LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente di Sez. –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10196/2020 proposto da:
ITALGAS RETI S.P.A., soggetta all’attività di direzione e coordinamento di Italgas s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 67, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO BOTTO, (LEGANCE – AVVOCATI ASSOCIATI), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati VINCENZO DI VILLO, ANDREA ZOPPINI, e GIORGIO VERCILLO;
– ricorrente –
contro
ROMA CAPITALE;
– intimata –
per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n. 560/2019 del TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE del LAZIO;
Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIOVANNI GIACALONE, il quale chiede che la Suprema Corte, a Sezioni Unite, in Camera di consiglio, rigetti il ricorso e dichiari la giurisdizione del giudice ordinario.
FATTI DI CAUSA
Roma Capitale indiceva, in data 16 agosto 2011, un bando di gara al fine di affidare in concessione il servizio pubblico di distribuzione del gas nel territorio comunale, attraverso determinazione dirigenziale del Dipartimento Sviluppo Infrastrutture Manutenzione Urbana.
In data 20 novembre 2012, la Società Italgas Reti s.p.a., aggiudicatasi la gara, sottoscriveva con l’ente la convenzione regolante il rapporto concessorio.
Successivamente, tra le parti sorgeva controversia circa l’attuazione del piano industriale annesso alla convenzione.
Roma Capitale, in data 19 ottobre 2018, respingeva la proposta di integrazione del piano industriale presentata da Italgas, cui in data 11 novembre 2018 contestava ritardi nel completamento delle opere, paventando la possibilità di avvalersi della clausola penale di cui al capitolato d’oneri allegato alla concessione; in data 27 marzo 2019 comunicava, ai sensi della L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 7 e segg., l’avvio del procedimento per l’applicazione delle penali per la ritardata esecuzione degli interventi previsti nel capitolato d’oneri, relativi al piano industriale nel primo triennio della concessione in scadenza il 20 novembre 2015, e per l’eventuale escussione della polizza fideiussoria a garanzia dell’adempimento degli obblighi contrattuali assunti con l’affidamento del servizio di cui trattasi.
Roma Capitale definiva il procedimento con l’adozione, in data 2 luglio 2010, del provvedimento di applicazione delle penali che quantificava con provvedimento del 19 dicembre 2019.
Con ricorso dell’11 gennaio 2019, Italgas impugnava, dinanzi al Tar Lazio, la comunicazione di avvio del procedimento, i provvedimenti di applicazione e di quantificazione delle penali: chiedeva di accertare la carenza in astratto e/o in concreto del potere esercitato da Roma Capitale e di dichiarare la nullità, o in subordine, di annullare i provvedimenti adottati.
Nel giudizio a quo, Roma Capitale eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, in favore del giudice ordinario.
Il Tar dubitava della propria giurisdizione e sospendeva l’efficacia degli atti gravati.
La Società Italgas propone regolamento preventivo di giurisdizione, al fine di ottenere una pronuncia definitiva e vincolante sulla questione di giurisdizione nel senso della sussistenza della giurisdizione amministrativa.
Roma Capitale non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Procuratore Generale ha chiesto di ribadire “l’orientamento di codesta S.C. secondo cui le pretese di Roma Capitale fatte valere davanti al Tar, come nel caso in questione, non attengono al rilascio di un provvedimento amministrativo, nè implicano l’esercizio di poteri autoritativi, ma sono semplicemente conseguenze di un inadempimento alla convenzione, rilevante sul piano privatistico” e, quindi, di dichiarare la giurisdizione del giudice ordinario.
Il Collegio condivide questa conclusione.
Per radicare la giurisdizione esclusiva, infatti, non è sufficiente la mera attinenza della controversia ad una determinata materia (ad esempio, nella specie, a quella concernente i servizi pubblici), occorrendo pur sempre che la controversia abbia ad oggetto, in concreto, la valutazione di legittimità di provvedimenti amministrativi che siano espressione di pubblici poteri (Cass., Sez. Un., n. 4614 del 2011). Ed infatti, l’attinenza della vicenda ad interessi di ordine pubblicistico – in qualche misura sempre implicati nell’agire della pubblica amministrazione – non è sufficiente a risolvere il problema del riparto della giurisdizione, occorrendo pur sempre stabilire se, in funzione del perseguimento di quell’interesse, l’amministrazione sia o meno dotata di un potere di supremazia, in relazione allo specifico oggetto del contenzioso portato dinanzi al giudice (Cass., Sez. Un., n. 15207 del 2015 e n. 22116 del 2014).
Questa conclusione non è scalfita dalla tesi secondo la quale “non può escludersi che la cognizione del giudice amministrativo possa avere ad oggetto, ricorrendo gli altri requisiti indicati di seguito, anche soltanto diritti soggettivi” (in tal senso, Corte costituzionale n. 35 del 2010).
Non si può invero prescindere dalla constatazione della natura e dei limiti della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nel nostro ordinamento, ricordati dalla medesima Corte costituzionale nella fondamentale sentenza n. 204 del 2004 (p. 32): “il vigente art. 103 Cost., comma 1, non ha conferito al legislatore ordinario una assoluta ed incondizionata discrezionalità nell’attribuzione al giudice amministrativo di materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, ma gli ha conferito il potere di indicare “particolari materie” nelle quali “la tutela nei confronti della pubblica amministrazione” investe “anche” diritti soggettivi: un potere, quindi, del quale può dirsi, al negativo, che non è nè assoluto nè incondizionato, e del quale, in positivo, va detto che deve considerare la natura delle situazioni soggettive coinvolte, e non fondarsi esclusivamente sul dato, oggettivo, delle materie. Tale necessario collegamento delle “materie” assoggettabili alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con la natura delle situazioni soggettive – e cioè con il parametro adottato dal Costituente come ordinario discrimine tra le giurisdizioni ordinaria ed amministrativa – è espresso dall’art. 103, laddove statuisce che quelle materie devono essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità: e cioè devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata della circostanza che la pubblica amministrazione agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo”.
Da qui la decisiva constatazione che “il legislatore ordinario ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva purchè lo faccia con riguardo a materie (in tal senso, particolari) che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità” (sentenza 204 cit., p. 32).
Traendo le conseguenze da tale premessa, la necessaria sussistenza di un intreccio di posizioni giuridiche coesistenti (interessi legittimi e “anche” diritti soggettivi), nell’ambito del quale risulti difficile individuare i connotati identificativi delle une rispetto alle altre, non ha valore meramente evocativo delle ragioni storiche che sono all’origine della configurazione della giurisdizione esclusiva, ma indicativo dell’essenza stessa di tale giurisdizione che ha ad oggetto pur sempre il controllo della legittimità amministrativa dell’esercizio del potere pubblico che, per questa ragione, è elemento imprescindibile e caratterizzante delle “particolari materie” di cui all’art. 103 Cost.. Ed allora, le controversie inerenti alle materie di cui il giudice amministrativo conosce nell’ambito della sua giurisdizione esclusiva non potrebbero concretamente prescindere del tutto dal profilo essenziale del controllo sull’esercizio del potere cui si correlano interessi legittimi, seppure connessi intrinsecamente a diritti soggettivi. Diversamente opinando, nel senso che le controversie portate dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva possano avere ad oggetto, in concreto, esclusivamente diritti soggettivi, si dovrebbe coerentemente sostenere che alla “materia” di riferimento sia estraneo ogni profilo inerente all’esercizio di poteri, ma tale conclusione risulterebbe distonico con il dettato costituzionale. In altri termini, se la “materia” deve riguardare necessariamente i profili autoritativi dell’agire amministrativo in determinati e specifici settori, sarebbe arduo ritenere poi che di tali profili si perda ogni traccia nella concretezza delle fattispecie controverse.
Le controversie devolute al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., non sono tutte quelle in qualche modo interferenti con la materia delle concessioni di servizi pubblici, ma – come si è detto – solo quelle nelle quali sia contestato in concreto il non corretto esercizio del potere regolatorio che compete all’autorità amministrativa. Restano comunque escluse quelle in tema di “indennità, canoni e altri corrispettivi”, tra le quali rientrano anche le controversie concernenti l’adempimento e l’inadempimento delle parti alle obbligazioni assunte, nonchè le conseguenze indennitarie, vertendosi nell’ambito di un rapporto giuridico convenzionale a carattere paritetico tra le parti, sul quale spetta al giudice ordinario di giudicare (Cass., Sez. Un., n. 23418 del 2020, n. 18267 del 2019, n. 32728 del 2018).
Come rilevato dal Procuratore Generale, è possibile estendere al caso in esame, considerata la eadem ratio, il principio di diritto espresso in statuizione afferente l’escussione di fideiussioni in materia edilizia ed urbanistica, secondo cui la controversia avente ad oggetto l’escussione di una polizza fideiussoria concessa a garanzia di somme dovute per oneri di urbanizzazione e a titolo di penali, pattuite in una convenzione di lottizzazione, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario e non in quella esclusiva del giudice amministrativo in materia di urbanistica ed edilizia, attesa l’autonomia tra i rapporti in questione, nonchè la circostanza che, nella specie, la P.A. agisce nell’ambito di un rapporto privatistico, senza esercitare pubblici poteri (cfr. Cass., Sez. Un., n. 12866 del 2020, n. 19371 del 2019, n. 10560 del 2017, n. 17741 del 2015).
Pertanto, il petitum sostanziale inerisce indubbiamente a questioni afferenti diritti soggettivi, quali l’esatto adempimento delle clausole convenzionali, l’imputabilità degli inadempimenti, il corretto ricorso alla clausola penale, ovvero la sua invalidità, la rideterminazione della misura del risarcimento forfettario stabilito nella convenzione. In ragione di ciò, la questione controversa è da ritenersi intimamente connessa non già all’esercizio di un potere pubblicistico dell’ente, ma all’espressione di una potestas avente natura eminentemente privatistica nell’ambito di un rapporto paritetico tra le parti.
Nè induce a conclusioni diverse la memoria illustrativa depositata da Italgas, nella quale si sostiene che Roma Capitale aveva qualificato in senso pubblicistico i provvedimenti impugnati, che nel provvedimento di quantificazione delle penali si avvertiva che era ammesso ricorso innanzi al Tar Lazio, che a venire in rilievo sarebbe il potere pubblicistico di vigilanza dell’ente pubblico sulle attività di distribuzione del gas svolta dal concessionario.
Ed infatti, l’indagine vertente sul petitum sostanziale mira a verificare se l’oggetto del contendere sia la contestazione dell’esercizio del potere, cioè se l’atto contestato abbia una intrinseca natura provvedimentale sulla base di criteri oggettivi, a prescindere evidentemente dalla qualificazione che ne abbia dato lo stesso ente pubblico e dalle modalità seguite per contestare gli inadempimenti al concessionario, non potendosi annettere alla scelta dell’ente di comunicare l’avvio del procedimento secondo la L. n. 241 del 1990, un valore decisivo ai fini qualificatori in ordine alla natura dell’atto impugnato.
Analoga considerazione va svolta a proposito dell’avvertenza concernente l’autorità cui ricorrere in caso di contestazioni, non producendo tale indicazione effetti vincolanti ai fini dell’individuazione della giurisdizione competente.
Con riguardo infine all’asserita inerenza della controversia al potere di vigilanza dell’ente concedente nei confronti del concessionario (è citato il D.Lgs. n. 164 del 2000, art. 14, comma 1), a venire in rilievo è tuttavia il potere di reazione che spetta all’ente pubblico quale creditore, il quale intenda avvalersi della clausola penale per un inadempimento contestato al debitore e da accertare in concreto rispetto alle obbligazioni assunte, nell’ambito di un giudizio cui è estraneo ogni profilo inerente alla verifica della legittimità formale dell’agire autoritativo della pubblica amministrazione.
In conclusione, va dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
PQM
La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale rimette le parti anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021