte al sistema truffaldino architettato dal sig. R., quanto delle mere deduzioni. Difettava anche la prova che le transazioni commerciali fossero fittizie, sottolineando che correttamente le dichiarazioni testimoniali del legale rappresentante della 2R s.r.l. erano state ritenute inattendibili, tenuto conto dei rapporti di inimicizia tra costui e il legale rappresentante della contribuente. Il secondo motivo veniva invece tacciato di inammissibilità essendo generico e, come tale, inidoneo a contrastare il ragionamento logico-giuridico e le conclusioni della CTP. Il terzo motivo veniva invece dichiarato assorbito essendo basato sul presupposto, indimostrato, della natura fittizia delle operazioni relative alle autofatturazioni.
Insorge con ricorso l’Amministrazione finanziaria affidandosi a due motivi di ricorso, cui replica la contribuente con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
che:
2. Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).
Afferma che la CTR ha sostanzialmente ignorato gli accertamenti recepiti nella sentenza di condanna emessa dal Tribunale penale di Monza nei confronti di C.L.A., responsabile legale della società *****. In buona sostanza la CTR non avrebbe potuto prescindere a priori – come invece avrebbe fatto – alla decisione del giudice penale perchè, ancorchè fosse una decisione priva di efficacia di giudicato, doveva comunque essere vagliata per ricavarne elementi indiziari utili ai fini del decidere.
2.1. Il motivo è inammissibile.
E’ orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui “Stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio” (Cfr. Cass., V, ord. n. 5546/2019). In altri termini il giudice tributario non è vincolato agli accertamenti e alla decisione del giudice penale, ma ne deve comunque tenere conto. E ciò sia in ipotesi di assoluzione, sia in caso di condanna come nel caso di specie.
2.2. Sennonchè, come risulta dallo stesso ricorso, la CTR non ha affatto ignorato le risultanze del processo penale, ma le ha ritenute insufficienti a provare l’illecito tributario contestato, poichè principalmente riferibili a soggetti estranei alla contribuente. Insufficienza, peraltro, che la CTR ha ravvisato nei suddetti elementi sia singolarmente, sia cumulativamente considerati.
2.3. Emerge l’inammissibilità del primo motivo di ricorso giacchè proteso ad ottenere una nuova valutazione delle prove, certamente preclusa in sede di legittimità. E’ noto invero che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sol che il giudicante abbia motivato l’iter logico seguito (Cass. n. 23940/2017). Questa Corte, altresì, è più volte intervenuta sul duplice problema: quello della selezione dei dati offerti o comunque disponibili e quello dei limiti del controllo del giudice di legittimità sulla estensione della motivazione della decisione impugnata (cfr., per tutte, Cass. V, n. 961/2015, p. 8.1.1 e 8.1.2).
Il motivo è pertanto inammissibile.
3. Con il secondo motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria censura la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Invero, con specifico riguardo ai costi indeducibili per Euro 6.855.516,96 perchè relativi a spese non sufficiente documentate nè determinabili nel loro ammontare e previo richiamo alla declaratoria di inammissibilità da parte della CTR in ragione della genericità della censura, l’Ufficio rilevava di aver contestato l’assoluta inidoneità dei documenti prodotti a dimostrare l’effettività del costo. Segnatamente, la fattura priva delle indicazioni del cedente era un documento che non consentiva di attribuire al costo le caratteristiche dell’effettività e della certezza, necessaria ai fini della deducibilità. Di tal guisa, quand’anche fossa stata fornita dimostrazione delle operazioni di cessione del materiale (che quindi non sarebbero più state classificate come fittizie), i costi sarebbero stati comunque indeducibili in quanto costi “illeciti” in ragione dei “vizi” propri delle (auto)fatture. In ragione di quanto sopra il motivo di appello non poteva comunque essere tacciato di inammissibilità per genericità.
3.1 Il motivo è fondato.
La CTR non risulta essersi confronta col motivo di appello assai specifico circa i requisiti di autofatturazione dei rottami al fine della deducibilità dei costi.
E’ stato ricordato che in tema di imposte sui redditi l’irregolarità della fattura, non redatta in conformità ai requisiti di contenuto prescritti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, fa venir meno la presunzione di veridicità di quanto ivi rappresentato e la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo, per cui l’Amministrazione finanziaria può contestare l’effettività delle operazioni ad essa sottese e ritenere indeducibili i costi nella stessa indicati (Cfr. Cass., Sez. V, n. 9912 del 27/05/2020, n. 15143 del 16/07/2020). La CTR ha mal governato questi principi non misurandosi su quanto sottoposto alla sua cognizione dal patrono pubblico circa la ripresa specifica (cfr. Cass. V, n. 4784 del 28/02/2011; n. 3064 del 29/02/2012; Cass. VI – 5, n. 1200 del 22/01/2016; n. 30525 del 23/11/2018).
In conclusione il ricorso merita accoglimento per le ragioni attinte dal secondo motivo.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR per la Lombardia – Milano, in diversa composizione, cui demanda anche la regolazione delle spese del presente grado del giudizio.
Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021