LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28553/2019 proposto da:
B.J.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ASIAGO, 9, presso lo studiò dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato SILVANA GUGLIELMO;
– ricorrenti –
e contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA;
– resistente –
avverso la sentenza n. 350/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 19/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
RITENUTO
Che:
1. B.J.M., cittadino del *****, ricorre affidandosi a sei motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che aveva confermato l’ordinanza del Tribunale con la quale era stata respinta la sua richiesta di protezione internazionale, declinata nelle varie forme gradate ed avanzata in ragione del rigetto della domanda da parte della competente commissione territoriale.
1.1. Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente aveva dedotto di essere fuggito dal proprio paese per tre ragioni, e cioè per l’esistenza di un violento conflitto etnico; per una situazione debitoria determinata dalle estorsioni subite dagli usurai per un prestito contratto per la sua attività lavorativa e per il fatto di essere ricercato dalla polizia e di rischiare il carcere (con i trattamenti disumani e degradanti esistenti nel paese) in quanto si era trovato nel mezzo degli scontri verificatisi nel suo villaggio: la Corte, ritenendo non necessario il rinnovo della sua audizione della quale era stato trasmesso il verbale trascritto dalla Commissione Territoriale, ha ritenuto non credibile il racconto ed inesistenti i presupposti di tutte le forme di protezione invocata.
2. Il Ministero dell’Interno intimato non si è difeso.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, con il quale era stato introdottoli D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, della direttiva 12013/32 UE e dell’art. 47 della Carta dei diritti della UE.
1.1. Assume che la Corte aveva errato nel ritenere che, pur assente la videoregistrazione dell’ascolto tenutosi dinanzi alla Commissione Territoriale, non fosse obbligatorio disporre l’audizione in sede giudiziaria, omettendo di considerare che, secondo le disposizioni della direttiva citata, era consentito di non rinnovare l’incombente istruttorio soltanto nei casi, diversi da quello in esame, in cui la domanda giudiziale doveva ritenersi palesemente infondata;
assume inoltre che, in punto di credibilità, era stata comunque resa una motivazione apodittica ed apparente.
1.2. Il motivo è infondato.
1.2.1. Questa Corte ha affermato i principi, condivisi da questo Collegio, secondo cui:
a. “nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero. (cfr. Cass. 5973/2019; Cass. 2817/2019; Cass. 17076/2019; Cass. 1088/2020): al riguardo, vale solo la pena di rilevare che non ha pregio la censura fondata sulla pretesa discrasia fra il rigetto della domanda per mancanza di credibilità ed il riferimento, contenuto nel principio di diritto sopra richiamato, alla sua “manifesta infondatezza”, trattandosi, con tutta evidenza, di una diversità lessicale non idonea a configurare una differenza tipizzata delle soluzioni rese.
b. “nel procedimento, in grado di appello, relativo a una domanda di protezione internazionale, non è ravvisabile una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità, nell’omessa audizione personale del richiedente, poichè l’obbligo di sentire le parti, desumibile dal rinvio operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35, comma 13, al precedente comma 10 (testo previgente al D.Lgs. n. 150 del 2011), non si configura come un incombente automatico e doveroso, ma come un diritto della parte di richiedere l’interrogatorio personale, cui si collega il potere officioso del giudice di valutarne la specifica rilevanza, ben potendo il giudice del gravame respingere la domanda di protezione internazionale, che risulti manifestamente infondata, sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo di causa e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa.” (cfr. Cass. 8931/2020 nonchè la gius sotto riportata).
1.3. Da ciò deriva che l’unico obbligo normativamente imposto al giudice di merito dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 10, nel caso di assenza di videoregistrazione, è costituito dalla fissazione dell’udienza di comparizione.
1.4. Al riguardo, deve precisarsi che questo Collegio è consapevole della recente pronuncia di questa Corte (Cass. 9228/2020) che ha valorizzato l’importanza dell’udienza “come luogo naturale per lo svolgimento dell’audizione del richiedente asilo”: è stato affermato, infatti, che “nei procedimenti di riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria, qualora la videoregistrazione del colloquio svoltosi in sede amministrativa non sia disponibile, o perchè non eseguita o perchè comunque non acquisita agli atti del processo, il giudice di merito deve sempre fissare l’udienza di comparizione personale del richiedente, da un lato al fine di consentire a quest’ultimo un accesso ed un contatto diretto con il suo giudice naturale precostituito per legge, e quindi la piena ed effettiva esplicazione delle garanzie processuali, e dall’altro lato in modo da acquisire tutti gli elementi necessari per condurre la valutazione di credibilità, o meno, della storia personale riferita dal richiedente medesimo. Ne deriva che detta udienza costituisce il luogo naturalmente deputato allo svolgimento dell’audizione personale del richiedente, che può essere evitata soltanto in via eccezionale, qualora il giudice di merito ritenga, all’esito di motivata decisione, che le contraddizioni e le carenze esterne della storia non possano essere superate dall’audizione stessa. In tal caso, va comunque garantita al richiedente la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni” (cfr. Cass. 9228/2020 in motivazione).
1.5. Si osserva, tuttavia, che il caso ivi considerato presentava la peculiarità di prendere le mosse dalla incertezza circa la presenza in atti del verbale trascritto dell’audizione resa dinanzi alla Commissione Territoriale e circa la stessa avvenuta audizione del richiedente asilo in sede amministrativa (cfr. pag. pag. 3 secondo cpv della pronuncia testè richiamata).
1.6. Nel caso in esame, invece, la sentenza impugnata dà atto che era stato acquisito il verbale della Commissione Territoriale e che dalle dichiarazioni in quella sede rese dal ricorrente doveva escludersi che il racconto potesse essere credibile: non vi sono pertanto motivi per discostarsi dall’orientamento assolutamente prevalente riportato al punto 1.2.1.
1.7. E, vale solo la pena di precisare che tale statuizione, riguardante il vaglio della credibilità del richiedente, è stata resa in modo argomentato, visto che la Corte territoriale ha evidenziato contraddizioni non sanabili neanche attraverso una nuova audizione (cfr. pag. 6 primo cpv della sentenza): trattasi di una valutazione di merito, coerente con le prescrizioni del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, pertanto, incensurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. 11925/2020; Cass. 13578/2020).
2. Con il secondo, terzo, quarto, quinto e sesto motivo, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione logica, il ricorrente deduce:
a. la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, sulla protezione sussidiaria, avendo escluso l’esistenza del fumus persecutionis con il mero riferimento alla sua credibilità e senza indagare sufficientemente sulle condizioni del paese di origine (secondo);
b. la violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 9, in quanto, nel provvedimento, era assente qualsiasi riferimento alle fonti ufficiali attendibili ed aggiornate su di esse: assume che la motivazione era del tutto stereotipata e priva di richiamo puntuale alle COI aggiornate (terzo e quarto).
c. la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c), non essendo stato riscontrato, nella situazione descritta, il danno grave riconducibile ai presupposti della protezione sussidiaria (quinto motivo);
d. la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, con conseguente violazione dell’art. 2 Cost. e degli artt. 3 ed 8 della CEDU: assume che la Corte aveva omesso di svolgere il giudizio comparativo previsto dalla ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte come elemento fondante della fattispecie, non considerando la condizione di vulnerabilità in cui versava, anche per il rischio di incolumità personale che aveva rappresentato (sesto motivo).
2.1. Il quarto motivo è l’antecedente logico degli altri ed è fondato.
2.2. Infatti, la sentenza impugnata è del tutto priva di ogni richiamo puntuale a fonti attendibili, aggiornate alla data della decisione e pertinenti con la situazione di conflitto permanente, generale insicurezza e violenza denunciata, in quanto il provvedimento si limita a riportare informazioni tratte da un sito internet (*****) privo di riferimento temporale ed inidoneo ad essere considerato una fonte ufficiale; o da articoli di giornale (El Plural 2012; Pubblico 2013) neanche attinenti con il paese di provenienza, nonchè dal sito “*****” (sulla cui inidoneità allo scopo cfr. Cass. 10834/2020) attraverso il quale, oltretutto viene valorizzata, contraddittoriamente, una situazione di grave instabilità e violenza interna che avrebbe dovuto condurre ad una soluzione opposta a quella adottata (cfr. pag. 8,9 e 11 della sentenza impugnata).
2.3. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “In tema di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che è disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, a seguito del quale opera il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura, mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice deve riportare nel contesto della motivazione, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea” (cfr. Cass. 11096/2019; Cass. 8819/2020; ed, in termini, anche Cass. 13897/2019; Cass. 9230/2020).
2.4. Ora, tenuto conto del rigetto della censura in punto di credibilità, tale principio ridonda comunque sulla valutazione delle forme di protezione in cui l’attendibilità del racconto non incide in termini preclusivi, e cioè la protezione sussidiaria di cui all’art. 14 lett. c) e la protezione umanitaria di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (cfr. Cass. 16122/2020; Cass. 8020/2020; Cass. 7985/2020; Cass. 10286/2020): le censure che le riguardano (e cioè, parzialmente, la quinta e la sesta) rimangono, pertanto, logicamente assorbite, e dovranno essere, nel complesso, riesaminate dalla Corte di rinvio.
2.5. Devono, invece,- dichiararsi inammissibili quelle relative alla domanda riguardante il riconoscimento dello stato di rifugiato e la protezione sussidiaria prevista per le ipotesi di cui all’art. 14, lett. a) e b), delle quali, rigettata la censura riguardante la credibilità, deve ritenersi precluso l’esame.
3. La sentenza, pertanto, deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro che, in diversa composizione, dovrà riesaminare la controversia alla luce del seguente principio di diritto:
“In tema di protezione sussidiaria dello straniero, ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta sulla base del pericolo di danno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato determinativa di minaccia grave alla vita o alla persona), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del Paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente. Al fine di ritenere adempiuto tale onere, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto”.
“In tema di protezione umanitaria, ai fini del giudizio di comparazione riferito ai tre elementi indicati dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 4455/2018 e Cass. SU 29459/2019) – e cioè la vulnerabilità, l’integrazione e la violazione dei diritti fondamentali al di sopra della soglia ineliminabile della dignità umana – il giudice di merito, per accertare il primo ed il terzo è tenuto ad acquisire informazioni aggiornate, attendibili e pertinenti al rispetto dei diritti fondamentali del paese di eventuale rimpatrio, in mancanza delle quali è configurabile la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6”.
La Corte di rinvio provvederà anche alla decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte:
accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta il primo, dichiara inammissibile il secondo e, parzialmente, il quinto ed assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro, in diversa composizione, per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 23 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021