LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –
Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5073/2013 R.G. proposto da:
D.G., in proprio e quale titolare della ditta omonima, elettivamente domiciliato in Roma, via Francesco Denza n. 27, presso lo studio dell’avv. Alessio Vannutelli, rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe Palumbo, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 73/05/12 della Commissione tributaria regionale della Puglia, depositata in data 22 ottobre 2012;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 novembre 2020 dal Consigliere Paolo Fraulini.
RILEVATO
che:
1. La Commissione tributaria regionale della Puglia, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto l’impugnazione proposta da D.G., esercente attività di impresa nel settore delle costruzioni edili, avverso l’avviso di accertamento n. ***** relativo ad accertamento di maggior reddito a fini Irpef, Irap e Iva per l’anno di imposta 2004, rideterminato sulla base di studi di settore.
2. La CTR ha rilevato che l’Erario aveva nella specie efficacemente controdedotto alle generiche giustificazioni fornite dal contribuente per dimostrare l’effettività dello scostamento dagli studi medi del settore, fornendo dunque valida prova dell’effettività del maggior reddito contestato. Sotto diverso e autonomo profilo, la CTR ha rilevato che, a prescindere dall’applicazione degli studi di settore, non era verosimile che, a fronte di un volume affari dichiarato pari a Euro 1.245,862,00, il contribuente avesse ottenuto un reddito di impresa, al lordo delle imposte, pari a soli Euro 16.876,00, 3. Per la cassazione della citata sentenza D.G. ha proposto ricorso affidato a quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso lamenta:
a. Primo motivo: “Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti. Denunzia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, e dell’art. 360 c.p.c., n. 5”, deducendo l’omesso esame da parte del giudice di appello di fatti documentali e decisivi per il giudizio, dettagliatamente contenuti nel proprio fascicolo di parte, segnatamente in tema di spese afferenti al sostentamento del nucleo familiare, al mantenimento di dipendenti e all’uso e manutenzione di un’autovettura.
b. Secondo motivo: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.. Denunzia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, e dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, deducendo l’erroneità della pronuncia impugnata per aver fatto mal governo delle regole di valutazione probatoria.
c. Terzo motivo: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Violazione dell’art. 2697 del c.c.. Denunzia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, e dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, deducendo l’erroneità della pronuncia impugnata poichè, anzichè indagare preliminarmente l’assolvimento dell’onere della prova ricadente sull’Ufficio, ha ritenuto che presunzioni semplici, in uno con considerazioni generiche ed errate, fossero sufficienti a far ritenere provato l’assunto dell’accertatore.
d. Quarto motivo: “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7. Denunzia ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, e dell’art. 360 c.p.c., n. 3”, deducendo l’erroneità della pronuncia impugnata per aver ritenuto implicitamente motivato l’avviso di accertamento, disattendendo l’eccezione di difetto di motivazione sollevata dal contribuente sin dal primo grado di giudizio.
2. L’Agenzia delle Entrate argomenta nel controricorso l’infondatezza dell’impugnazione avversa, di cui chiede il rigetto.
3. Il ricorso va respinto.
4. Il primo motivo è inammissibile. Alla presente controversia, poichè la sentenza impugnata è stata depositata in data 22 ottobre 2012, si applica l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione introdotta a seguito dell’entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134. Ciò comporta che il vizio di motivazione è denunciabile in cassazione ai sensi del citato articolo solo per anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). L’irrilevanza delle risultanze processuali ai fini dell’applicazione del sindacato sulla motivazione è stata ulteriormente precisata nel senso che il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame di un fatto storico – da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018), principale o secondario, rilevante ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018), nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive. Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018). Sotto altro profilo è prevalente nella giurisprudenza di legittimità l’affermazione che il vizio di motivazione sia censurabile unicamente nella misura in cui risulti dal testo della decisione gravata dal ricorso. Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che risulta de tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. 3161/2002). Nè, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un non consentito giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze istruttorie – prendesse in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione, accogliendo il ricorso sub specie di omesso esame di un punto decisivo. (Cass. 4766/2006). Sicchè, come si è detto in dottrina, “il controllo di legittimità è davvero incompatibile con un controllo sull’estensione della motivazione, perchè il significato delle prove lo deve stabilire il giudice di merito, non lo può definire il giudice di legittimità sulla base della lettura necessariamente parziale del ricorso”. Nè a ciò soccorre il principio di autosufficienza poichè “il divieto di accesso agli atti istruttori è la conseguenza di un limite all’ambito di cognizione della Corte di cassazione” e, dunque, “non ha una funzione solo logistica, che possa essere soddisfatta mediante la trascrizione”, così eludendo la esclusiva devoluzione al giudice di merito della selezione delle prove. Nel caso di specie, la sentenza ha motivato sulla base dell’esame delle prove in atti, dichiarandole inidonee ad assolvere l’onere probatorio gravante nella specie sul contribuente. La censura pretende proprio di individuare l’omessa considerazione di allegazioni difensive e la complessiva valutazione del quadro probatorio ciò che, come argomentato, non è più consentito.
5. Il secondo motivo è infondato, giacchè nessuna falsa applicazione di legge appare sussistere nel caso di specie, avendo la CTR esaminato, come è prerogativa esclusiva del giudice del merito, il materiale probatorio a propria disposizione, giudicandolo insufficiente a provare lo scostamento reddituale rispetto allo studio di settore applicato. E’, invece, inammissibile nella parte in cui pretende da questa Corte un nuovo esame delle prove, che esula dai poteri di questa Corte di sola legittimità. E’, infatti, oramai consolidato in giurisprudenza il principio che il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee alla formazione dello stesso (Cass. n. 3601 del 2006). Inoltre, l’osservanza degli artt. 115 e 116 c.p.c., non richiede che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettate dalle parti. E’, infatti, necessario e sufficiente che egli esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, offrendo una motivazione logica ed adeguata, evidenziando le prove ritenute idonee a confortarla. Invece, devono reputarsi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito (Cass. n. 520 del 2005). In altre parole, il giudice di merito non ha l’obbligo di soffermarsi a dare conto di ogni singolo elemento indiziario o probatorio acquisito in atti, potendo egli invece limitarsi a porre in luce quelli che, in base al giudizio effettuato, risultano gli elementi essenziali ai fini del decidere, purchè tale valutazione risulti logicamente coerente (Cass. n. 961 del 2015).
6. Il terzo motivo è infondato. La CTR ha correttamente individuato il criterio di riparto dell’onere della prova in materia, facendo correttamente discendere, dalla genericità del contraddittorio amministrativo, l’onere a carico del contribuente di provare l’effettività dello scostamento rilevato in via presuntiva dallo studio di settore.
7. Il quarto motivo è inammissibile. Il contribuente, totale vincitore in primo grado, non risulta in alcun modo aver dimostrato nella censura in esame – ai sensi del combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), come, dove, come e quando la questione della sufficienza della motivazione dell’avviso impugnato sia stata riproposta al giudice di appello, che non ne fa cenno alcuno. In tale contesto, va ritenuto che la sentenza di primo grado, che aveva annullato nel merito la contestazione giudicando legittimo e giustificato lo scostamento, non ha compreso nella ratio decidendi anche la questione formale nullità, implicitamente respingendola; la censura va qualificata, in sostanza, come contenente un’eccezione di merito (sul procedimento) non esaminata in primo grado perchè assorbita dalla demolizione della pretesa fiscale; trova, quindi, applicazione l’insegnamento di Sez. U, Sentenza n. 13195 del 25/05/2018, a mente della quale la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perchè assorbite; in tal caso la parte è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo.
8. La soccombenza regola le spese e determina anche il pagamento del contributo unificato, se dovuto, nella misura determinata al momento del deposito del ricorso.
PQM
La Corte rigetta ricorso e condanna D.G. a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese della presente fase di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021
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