Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.25188 del 17/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 21000/2016) proposto da:

O.C., (C.F.: *****), e D.R. (C.F.: *****), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Giorgio Marino, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. G. Negretti, in Roma, via Oppido Mamertina, n. 4;

– ricorrenti –

contro

F.V., (C.F.: *****), e M.N. (C.F.:

*****), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, dall’Avv. Fabio Casinovi, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio, in Roma, piazza Anco Marzio, n. 13;

– controricorrenti –

avverso la sentenza del Tribunale di Velletri n. 1530/2016 (pubblicata l’11 maggio 2016);

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 31 marzo 2021 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

letta la memoria depositata dalla difesa dei ricorrenti ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

RITENUTO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato nel febbraio 2012 i sigg. O.C. e D.R. convenivano, dinanzi al Giudice di pace di Velletri, F.V. e M.N. per sentirli condannare a potare le piante di loro proprietà esistenti in prossimità del muro di confine sino a ricondurle ad un’altezza pari a quella del muro comune, oltre al risarcimento dei danni – da liquidarsi in via equitativa – causati per tutta la durata della condotta illegittima tenuta dai medesimi convenuti per effetto della quale essi attori non avevano potuto godere di aria, luce, soleggiamento né usufruire della relativa panoramicità.

Nella costituzione dei predetti convenuti, che chiedevano il rigetto della domanda ed avanzavano domanda riconvenzionale per il riconoscimento dell’acquisto per usucapione del diritto a tenere le piante nella condizione dedotta in giudizio, l’adito giudice di pace, con sentenza n. 1294/2014, rigettava la domanda e compensa le spese giudiziali.

2. Interposto appello da parte degli attori soccombenti, cui resistevano gli appellati (che formulavano appello incidentale), il Tribunale di Velletri, con sentenza n. 1530/2016 (emessa ai sensi dell’art. 281-sexies c.p.c. e pubblicata l’11 maggio 2016), respingeva il gravame principale, con condanna degli appellanti al pagamento delle spese del grado, sul presupposto della ritenuta fondatezza dell’assorbente riconvenzionale di usucapione, come tale produttiva dell’inutilità dell’esame della prospettata violazione dell’art. 892 c.c., u.c..

3. O.C. e D.R. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la suddetta sentenza di appello, resistito con controricorso dai due intimati. La difesa dei ricorrenti ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno (testualmente) denunciato la violazione di legge per errata interpretazione dell’art. 892 c.c., con riguardo, in modo specifico, al suo u.c. e all’art. 896 c.c..

In particolare, con tale doglianza, essi hanno inteso sostenere l’erroneità dell’impugnata pronuncia che non aveva rilevato come il diritto di far protendere i rami degli alberi del proprio fondo in quello confinante non può essere acquistato per usucapione perché l’art. 896 c.c., implicitamente lo esclude, riconoscendo espressamente al proprietario del fondo su cui si protendono il potere di costringere il vicino a reciderli in qualunque tempo, non rilevando l’esistenza sul confine di un muro divisorio, proprio o comune, in quanto, ai sensi dell’art. 892 c.c., u.c., le piante devono essere tenute in ogni caso ad altezza che non ecceda la sommità del muro stesso.

2. La seconda censura dei ricorrenti risulta (sempre testualmente) riferita all’usucapione eccepita dalle parti convenute (poi appellate), deducendosi al riguardo che la ravvisata domanda riconvenzionale avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile dal giudice di pace, adito in primo grado, perché esorbitante dalla sua competenza, come tale non rilevata dal giudice di appello, con correlata illegittimità della condanna di essi ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di appello, che avrebbero potuto essere compensate almeno parzialmente.

3. Rileva il collegio che il primo motivo si profila inammissibile, poiché esso non coglie la “ratio decidendi” sulla quale l’impugnata sentenza è stata fondata, avuto riguardo al “petitum” concretamente dedotto in giudizio.

Infatti, è incontestato che la domanda degli odierni ricorrenti era diretta ad ottenere la condanna dei convenuti a potare le piante di proprietà esistenti in prossimità del muro di confine sino a ricondurle ad un’altezza pari a quella del muro stesso. Pertanto, essa era stata riferita all’applicabilità dell’art. 892 c.c., u.c., che consente l’esenzione dall’osservanza delle distanze tra le piante come prescritte dai precedenti commi alla sola condizione che l’altezza delle piante sia mantenuta, nel massimo della sua elevazione, in linea corrispondente alla sommità del muro divisorio tra le proprietà limitrofe (non producendosi, in tal caso, diminuzione di aria, luce e veduta: cfr. Cass. n. 21010/2008 e Cass. n. 18439/2018), il che implica che, in caso contrario (ovvero di mancato adeguamento di uno o di entrambi i confinanti a questo obbligo), è necessario conformarsi al rispetto delle ordinarie distanze prescritte a seconda del tipo di fusto delle piante, indipendentemente dall’esistenza di un muro divisorio.

Orbene, sulla scorta dell’impostazione della domanda in questi termini e della rituale proposizione di domanda riconvenzionale di usucapione formulata dai convenuti, l’adito Giudice di pace, con la sentenza impugnata dinanzi al Tribunale di Velletri (e da questo confermata, sulla scorta della correttezza del percorso logico-giuridico seguito), aveva rilevato la fondatezza di quest’ultima domanda, sul presupposto della raggiunta prova (conseguente alle risultanze della c.t.u. e delle deposizioni testimoniali) che le piante di pittosforo dimoranti nel giardino dei convenuti erano presenti “in loco” da più di venti anni e che, pertanto, a fronte del diritto di servitù acquistato a titolo originario dai sigg. F. – M. di mantenere le suddette piante anche a distanza inferiore rispetto a quella prescritta, era divenuta irrilevante la circostanza che alcune di esse avessero un’altezza superiore rispetto al muro divisorio, così rimanendo superata la necessità di ricorrere alla deroga prevista dell’art. 892 c.c., u.c..

In presenza di questa espressa motivazione riferita all’oggetto della domanda come effettivamente proposta, la parti ricorrenti non hanno – con il motivo in esame – censurato il richiamato ragionamento della sentenza di appello con riferimento all’accertato (ed ammissibile: v., ad es., Cass. n. 26418/2014 e Cass. n. 13640/2017) diritto di acquisto per usucapione delle controparti del diritto di tenere a distanza non regolamentare gli alberi (ancorché) eccedenti in altezza la sommità del muro divisorio, bensì hanno dedotto ed insistito sull’inusucapibilità (peraltro pacifica) del diritto (imprescrittibile) previsto dall’art. 896 c.c., che, tuttavia, non atteneva, nel caso di specie, al “petitum” del giudizio e, quindi, ad un aspetto che rientrava nel “thema decidendum” della causa.

Da ciò consegue l’inammissibilità del primo motivo.

4. Altrettanto inammissibile è la seconda doglianza.

Al riguardo deve osservarsi che i ricorrenti non hanno provato – non trascrivendo in ricorso la relativa doglianza né riportando in esso alcun richiamo in proposito (ove fosse stata sostenuta con l’atto di appello), né risultando che il giudice di secondo grado ne abbia dato atto o l’abbia affrontata – di aver proposto la questione della (possibile) incompetenza del giudice di pace (in conseguenza dell’avversa riconvenzionale) con il formulato appello, donde la stessa non può essere esaminata in questa sede di legittimità (dove è stata prospettata per la prima volta), essendosi formata la relativa preclusione sulla stessa per effetto del sopravvenuto giudicato.

Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 13829/2008 e Cass. n. 31476/2019), l’incompetenza del giudice che ha emesso il provvedimento, anche nelle ipotesi nelle quali abbia carattere inderogabile (ed egli non l’abbia rilevata d’ufficio, ove sussistente), costituisce motivo di nullità e non di inesistenza dell’atto, con la conseguenza che esso – ove non sia fatto valere con il previsto rimedio impugnatorio (nel caso di specie, l’appello) – è suscettibile di passare in giudicato.

5. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, sempre con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in via solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 31 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2021

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