LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28681/2019 proposto da:
A.Z.A., rappresentata e difesa dall’avv.to ASSUNTA FICO, con studio in Crotone, via Libertà 27b, (assunta.fico.avvocaticrotone.legalmail.it), elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1196/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 06/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
RILEVATO
che:
1. A.Z.A., cittadino ***** della regione del Punjiab, ricorre affidandosi a quattro motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro con la quale era stata respinta l’impugnazione della sentenza del Tribunale che aveva rigettato la domanda di protezione internazionale nelle forme previste dalla legge in via gradata, a seguito del diniego opposto dalla Commissione Territoriale.
1.1. Per quel che interessa in questa sede, il ricorrente aveva narrato di essere titolare di un’attività di commercio e riparazione di computer e di essere fuggito dal Pakistan per sottrarsi alla persecuzione ordita dal gruppo terroristico talebano, *****, che aveva avanzato nei suoi confronti ingenti richieste estorsive, minacciandolo anche di morte.
1.2. Ha dedotto altresì che, dopo aver denunciato i soprusi al Commissariato di polizia, aveva deciso di espatriare per paura di ritorsioni, non avendo ricevuto alcuna adeguata tutela dalle Autorità locali; e che, a prova della fondatezza dei suoi timori, il padre, che aveva preso le redini dell’attività, era rimasto vittima di un omicidio stradale organizzato, dopo la sua partenza dalle bande terroristiche che avevano esercitato pure su di lui l’attività estorsiva.
2. La parte intimata non si è difesa, depositando tardivamente controricorso non notificato alla controparte al solo fine di chiedere la partecipazione, ex art. 370 c.p.c., alla discussione della causa.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa e contraddittoria motivazione in relazione ad un punto decisivo della controversia e lamenta, altresì, la sua omessa audizione.
1.1. Assume che la Corte d’Appello aveva ritenuto inattendibili le dichiarazioni da lui rese dinanzi alla Commissione Territoriale e limitandosi a richiamare “i requisiti di veridicità espressamente previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” non aveva neanche proceduto a sollecitare un chiarimento delle contraddizioni riscontrate, disponendo la sua audizione in relazione agli elementi del racconto che aveva ritenuto scarsamente credibili.
2. Con il secondo motivo deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver omesso di esaminare e dare conto in motivazione dei documenti prodotti e comprovanti sia le minacce subite che la sua denuncia alle autorità che l’omicidio del padre. Lamenta, altresì, che non erano stati neanche esaminati quelli versati in atti a dimostrazione della sua attività lavorativa e, dunque, del grado di integrazione conseguito in Italia.
3. Con il terzo motivo, ancora, censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 7.
3.1. Assume che la Corte d’Appello aveva violato le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, sul dovere di cooperazione istruttoria in relazione all’assenza di tutela da parte delle autorità pakistane rispetto alla quale ricorrevano tutti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria ex art. 14 (soprattutto lett. c) D.Lgs. n. 251 del 2007, visto anche il fondato rischio di subire un “danno grave” per la mancanza di protezione nel Paese di rimpatrio.
4. Con il quarto motivo, infine, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 comma 6 e art. 19 TUI, in quanto i giudici d’appello non avevano valutato adeguatamente il percorso integrativo compiuto dal ricorrente ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.
5. Il primo ed il secondo motivo devono essere congiuntamente esaminati in quanto sono intrinsecamente connessi.
5.1. Il secondo rappresenta l’antecedente logico del primo: con esso si lamenta la nullità della sentenza per l’omesso esame della documentazione versata in atti a sostegno del racconto che giustificava la sua fuga e che si fondava su una vicenda estorsiva privata per la quale, nonostante la denuncia presentata, egli non aveva avuto tutela, ed il padre – che l’aveva subita insieme lui – era deceduto in circostanze non chiarite.
Su tale rilievo si fonda anche la prima censura con la quale denuncia che il suo racconto era stato ritenuto inattendibile senza alcun esame della documentazione prodotta; nè era stato disposto, nel giudizio, il rinnovo della sua audizione che gli avrebbe consentito di chiarire le contraddizioni rilevate.
5.2. Entrambe le censure sono fondate.
5.3. Risulta, infatti, dall’esame del verbale di audizione reso dinanzi alla Commissione Territoriale (v. il documento presente nel fascicolo di legittimità) che il ricorrente aveva ab origine prodotto i documenti posti a sostegno della veridicità del racconto (lettera estorsiva, denuncia alla polizia, certificato di morte del padre e copia degli atti del Tribunale di Islamabad concernenti il suo decesso): tali documenti, certamente decisivi per la valutazione di credibilità del racconto, sono stati nuovamente prodotti dinanzi al Tribunale e, visto il loro mancato esame, sono stati oggetto di specifica censura in sede di impugnazione (cfr. pag. 4 penultimo cpv ed 11 ultimo cpv. dell’atto d’appello), censura che non è stata affatto considerata nella sentenza impugnata che, dunque, ha reso, sul punto, una motivazione complessivamente apparente.
5.4. Tale rilievo assorbe quello concernete la mancata audizione, rispetto al quale vale la pena precisare che è stato affermato da questo Corte, con giurisprudenza assolutamente prevalente, il principio secondo il quale “nel giudizio d’impugnazione, innanzi all’autorità giudiziaria, della decisione della Commissione territoriale, ove manchi la videoregistrazione del colloquio, all’obbligo del giudice di fissare l’udienza non consegue automaticamente quello di procedere all’audizione del richiedente, purchè sia garantita a costui la facoltà di rendere le proprie dichiarazioni, o davanti alla Commissione territoriale o, se necessario, innanzi al Tribunale. Ne deriva che il Giudice può respingere una domanda di protezione internazionale solo se risulti manifestamente infondata sulla sola base degli elementi di prova desumibili dal fascicolo e di quelli emersi attraverso l’audizione o la videoregistrazione svoltesi nella fase amministrativa, senza che sia necessario rinnovare l’audizione dello straniero (cfr. Cass. 5973/2019; Cass. 2817/2019; Cass. 17076/2019; Cass. 1088/2020).
6. Ma anche la terza censura è fondata.
6.1. Nella sentenza impugnata, infatti, vengono riportate generiche informazioni sulle condizioni del Pakistan senza alcun riferimento a fonti ufficiali attendibili ed aggiornate concernenti la specifica vicenda narrata che pone al centro delle ragioni della fuga la mancanza assoluta di tutela che lo stato Pakistano garantisce ai cittadini vittime di estorsioni.
6.2. Il lungo exursus sulle condizioni generali, politiche, economiche e sociali del Pakistan (cfr. pag. 5, 6,7,8,e 9 della sentenza impugnata) nel quale viene descritta una situazione interna afflitta dal terrorismo da gravi debolezze da parte del governo, risulta, da una parte, totalmente privo dell’indicazioni delle fonti ufficiali aggiornate da cui le informazioni riportate sono state tratte (cfr. Cass. 13449/019; Cass. 13897/2019; Cass. 9230/2020) e, dall’altra, in contrasto con la successiva affermazione secondo cui non erano state evidenziate le ragioni per cui il richiedente non aveva “ritenuto di potersi difendere dal suo paese ricorrendo alle autorità locali di polizia” (cfr. pag. 9 penultimo cpv.).
7. Rimangono assorbite le doglianze riferite al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria, contenute nel quarto motivo, la cui decisione, anche in relazione alla necessaria comparazione fra integrazione, vulnerabilità e violazione dei diritti fondamentali (cfr. Cass. 4455/2018 e Cass. SU 29459/2019), indispensabile per la corretta valutazione della seconda fattispecie, dovrà fondarsi anche su un approfondito accertamento sulla effettiva garanzia fornita dallo Stato in favore dei cittadini che subiscono abusi di rilevanza penale, frutto del dovere di cooperazione istruttoria che, nel caso in esame, il giudice di merito non risulta abbia correttamente svolto.
8. La sentenza, pertanto, deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte;
accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021