Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.24797 del 15/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37549-2019 proposto da:

P.M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.

GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA GIGLIO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati CRISTIAN FEDREGHETTI, MAURIZIO LEONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1970/4/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA, depositata il 07/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa CAPRIOLI MAURA.

FATTO e DIRITTO

Considerato che:

L’Agenzia delle Entrate, nell’ambito delle operazioni di verifica della dichiarazione Docfa presentata P.M.M. notificava in data 2.5.2016 avviso di rettifica relativamente a tre unità immobiliari site in Milano Piazzale Francesco Baracca nr 8 di cui la contribuente è proprietaria.

Avverso tale avviso P.M.M. proponeva ricorso avanti alla CTP di Milano, la quale nel contraddittorio con l’Agenzia delle Entrate, lo respingeva.

La contribuente proponeva quindi appello nei riguardi di detta sentenza che veniva confermata dalla CTR della Lombardia con pronuncia nr 1970/2019.

Il giudice di appello rilevava l’infondatezza del vizio di motivazione dell’atto impugnato che riportava i presupposti di fatto e di diritto posti a base della rettifica evidenziando che l’appellante non era stata lesa nell’esercizio del proprio diritto di difesa e rimarcando la natura fortemente partecipativa della procedura Docfa da cui aveva tratto origine il provvedimento impugnato.

Riteneva che la notifica dell’avviso di rettifica era avvenuto nel termine ordinatorio previsto dal D.M. n. 701 del 1994.

Osservava altresì che il raffronto con altre unità immobiliari non poteva ritenersi pertinente in quanto effettuato su beni siti in differenti zone censuarie evidenziando di contro che gli immobili in questione erano frutto della fusione, del frazionamento e della diversa distribuzione degli spazi interni derivante da precedenti subalterni in allora classati in A/8, classe 3.

Avverso tale sentenza la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Con il primo motivo si deduce la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la CTR rilevato la nullità dell’avviso di accertamento per vizio di motivazione dell’atto.

Si afferma infatti che l’Agenzia delle Entrate non avrebbe dimostrato quali fossero i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche alla base della riclassificazione individuando in concreto le caratteristiche simili delle unità limitrofe utilizzate per la comparazione Con un secondo motivo si denuncia la violazione in combinato disposto del R.D.L. 13 aprile 1939, n. 652, art. 8 e art. 11, come modificato della L. 30 dicembre 1989, n. 427, art. 2 e del D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR deciso la controversia in violazione della categoria catastale A/8 formulata dagli Uffici tecnici erariali.

Si sostiene infatti che la CTR nell’affermare che all’interno del medesimo fabbricato condominiale possano coesistere più unità indipendenti di categoria A/8 avrebbe operato in modo illegittimo sostituendosi agli uffici tecnici erariali i quali avevano previsto espressamente tali ipotesi solo con riferimento alle “abitazioni in villini”.

Il primo motivo è infondato.

La procedura DOCFA è disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, convertito in L. n. 75 del 1993, e dal D.M. finanze n. 701 del 1994. Tramite detta procedura, l’interessato formula una “proposta” che l’amministrazione può disattendere in conseguenza della ponderazione di fatti diversi da quelli indicati nella proposta stessa o in conseguenza di una valutazione tecnica diversa dei fatti indicati e quindi di una propria stima complessiva del valore economico dei beni classati. Ciò che, peraltro, come questa Corte, ha ripetutamente precisato, si riflette sul contenuto dell’obbligo di motivazione del provvedimento di attribuzione definitiva della rendita catastale (v. Cass. ordinanza n. 12398 del 21/05/2018, secondo cui “in tema di classamento di immobili, qualora l’attribuzione della rendita catastale avvenga in seguito alla procedura disciplinata dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, convertito, con modificazioni, in L. n. 75 del 1993 e dal D.M. 19 aprile 1994, n. 701, l’obbligo di motivazione dell’avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall’ufficio e l’eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica del valore economico dei bei classati; in caso contrario, la motivazione deve essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate, sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, sia per delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso.(v. Cass. 12497/2016, ordinanza n. 12398 del 21/05/2018, 12425/2018 e 31586/2019).

Nella fattispecie l’attribuzione della categoria A8 rispetto alla A7 proposta dalla contribuente si fonda su elementi di fatto forniti dal privato nell’ambito di una procedura partecipata quale è quella prevista dal D.L. n. 16 del 1993, art. 2, convertito in L. n. 75 del 1993, e dal D.M. n. 701 del 1994 sicché sotto questo profilo la decisione impugnata si sottrae alla critica che le viene mossa.

Le esigenze dell’esercizio del diritto di difesa del contribuente risultano pienamente soddisfatte tenuto conto che il riclassamento è stato operato sulla base elementi quali consistenza, anno di costruzione caratteristiche strutturali, superficie che non risultano essere stati oggetto di specifica contestazione da parte della ricorrente.

Il secondo motivo è parimenti infondato.

Ai sensi del ai sensi del R.D.L. 13 aprile 1939 n. 652, art. 8, comma 1, nel testo sostituito dalla L. 30 dicembre 1989, n. 427, art. 2, e del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 6, comma 1 e art. 61, comma 2, la categoria e la classe catastali debbono essere attribuite in ragione delle caratteristiche intrinseche che determinano la destinazione ordinaria e permanente delle unità immobiliari; ai sensi del D.P.R. n. 1142 del 1949, art. 9, per ciascuna zona censuaria è definito un “quadro di qualificazione e classificazione che deve indicare le categorie riscontrate nella zona censuaria ed il numero delle classi in cui ciascuna categoria è stata divisa, e contenere i dati di identificazione e la descrizione delle unità immobiliari scelte come tipo per ciascuna classe”. Le caratteristiche non necessariamente sono dati oggettivi (come, per esempio, la superficie o l’ubicazione), suscettivi, come tali, di essere solo confermati o negati dall’ufficio. Le caratteristiche possono infatti essere dati suscettivi di valutazione tecnica (come per esempio la qualità edilizia della costruzione, il pregio delle rifiniture o la qualità urbana e ambientale della zona in cui l’unità immobiliare è collocata). Ciò posto nel caso di specie si controverte del classamento dell’immobile de quo in categoria A/8 o in categoria A/7. Questa Corte, proprio in riferimento ad una controversia incentrata sul medesimo tema, ha affermato: “Il classamento non è oggi disciplinato da precisi riferimenti normativi: la legge si limita, infatti, a prevedere la elaborazione di un reticolo di categorie e classi catastali e demanda la elaborazione di tali gruppi, categorie e classi all’Ufficio tecnico erariale (D.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, art. 9). L’ufficio tecnico erariale procede sulla base di istruzioni ministeriali anche piuttosto risalenti nel tempo (e’ tuttora utile in proposito la circolare n. 134 del 6 luglio 1941, integrata dalla istruzione 2 del 24 maggio 1942). Di fatto, mentre è pressoché uniforme in tutto il territorio nazionale la suddivisione in cinque gruppi (A, B, C, D, E) articolati in numerose categorie (Al, A2, A3….), sono assai incerti i criteri in forza dei quali un immobile rientri nelle diverse categorie: vada ad esempio classificato come A2 (abitazione di tipo civile) piuttosto che come A3 (abitazione di tipo economico). Nel suo “quadro generale delle categorie con annesso massimario” contenuto nella citata circolare 134 del 1941 il Ministero avvertiva in riferimento alle prime otto classi della categoria A, che “trattandosi di qualificazione relativa e variabile da luogo a luogo, deve corrispondere al significato che ha localmente”; quaishe maggiore precisazione è oggi contenuta nella circolare ministeriale 14 marzo 1992, n. 5/3/1100, ma siamo sempre a livello di mere istruzioni amministrative, di cui si tiene conto in quanto possibile espressione di un “comune sentire”. Proprio in considerazione di queste difficoltà, ai fini della applicazione delle agevolazioni fiscali “prima casa”, il legislatore ha creato un’apposita categoria di “abitazioni di lusso” che non ha preciso riscontro nelle classi catastali (tanto che si nega che essa coincida con la categoria catastale Al). Queste difficoltà si riflettono sulla distinzione fra “A/7 – abitazioni in villini” e “A/8 – abitazioni in ville”. Sembra di dover affermare che ciò che caratterizza la “villa” non sono soltanto le dimensioni, quanto le attrezzature di cui dispone, le caratteristiche interne, il pregio degli infissi e degli ornamenti, la collocazione, il rapporto con il territorio, le vie di accesso. Nel linguaggio comune (ripreso dal legislatore) edifici simili vengono chiamati “villa” se collocati in località di lusso e “villini” se collocati in aree di minor pregio. Altro è poi se le vie di comunicazione sono difficoltose in quanto l’edificio è collocato in una pregiata località montuosa o panoramica, altro è se l’isolamentonon è espressione di un lusso bensì, più banalmente, determina una scomodità. La circolare ministeriale 5/1992 afferma, in proposito, come per “ville debbano intendersi quegli immobili caratterizzati essenzialmente dalla presenza di parco e/o giardino, edificate in zone urbanistiche destinate a tali costruzioni o in zone di pregio con caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello superiore all’ordinario. Consistenza e dotazione di impianti corrispondenti a quanto indicato dall’Ufficio in sede di classamento automatico per l’attribuzione della categoria (punti 1, 3, 6, 8, 9, 10, 11, 12 e 14 dei prospetti 9)”. Mentre “per villino deve intendersi un fabbricato, anche se suddiviso in unità immobiliari, avente caratteristiche costruttive, tecnologiche e di rifiniture proprie di un fabbricato di tipo civile o economico ed essere dotato, per tutte o parte delle unità immobiliari, di aree coltivate o no a giardino. Le unità immobiliari dovranno avere consistenza e dotazioni corrispondenti a quanto indicato dall’Ufficio in sede di classamento automatico per l’attribuzione della categoria (punti 1, 2, 3, 4, 6, 8, 12, 13, 14 e 15 dei prospetti 9)”. Ora, per parco non può certo intendersi la utilizzabilità di qualunque area verde, altrimenti tutte le abitazioni rurali sarebbero ville, bensì un’area con alberi destinata ed adattata al godimento degli abitanti, tanto più appetibile perché sita in zone di pregio o destinate, appunto, a ville. E si deve altresì valutare se l’immobile abbia “caratteristiche costruttive e di rifiniture, di livello superiore all’ordinario” (Cass. 2704/2014).

Nella sentenza impugnata, la commissione tributaria regionale ha evidenziato che le unità immobiliari in oggetto derivano dal frazionamento e diversa distribuzione degli spazi interni da precedenti subalterni in allora classati in A/8, classe 3; l’abitazione in villa è attribuibile alla tipologia costruttiva e funzionale dell’edificio in relazione sia al particolare pregio della struttura, delle rifiniture, delle superficie e dalla presenza di un parco o giardino, caratteristiche queste che sono presenti nelle due unità che dispongono di una superficie di oltre 230 mq ed anche nella terza un po più piccola di 153 mq ma dotatati di moderni servizi ed impianti, di tre bagni ed inserita in un contesto funzionale e di pregio, nonché tutte sono dotate di giardino privato di mq 4500.

Si tratta di elementi che rendono sostenibile l’eseguito riclassamento in categoria A/8.

La doglianza in esame mira in realtà, sebbene apparentemente formulate nel prisma della violazione di legge sostanziale e processuale, a suscitare una diversa valutazione del quadro fattuale (caratteristiche dell’immobile, sua ubicazione, sua comparabilità con le villette limitrofe) già congruamente esaminato dal giudice di merito; con ciò tralasciando di considerare che una simile rivisitazione, estesa all’efficacia probatoria degli elementi istruttori acquisiti in giudizio, è senza dubbio preclusa in sede di legittimità (a maggior ragione, come detto, in assenza di un ammissibile motivo di natura motivazionale).

In definitiva, risulta che il giudice regionale abbia correttamente applicato la normativa catastale di riferimento, facendo in ciò buon governo delle regole processuali del caso.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri normativi vigenti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 1200,00 oltre s.p.a.d..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2021

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