LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29822/2019 proposto da:
S.M., rappresentato e difeso dall’avv.to GIOVANBATTISTA SCORDAMAGLIA, con studio in Petilia Policastro, via Arringa 60, ed elettivamente domiciliato presso la cancelleria civile della Corte di Cassazione, in Roma, Piazza Cavour;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;
– resistenti –
avverso la sentenza n. 419/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 27/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 23/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.
RILEVATO
che:
1. S.M., proveniente dal *****, ricorre affidandosi a tre motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che aveva respinto l’impugnazione proposta contro la pronuncia del Tribunale, di rigetto di tutte le forme di protezione internazionale domandate, in ragione del diniego opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione Territoriale.
1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente ha narrato di provenire dal Punjab, ove era vissuto fino al 2015, data in cui aveva lasciato il paese per le persecuzioni subite: in particolare, ha raccontato di aver assistito, insieme al padre, all’omicidio dell’IMAM degli sciiti per mano di alcuni terroristi sunniti, fatto che era stato da loro riferito alla polizia che era venuta a cercarli.
1.2. Ha aggiunto che qualche tempo dopo i criminali che avevano ucciso l’IMAM si erano recati a casa sua, assassinando il padre ed il fratello e che, nonostante la sua denuncia, la polizia non aveva svolto alcuna indagine, ragion per cui era stato costretto a fuggire, avendo constatato che nel proprio paese era impossibile ricevere tutela rispetto ai delitti ed ai soprusi subiti.
2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
Che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4 e dell’art. 116 c.p.c., comma 1, per l’omessa valutazione dei documenti prodotti, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, con riferimento ai profili di credibilità ingiustamente disattesi: lamenta altresì l’errata ed illogica valutazione delle sue dichiarazioni.
1.1. Lamenta che la Corte territoriale non aveva affatto esaminato le prove documentali che dimostravano l’omicidio del padre e del fratello e la denuncia da lui avanzata, documenti versati in atti sia nel primo che nel secondo grado di giudizio.
1.2. Assume che la Corte, oltre ad ignorarli, aveva formulato una valutazione di inattendibilità del suo racconto contraddittoria, distorcendo anche le dichiarazioni da lui rese in ordine alla cronologia degli eventi: infatti, egli aveva dichiarato di aver assistito all’uccisione dell’IMAM “nell’anno precedente” all’assassinio del padre ed era stato ritenuto inattendibile solo perchè il primo episodio risaliva al dicembre 2014 ed il secondo al febbraio 2015. Risultavano, dunque, violati i principi predicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in punto di credibilità in quanto la sua affermazione, in relazione al passaggio dell’anno, non era incompatibile con le date indicate.
2. Con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, art. 14, lett. B), con riferimento alla protezione sussidiaria.
2.1. Lamenta che, in ordine alle condizioni di tutela e sicurezza del paese, la Corte si era limitata a minimizzare il rischio, omettendo di acquisire C.O.I. aggiornate sulla condizione di grave instabilità ed insicurezza, nonostante che l’atto d’appello avesse indicato ampia documentazione dalla quale poteva desumersi la veridicità di quanto narrato.
3. Con il terzo motivo, infine, deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, nonchè la mancata valutazione della sua integrazione in termini comparativi, nonostante la copiosa documentazione prodotta a dimostrazione della percezione di un reddito annuo fin dal 2017 a dimostrazione del suo pieno inserimento nel paese ospitante.
4. I motivi vanno congiuntamente esaminati in quanto sono intrinsecamente connessi.
4.1. Il primo ed il secondo sono fondati ed il terzo deve ritenersi logicamente assorbito.
Si osserva, infatti, quanto segue.
4.2. La prima censura proposta che ridonda sulla nullità della sentenza per motivazione apparente e contraddittoria è pienamente condivisibile in quanto la credibilità del ricorrente in ordine al racconto narrato ed alla persecuzione subita è stata esclusa in modo apodittico.
4.3. La Corte territoriale, infatti, si è limitata ad affermare, aderendo alla pronuncia di primo grado, che il ricorrente “aveva indicato diverse e, comunque, non verosimili versioni in ordine alla data dell’omicidio nonchè al tempo trascorso fra la denuncia del padre ed il suo omicidio e in ordine al tempo trascorso fra l’uccisione dei suoi familiari e la sua fuoriuscita dal Pakistan” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), omettendo di esaminare la documentazione attestante l’uccisione del padre e del fratello, nonchè la denuncia da lui sporta alla polizia che, prodotta in atti, risulta decisiva in ordine alla valutazione della complessiva attendibilità dell’intera narrazione, anche in relazione alle date indicate (cfr. pag. 2 del ricorso ed All. B9 doc. 5-7 del fascicolo di parte versato in atti): il racconto, dunque, è stato giudicato con esclusivo riferimento ad una contraddizione che, oltre ad essere ampiamente spiegabile, è stata riportata attraverso una acritica adesione alla ordinanza di primo grado.
4.4. Appare, conseguentemente, fondata anche la censura di violazione di legge con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, essendo stati disattesi i principi prescritti dalla norma che il giudice è tenuto a seguire. (cfr. al riguardo, Cass. 26921/2017; Cass. 3340/2019; Cass. 13944/2020) 5. Ma anche la seconda censura risulta fondata.
5.1. La Corte d’Appello, infatti, ha del tutto omesso di richiamare fonti attendibili ed aggiornate alla data della decisione sulla questione dedotta con la vicenda narrata, limitandosi a riportate stralci di report di testate giornalistiche risalenti nel tempo (Atlante Geopolitico 2014, Limes) e di Amnesty International, (quest’ultima senza alcun preciso riferimento alla vicenda narrata e con indicazioni temporali non attuali, in quanto risalenti al 2012-2014, 2015 e 2016), non idonee ad essere ricondotte alla prescrizione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 5, ed, oltretutto, riguardanti criticità del paese di origine (attentati, terrorismo etc.) diverse da quella dedotta la quale consisteva nella mancanza generalizzata di tutela da parte dell’autorità statuale per i cittadini destinatari di abusi ed aggressioni anche per vicende private.
5.2. Questa Corte, al riguardo, ha condivisibilmente affermato che in tema di protezione sussidiaria, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, incombendo al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (cfr. ex multis Cass. 19716/2018; Cass. 8819/2020; Cass. 10286/2020).
5.3. Al riguardo – premesso che la censura è stata compiutamente proposta in quanto il ricorrente ha fondato la propria critica su un documento “conducente” (report del dipartimento di Stato USA-USDOS in data 3.3.2017 sui diritti umani in Pakistan che riferisce notizie allarmanti sulle condizioni delle forze dell’ordine nel paese, denunciando diffusa corruzione, mancanza di responsabilità e poteri discrezionali incontrollati: cfr. folio 9 e 10 del ricorso) – deve concludersi che il dovere di cooperazione istruttoria prescritto dalla norma sopra richiamata non sia stato correttamente esercitato.
6. Il terzo motivo, riguardante la protezione umanitaria, rimane logicamente assorbito dall’accoglimento dei primi due che, rimettendo al giudice del rinvio l’indagine sulle condizioni di tutela dei diritti fondamentali nel paese di origine, ridondano anche sugli elementi di comparazione sui quali si dovrà eventualmente fondare l’esame della fattispecie “minore” pure invocata.
7. In conclusione, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione che dovrà riesaminare la controversia alla luce dei seguenti principi di diritto:
“In tema di protezione internazionale, la valutazione effettuata dal giudice del merito in ordine al giudizio di credibilità delle dichiarazioni del richiedente, oltre a rispondere ai criteri predicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, deve essere anche argomentata in modo idoneo a rivelare la relativa “ratio decidendi”, senza essere basata, invece, su elementi irrilevanti o su notazioni, che, essendo prive di riscontri processuali, abbiano la loro fonte nella mera opinione del giudice cosicchè il relativo giudizio risulti privo della conclusione razionale.”
“Tale valutazione non può ritenersi volta alla capillare e frazionata ricerca delle singole, eventuali contraddizioni, pur talvolta esistenti, insite nella narrazione dei fatti accaduti, ma postula una valutazione complessiva del racconto e l’osservanza del principio, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. e), secondo cui nella valutazione di credibilità, si deve verificare anche se la narrazione “è, in generale, attendibile” con ciò intendendosi attribuire a tale inciso un significato di “globalità”, del tutto opposto alla atomizzazione delle circostanze narrate”.
“Nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del ricorrente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicchè il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di motivazione apparente”.
“Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” deve essere interpretato nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni presso gli organi specificamente indicati dalla norma deve essere osservato dal giudice in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti in seno alla richiesta di protezione internazionale”
8. La Corte di rinvio dovrà altresì decidere in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte;
accoglie il primo e secondo motivo di ricorso e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione per il riesame della controversia e per la decisione sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021
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