Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.26309 del 29/09/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1459/2019 proposto da:

R.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TIBULLO 10, presso lo studio dell’Avvocato GIOVANNA NOCIFORA, rappresentato e difeso dall’Avvocato BENEDETTO CAIOLA;

– ricorrente –

contro

COMUNE SAN MARCO D’ALUNZIO, elettivamente domiciliato in SANT’AGATA DI MILITELLO, VIA SAN GIUSEPPE 51, presso lo studio dell’Avvocato SALVATORE CINNERA MARTINO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

LITA COSTRUZIONI SRL IN LIQUIDAZIONE, D.B., I.A., C.B., AXA ASSICURAZIONI SPA, AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1168/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 29/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/05/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

FATTI DI CAUSA

1. R.R. ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 1168/17, del 29 novembre 2017, della Corte di Appello di Messina, che ha dichiarato improcedibile, ex art. 348 c.p.c., comma 1, il gravame dalla stessa esperito avverso la sentenza n. 547/14, del 27 ottobre 2014, del Tribunale di Patti, che aveva rigattato la domanda risarcitoria dalla stessa proposta, nella qualità di erede del marito M.M., in relazione al sinistro del quale egli fu vittima, per responsabilità che l’odierna ricorrente addebitava al Comune di San Marco d’Alunzio ed alla società L.IT.A. Costruzioni S.r.l..

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver adito la sezione di Sant’Agata di Militello (poi soppressa “ex lege”, in corso di causa) del Tribunale di Patti, convenendo in giudizio il Comune e la società sopraindicati, per conseguire il ristoro di tutti i danni subiti, sia “iure proprio” che “iure hereditatis”, in ragione del decesso del proprio consorte, rimasto vittima il 24 luglio 2004 di un sinistro stradale, la responsabilità del quale l’allora attrice ascriveva alle condizioni del tratto di strada teatro dell’incidente, interessato da lavori eseguiti dalla L.IT.A. Costruzioni.

Costituitisi in giudizio i convenuti (la predetta società anche come capogruppo dell’ATI “LITA Costruzioni e LISO Costruzioni”, appaltatrice dei lavori “de quibus”), veniva autorizzata la chiamata in garanzia della società AXA Assicurazioni S.p.a., assicuratrice del Comune, nonché, su iniziativa di quest’ultima, della Carige S.p.a. (poi divenuta Amissima Assicurazioni S.p.a.) e dell’Ingegnere Capo dei Lavori e dei Direttori dei lavori, D.B., I.A. e C.B..

Rigettata la domanda della R. dal primo giudice, il gravame dalla stessa esperito veniva, come detto, dichiarato improcedibile – su eccezione del Comune – dal giudice di appello.

Esso, infatti, rilevava che tra la data della notificazione dell’atto di appello, ovvero il 25 settembre 2015, e la costituzione in giudizio dell’appellante, risalente al successivo 12 ottobre, fossero decorsi più dei dieci giorni stabiliti dal combinato disposto degli artt. 347 e 165 c.p.c., donde l’improcedibilità della proposta impugnazione a norma dell’art. 348 c.p.c., comma 1.

3. Avverso la sentenza della Corte messinese ha proposto ricorso per cassazione la R., sulla base di un unico motivo.

3.1. Esso denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 348 e 165 c.p.c., quest’ultimo come richiamato dagli art. 347 e 358 c.p.c..

La ricorrente deduce di avere provveduto – non essendo riuscita ad iscrivere tempestivamente la causa a ruolo, in ragione di un ritardo nella restituzione dell’atto di appello notificato – a riproporre “ex novo” il gravame, rinnovandone la notificazione, verso tutte le parti del giudizio, tra i giorni 9 e 16 dell’ottobre 2015, e dunque entro il termine breve di trenta giorni, ex art. 325 c.p.c., dalla precedente notificazione, e comunque nel rispetto di quello annuale (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) di cui al successivo art. 327.

La Corte territoriale, dunque, nel dichiarare improcedibile l’appello avrebbe fatto cattiva applicazione del principio relativo alla consumazione del potere di impugnazione, visto che esso consente – fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità del mezzo – che possa essere proposto un secondo atto di impugnazione (come la ricorrente deduce essere avvenuto nella specie), immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo. La sola condizione prevista è che il nuovo atto di impugnazione sia tempestivo, requisito per la cui valutazione occorre tenere conto, anche in caso di mancata notificazione della sentenza, non del termine annuale, che comunque non deve essere già spirato al momento della richiesta della notificazione della seconda impugnazione, ma del termine breve, che decorre dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante.

4. Ha resistito all’avversaria impugnazione il Comune di San Marco d’Alunzio, chiedendone la declaratoria di inammissibilità soprattutto in relazione al fatto che la sentenza impugnata non attesta la circostanza della proposizione del nuovo appello ovvero, in subordine, di infondatezza.

5. Le altre parti del giudizio di merito sono rimaste intimate nella presente sede di legittimità.

6. Fissata la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., la ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni e replicando a quelle del controricorrente.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7. Il ricorso è inammissibile, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6).

7.1. Nel procedere al suo esame, deve rilevarsi che – come dedotto dalla ricorrente – costituisce vero e proprio “diritto vivente”, l’affermazione secondo cui, nel processo civile, “il principio di consumazione dell’impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di impugnazione, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, purché esso sia tempestivo, requisito per la cui valutazione occorre tener conto, anche in caso di mancata notificazione della sentenza, non del termine annuale, bensì del termine breve, decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante” (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 4 giugno 2018, n. 14214, Rv. 649337-01), e ciò in quanto “il divieto di riproposizione di un secondo appello quando il primo sia inammissibile o improcedibile è correlato – a norma dell’art. 358 c.p.c. – non al momento in cui è stato proposto il primo appello inammissibile o improcedibile, bensì alla dichiarazione di tali inammissibilità o improcedibilità da parte del giudice dell’appello, con la conseguenza che la riproposizione non è impedita dalla pregressa verificazione di una fattispecie di inammissibilità o di improcedibilità del precedente appello che non sia stata ancora dichiarata dal giudice” (Cass. Sez. 5, ord. 21 febbraio 2020, n. 4658, Rv. 657349-01).

7.2. Nondimeno, come ha osservato il controricorrente, la sentenza della Corte messinese non dà conto della circostanza della proposizione del nuovo gravame da parte della R., né il ricorso “localizza” in quale parte del fascicolo di secondo grado che pure è allegato al ricorso, e che si indica come “dotato di indice proprio” – possa attingersi l’informazione relativa alla rinnovazione dell’impugnazione, e, soprattutto, alla sua tempestività.

Al riguardo, pertanto, va dato seguito al principio più volte enunciato da questa Corte, anche al suo massimo livello nomofilattico, secondo cui “sono inammissibili le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità” (Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2019, n. 34469, Rv. 656488-01).

7.3. Ne’, d’altra parte, osta alla declaratoria di inammissibilità del ricorso la natura di “vizio processuale” di quello da esso prospettato.

Difatti, la “deduzione con il ricorso per cassazione errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali” (così, tra le molte Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6014, Rv. 648411-01).

8. Le spese seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.

9. In ragione della declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste, a carico della ricorrente, l’obbligo di versare, se dovuto, l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna R.R. a rifondere, al Comune di San Marco D’Alunzio, le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, più Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari, in ipotesi, a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 7 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2021

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