Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25577 del 21/09/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11101-2020 proposto da:

COGEDIL S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato DANILO TOMASSINI, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

DAVID S.R.L. (già DAVID 2000 S.R.L.);

– intimata –

avverso la SENTENZA n. 266/2019 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 15/1/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 29/4/2021 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello che la Cogedil s.r.l. in liquidazione aveva proposto nei confronti della sentenza con la quale, a sua volta, il tribunale, a parziale accoglimento della sua domanda, proposta con atto di citazione del 3/1/2008, aveva condannato la David 2000 s.r.l. al pagamento, in suo favore, della somma di Euro 16.123,59, oltre iva, a titolo di compenso per le opere eseguite in qualità di subappaltatrice, ed aveva compensato integralmente le spese del relativo giudizio.

La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha ritenuto: – che, ad onta delle censure svolte sul punto dalla società appellante, le conclusioni cui era giunto il consulente tecnico d’ufficio fossero condivisibili sul rilievo che il consulente aveva determinato l’importo complessivo dei lavori svolti dalla Cogedil s.r.l. partendo dall’importo di Euro 54.958,31, oltre oneri per la sicurezza, avendo riguardo alla Det. n. 63 del Comune di *****, la quale, facendo riferimento alla documentazione tecnico-contabile trasmessa dal direttore dei lavori incaricato, indica come il 1 SAL, con riferimento ai lavori eseguiti a tutto il *****, recasse un valore complessivo dei lavori pari ad Euro 55.004,46, per cui tale importo, conforme a quello utilizzato dal consulente nella sua perizia (“la differenza tra Euro 55.004,46 ed Euro 54.958,31 sta proprio negli oneri di sicurezza”), poteva essere validamente utilizzato al fine di determinare quanto ancora dovuto alla Cogedil; – che, al contrario di quanto dedotto dall’appellante, non era, invece, utilizzabile, quale prova certa dei lavori eseguiti dalla stessa, il computo metrico estimativo del ***** evidenziando, al riguardo, che non era emerso in modo inequivocabile che tale documento fosse stato sottoscritto dall’amministratore della società committente.

La corte, in definitiva, ha ritenuto che, al fine di determinare il quantitativo dei lavori eseguiti dalla Cogedil, dovesse essere utilizzato il dato riportato nella descritta determinazione del Comune, conforme a quello adoperato dal consulente tecnico le cui conclusioni, pertanto, dovevano essere confermate.

La corte, infine, ha ritenuto che la statuizione sulle spese assunta dal tribunale fosse corretta sul rilievo che, come correttamente osservato dal primo giudice, la domanda proposta dalla società attrice era stata accolta in primo grado solo parzialmente “per un somma, oltretutto, riconosciuta per la sua metà come dovuta dalla stessa convenuta”.

La corte, quindi, ha rigettato l’appello ed ha condannato la società appellante al rimborso delle spese del secondo grado di giudizio.

La Cogedil s.r.l. in liquidazione, con ricorso notificato il 17/2/2020 (il 15 e il 16/2/2020 sono caduti di sabato e di domenica), ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza.

La David s.r.l., già David 2000 s.r.l., è rimasta intimata.

La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.2. Con il primo motivo, la società ricorrente, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che il computo metrico non poteva essere utilizzato quale prova certa dei lavori effettuati dall’appaltatore non essendo emerso in modo inequivocabile che tale documento sia stato portato a conoscenza del committente e che questo lo abbia accettato senza riserve.

1.3. La corte, però, ha osservato la ricorrente, così facendo, ha omesso di considerare il fatto, dedotto già nell’atto di citazione introduttivo del giudizio ed esplicitamente riconosciuto dalla società convenuta nella comparsa di costituzione, che, al contrario, la David s.r.l., a mezzo del suo amministratore, aveva ricevuto, in data *****, da parte della Cogedil s.r.l. il computo estimativo dei lavori eseguiti, accettandolo senza riserve.

1.4. La corte d’appello, quindi, ha aggiunto la ricorrente, ove avesse preso in esame la circostanza dell’effettiva consegna del computo metrico estimativo del ***** all’amministratore della David s.r.l. e delle fatture emesse sulla base dei lavori così come contabilizzati ed accettati, sarebbe pervenuta ad una conclusione certamente diversa poiché il computo metrico estimativo avrebbe costituito la prova piena dei lavori effettivamente realizzati sino a quel momento ai sensi dell’art. 1665 c.c..

2.1. Il motivo è infondato. Com’e’ noto, infatti, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014), l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo in vigore ratione temporis, consente di consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia, nella specie neppure invocata, si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (così, più di recente, Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.; Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). Pertanto, laddove non si contesti – come nel caso di specie – l’inesistenza, nei termini predetti, del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale, il vizio di motivazione può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un “fatto storico” controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 23940 del 2017, in motiv.). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente, che denuncia il vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ha l’onere di indicare non una mera “questione” o un semplice “punto” della sentenza ma il “fatto storico”, principale (e cioè il fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) ovvero secondario (cioè dedotto in funzione di prova di un fatto principale) – vale a dire un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017; Cass. n. 21152 del 2014; Cass. SU. n. 5745 del 2015) – il cui esame sia stato del tutto omesso dal giudice di merito, nonché il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti ed, infine, la sua “decisività” (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 20188 del 2017, in motiv.). L’omesso esame di elementi istruttori non dà luogo, pertanto, al vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.). E’, quindi, inammissibile la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per sostenere semplicemente il mancato esame di deduzioni istruttorie ovvero di documenti da parte del giudice del merito (Cass. n. 27415 del 2018, in motiv.).

2.2. Nel caso di specie, il fatto storico che la società ricorrente ha dedotto quale oggetto di omesso esame da parte del giudice di merito, vale a dire l’effettiva consegna del computo metrico estimativo del ***** all’amministratore della David s.r.l., è stato, al contrario, senz’altro preso in esame dalla corte d’appello la quale, tuttavia, ne ha ritenuto l’irrilevanza ai fini della dimostrazione dei lavori asseritamente eseguiti dall’appellante sul rilievo che non era emerso in giudizio in modo inequivocabile che tale documento fosse stato sottoscritto dall’amministratore della committente e, quindi, accettato dalla stessa senza riserve.

2.3. La società ricorrente, quindi, attraverso la deduzione del vizio dell’omesso esame di un fatto decisivo, ha finito, in sostanza, per sollecitare la Corte di cassazione ad una inammissibile riesame delle prove raccolte nel corso del giudizio in ordine alla ricezione del documento e alla sua sottoscrizione da parte dell’amministratore della committente. La valutazione delle risultanze istruttorie, però, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), in effetti, il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti: il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati. (Cass. n. 11176 del 2017). La valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono, in effetti, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (v. Cass. n. 42 del 2009; Cass. n. 20802 del 2011). Rimane, pertanto, estranea al vizio previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova. La deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non consente, quindi, di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito. Com’e’ noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): come, in effetti, è accaduto nel caso in esame.

2.4. La corte d’appello, in effetti, dopo aver valutato le prove raccolte in giudizio, ha ritenuto che non era stato dimostrato che il legale rappresentante della David s.r.l. avesse sottoscritto, per accettazione, il computo metrico del *****, ed ha, quindi, in modo logico e coerente, indicato le ragioni per le quali ha escluso (non importa, in questa sede, se a toro o a ragione) che tale documento potesse essere utilizzato per la prova dei lavori svolti dalla società appellante. Ed una volta ritenuto che il computo metrico del ***** non era stato sottoscritto dalla committente e che la stessa non aveva, quindi, provveduto alla sua accettazione senza riserva, non si presta, evidentemente, a censure la decisione che la corte d’appello ne ha tratto, e cioè l’inutilizzabilità di quel documento al fine di dimostrare i lavori eseguiti dall’appellante. Questa Corte, in effetti, ha già avuto modo di affermare che, in materia di corrispettivo dovuto per l’appalto privato, laddove il committente contesti l’entità del dovuto, la contabilità redatta dal direttore dei lavori non costituisce idonea prova dell’ammontare del credito a meno che non risulti che essa sia stata portata a conoscenza del committente e che questi l’abbia accettata senza riserve (Cass. n. 10860 del 2007).

3. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la compensazione integrale delle spese del giudizio di primo grado disposta dal tribunale fosse corretta, senza, tuttavia, considerare che, pur a fronte del parziale accoglimento della domanda, la corretta applicazione dell’art. 91 c.p.c., avrebbe dovuto condurre quanto meno alla compensazione al 50% delle relative spese, così come appare errata, ha aggiunto la ricorrente, la sua condanna, quale appellante, al rimborso delle spese del grado d’appello, che dovevano essere, invece, compensate.

4. Il motivo è infondato. Intanto, con riferimento al regolamento delle spese di lite, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (cfr. ex plurimis, cfr. Cass. n. 8421 del 2017; Cass. n. 930 del 2015; Cass. n. 15317 del 2013). D’altra parte, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. n. 11329 del 2019).

5. Il ricorse dev’essere, quindi, respinto. Peraltro, poiché il giudice di merito ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, senza che il ricorrente abbia offerto ragioni sufficienti per mutare tali orientamenti, il ricorso, a norma dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, è manifestamente inammissibile.

6. Nulla per le spese di lite, in difetto di attività difensiva da parte dell’intimata.

7. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 29 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472