LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GORJAN Sergio – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20470/2016 proposto da:
N.C., rappresentato e difeso dall’Avvocato GENNAIO CONTARDI, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in ROMA, VIA CARONCINI 6;
– ricorrente –
contro
D.M., titolare della Ditta individuale Da.Mo. di D.M., rappresentato e difeso dagli Avvocati GIANCARLO TORRA, e CONCETTA TROVATO, ed elettivamente domiciliato, presso lo studio della seconda in ROMA, VIA della BALDUINA 7;
avverso la sentenza n. 171/2016 della CORTE d’APPELLO di TORINO, pubblicata il 4/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/05/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione, notificato in data 6.7.2009, N.C. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Alessandria nei suoi confronti, su richiesta di D.M., in qualità di titolare della ditta individuale Da.Mo di D.M., per Euro 8.509,61.
In particolare, il N. sosteneva di aver incaricato il convenuto opposto di realizzare presso la propria abitazione l’impianto elettrico, che tuttavia presentava vizi e difetti che egli aveva contestato e che, comunque, erano emersi da perizia che aveva provveduto a far predisporre, con la conseguenza che egli nulla doveva. Eccepiva, comunque, l’eccessività della somma richiestagli, tenuto conto di quanto egli aveva pagato a tale M.G., che aveva prestato la propria opera nella realizzazione dell’impianto elettrico; in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell’opposto a risarcirgli i danni, rappresentati dai lavori necessari per ovviare ai vizi dell’impianto, e i danni materiali arrecati dal convenuto all’appartamento durante l’esecuzione dei lavori.
Il convenuto si costituiva contestando il fondamento dell’opposizione.
La causa era istruita con ATP e CTU, disposte in causa.
Con sentenza n. 794/2014, depositata in data 30.7.2014, il Tribunale di Alessandria respingeva la domanda, rilevando l’inosservanza, da parte dell’attore, dei termini di denuncia di cui all’art. 1667 c.c., la mancata prova dei danni in ipotesi arrecati all’alloggio dell’attore, l’esito della CTU, per cui la somma richiesta era inferiore al valore dei materiali, del ricarico sugli stessi e della manodopera.
Avverso la sentenza proponeva appello il N., sostenendo che l’opera non era mai stata ultimata e, dunque, non si applicavano i termini decadenziali di denuncia di cui all’art. 1667 c.c., proponendo propri conteggi in merito ai costi delle opere realizzate dal D., a quelli del materiale acquistato dalle parti e sulla manodopera, ribadendo la propria tesi sui danni arrecati dal D. al proprio alloggio.
Si costituiva in giudizio l’appellato contestando il fondamento del gravame e chiedendone il rigetto.
Con sentenza n. 171/2016, depositata in data 4.2.2016, la Corte d’Appello di Torino, in parziale accoglimento dell’appello, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava il N. a corrispondere al D. la somma di Euro 7.340,55, oltre interessi legali dalla data di deposito del ricorso per decreto ingiuntivo al saldo; condannava l’appellante a rifondere all’appellato i quattro quinti delle spese processuali dei due gradi di giudizio. In particolare, la Corte di merito rilevava come, nell’opposizione al decreto ingiuntivo, il N. non avesse mai sostenuto la mancata consegna dell’opera, anzi dalle espressioni usate risultava chiaro il contrario, per cui il motivo di gravame era inammissibile trattandosi di questione nuova. Quanto alla tesi per cui la denuncia non era tardiva perché, sospettando che l’impianto non fosse a norma, il N. aveva incaricato della perizia l’ing. P. e che solo dal deposito della perizia il committente avesse avuto contezza dei vizi, essa era palesemente contraddetta dalle espressioni usate nell’atto di citazione di primo grado, ove il N. affermava – senza poi provare – di aver mosso al D. specifiche contestazioni riguardo ai vizi dell’impianto, il che escludeva la necessità della perizia. Il secondo motivo era in parte fondato, in quanto, in base alla CTU, risultava che nell’impianto erano presenti materiali acquistati dal N. per un valore di Euro 4.459,45, che doveva essere detratto dal valore totale dell’impianto, accertato dal CTU in Euro 11.800,00. Infondato era l’ultimo motivo di appello relativo a pretesi danni all’alloggio del N. non esistendo alcun elemento che potesse consentire di riferire al D. la causazione di tali danni.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione N.C. sulla base di cinque motivi, illustrati da memoria. Resiste D.M. con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell'”art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c., avendo il Giudice di seconde cure pronunciato oltre i limiti della domanda formulata dall’odierno resistente in sede di appello, nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2697 c.c., per illegittima inversione dell’onere probatorio circa la dimostrazione dell’impiego dei materiali edili nell’abitazione del ricorrente, oggetto di specifica contestazione”. Nel formulare le conclusioni in sede di appello, il resistente aveva chiesto la conferma della sentenza impugnata e del decreto ingiuntivo. Il Giudice di secondo grado, poiché a seguito della CTU era emerso che parte dei materiali rinvenuti nell’impianto era stata acquistata direttamente dal N. per una spesa pari a Euro 4.459,45, in parziale riforma della sentenza appellata, decideva di scorporare il suddetto importo dal valore complessivo dell’impianto al lordo dei necessari adeguamenti, come accertato dal CTU e pari a Euro 11.800,00, determinando per sottrazione l’importo dovuto all’odierno resistente. Tuttavia, così statuendo, la Corte di merito incorreva nel vizio di ultrapetizione violando l’art. 112 c.p.c.. Infatti, la Corte d’Appello, avendo accertato che parte dei materiali, di cui era stato richiesto il pagamento, erano stati acquistati dal N., avrebbe dovuto detrarre tale somma dall’importo effettivamente azionato, pari a Euro 8.509,61. Sotto un profilo immediatamente connesso, in relazione alla dedotta violazione della regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c., si evidenzia che il CTU aveva rilevato come la maggior parte dei materiali indicati nelle fatture depositate in giudizio dal resistente a comprova del credito e pretesamente afferenti al lavoro svolto presso l’abitazione del committente in realtà non erano rinvenibili in opera. Invece, il N. produceva fatture d’acquisto a lui intestate, riconosciute dal CTU compatibili con quanto in opera. Come già detto, il Giudice di secondo grado decideva di scorporare il costo dei materiali acquistati dal N. dal valore complessivo dell’impianto accertato dal CTU. Tuttavia, così giudicando, oltre a incorrere nel vizio di ultrapetizione, la Corte d’Appello violava la regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c.. Infatti, sottraendo dal valore complessivo dell’impianto accertato dal CTU (pari a Euro 11.800,00) l’importo di Euro 4.459,45, sopportato dal N. per i materiali acquistati, con condanna di quest’ultimo a corrispondere al D. la differenza tra i due suddetti valori (pari a Euro 7.340,55), il Giudicante operava una non consentita inversione dell’onere della prova, presumendo valere in favore del D. il costo dei materiali e della manodopera che il N. non aveva dimostrato di aver sostenuto in proprio, seppure in presenza di una specifica contestazione in punto di congruità del corrispettivo avanzata sin dal primo grado di giudizio. Si richiama la giurisprudenza consolidata della Suprema Corte secondo la quale, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 c.c., ove vi sia stata contestazione, anche di carattere generico, da parte dell’opponente in ordine all’effettività e consistenza delle prestazioni eseguite (Cass. n. 230 del 2016; Cass. n. 3463 del 2010). Pertanto, la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare di quali prestazioni e materiali il D. avesse fornito la prova alla luce delle contestazioni del ricorrente. In assenza di una puntuale dimostrazione la pretesa avrebbe dovuto essere respinta. Inoltre, la Corte d’Appello riconosce come dovuto al D. l’intero valore dell’impianto (Euro 11.800,00) omettendo di detrarre dall’importo complessivo le spese preventivate dal perito per rendere l’impianto conforme alle normative vigenti, pari a Euro 2.800,00, oltre IVA.
1.1. – Il motivo non è fondato.
1.2. – Con riferimento al primo profilo, riguardante la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., il controricorrente rilevava come la questione fosse stata formulata per la prima volta in detta sede e come tale fosse inammissibile, non avendo mai, il ricorrente, prima d’allora eccepito che il costo dei materiali da lui acquistati dovesse essere detratto dall’importo azionato dal ricorrente e non dal valore dell’impianto. Laddove il resistente aveva sempre domandato l’importo delle opere eseguite, manodopera e materiali dal medesimo acquistati, senza nulla chiedere per il materiale acquistato direttamente dal N..
Proprio su tale circostanza il Tribunale aveva coerentemente istruito il giudizio onde accertare il valore dell’intero impianto, detraendo da questo il costo dei materiali acquistati dal N.. Lo stesso aveva fatto poi la Corte d’Appello, la quale non aveva in alcun modo pronunciato oltre i limiti della domanda, avendo anzi ridotto l’importo preteso dal resistente.
1.3. – Anche la seconda parte del primo motivo (asserita violazione dell’art. 2697 c.c.) risulta inammissibile in quanto la censura appare proposta per la prima volta in questa sede.
Si fa, dunque, richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in tema di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 c.c., ove vi sia stata contestazione, anche di carattere generico, da parte dell’opponente in ordine all’effettività e consistenza delle prestazioni eseguite (Cass. n. 230 del 2016; Cass. n. 14556 del 2004).
Costituisce principio ripetutamente affermato quello secondo cui “La norma di cui del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50, ha esclusivo ambito di applicazione nel procedimento monitorio, mentre, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, trovano applicazione le consuete regole di ripartizione dell’onere della prova, con la conseguenza che l’opposto, pur assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, sicché spetta a lui provare nel merito i fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio” (Cass. n. 14640 del 2018; Cass. n. 3341 del 2009).
E, pertanto, “nel successivo giudizio in contraddittorio, introdotto dall’ingiunto con l’opposizione ex art. 645 c.p.c., nel quale, attesane la natura di ordinario giudizio di cognizione, il creditore in favore del quale l’ingiunzione è stata emessa assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 c.c., ove vi sia stata contestazione da parte dell’opponente in ordine all’effettività e alla consistenza delle prestazioni eseguite ovvero all’applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste, circostanze la cui valutazione e’, poi, rimessa al libero apprezzamento del giudice” (ex pluribus, Cass. 30 luglio 2004 n. 14556; Cass. 15 febbraio 2010 n. 3463).
2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione, ex “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, per nullità della sentenza per motivazione apparente e obiettivamente incomprensibile, caratterizzata da affermazioni inconciliabili e contrastanti tra loro, nella parte in cui rileva la tardività della denunzia dei vizi e la conseguente intervenuta decadenza dall’azione ai sensi dell’art. 1667 c.c., giudicando che il N. avrebbe conosciuto tutti i vizi dell’impianto commissionato in epoca anteriore alla stesura della relazione tecnica a cura dell’Ing. P. in data 24.6.2009, nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per illegittima inversione dell’onere probatorio in violazione dell’art. 2697 c.c., in merito a tale circostanza”. Nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, il N. dichiarava di aver contestato sin da subito i vizi dell’impianto realizzato (non corrispondente a quello richiesto, quanto all’impianto elettrico di tipo domotico, al sistema d’allarme e al pavimento e parquet). Tali anomalie erano state prontamente contestate all’appaltatore in forma orale e poi ribadite in forma scritta in data 30.4.2009. Nel mese di aprile 2009, sospettando l’esistenza di ulteriori vizi, il N. conferiva incarico all’ing. P. di appurare la rispondenza dell’impianto alle normative vigenti, anche in tema di sicurezza. I vizi riscontrati, in seguito alla perizia, erano diversi e ben più gravi (essendo relativi anche alla sicurezza) rispetto a quelli individuati precedentemente dal N., oltre che non conoscibili ictu oculi a persona inesperta.
Il ricorrente deduce altresì come la sentenza impugnata si discosti dall’orientamento della Suprema Corte, secondo la quale in tema di appalto, in caso di vizi occulti o non conosciuti dal committente, il termine di prescrizione dell’azione di garanzia ma il principio è applicabile anche alla decadenza – decorre dalla data di scoperta dei vizi, scoperta da ritenere acquisita dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera (Cass. n. 19757 del 2011). Nella fattispecie, erano presenti vizi non qualificabili come nozioni di comune esperienza. Invece, la Corte d’Appello sembrava aver tratto elementi di prova avversi alla tesi sostenuta dal ricorrente della tempestiva denuncia dei vizi evidenti e la mancata conoscenza di quelli occulti prima della relazione tecnica, non tanto dalle dichiarazioni testimoniali, bensì dai termini lessicali utilizzati nella formulazione dei capitoli di prova. Inoltre, è onere dell’appaltatore dimostrare che il committente fosse a conoscenza dei vizi occulti in data anteriore a quella della loro scoperta (Cass. n. 18402 del 2009). Il resistente non forniva tale prova.
2.1. – Il motivo non è fondato.
2.2. – Quanto al secondo motivo, si deduce che, per sua stessa ammissione, il N., ancor prima della perizia e dei suoi risultati, fosse già a conoscenza degli asseriti vizi degli impianti, avendo sempre sostenuto di averli denunciati anche durante l’esecuzione delle opere. Poiché, tuttavia, di tali denunce non era stata fornita la prova, entrambi i Giudici di merito avevano accertato la decadenza dalla garanzia per vizi. Come evidenziato dal Giudice d’appello, che aveva fatto proprie le conclusioni del Tribunale, la necessità della perizia per la contezza dei vizi risultava palesemente contraddetta dalle espressioni usate nell’atto di citazione di primo grado, ove il N. affermava di aver mosso al D. specifiche contestazioni riguardo a quelli che poi assumere essere i vizi dell’impianto. Tale affermazione escludeva che la perizia dell’ing. P. fosse necessaria allo scopo.
In ordine alla ritenuta decadenza dalla garanzia si osserva che il giudice di appello aveva ritenuto che il committente fosse decaduto (in quanto era decorso il termine di denuncia della fine dei lavori ed erano erano iniziate le prime doglianze in merito alla loro esecuzione). Laddove, anche se taluni vizi non fossero stati riconoscibili, il ricorrente non aveva fornito alcun elemento indiziario sulla asserita tempestività della denuncia; questa affermazione dovendo essere intesa nel senso che non avrebbe fornito elementi utili per individuare la data in cui i vizi sarebbero stati scoperti.
2.3. – In particolare, coerentemente, la motivazione della Corte distrettuale (ritenuta nuova la tesi della mancata ultimazione e consegna dell’opera, e quindi inidonea a fondare un motivo di gravame) rendeva evidente come essa fosse palesemente contraddetta dalle espressioni usate dal ricorrente nell’atto di citazione di primo grado ove il N. aveva affermato (ma non provato) di avere mosso al D. specifiche contestazioni riguardo a quelli che poi aveva assunto essere i vizi dell’impianto, la qual cosa (sentenza impugnata, pag. 3). Sicché, sotto altro profilo, ove si riconosca che il vizio è occulto e non riconoscibile dal committente, implicitamente si riconosce che la situazione di fatto è tale per cui il vizio viene scoperto solo con seguito dell’esperimento di apposita relazione peritale (così, testualmente in motivazione Cass. n. 13402 del 2009; v. anche Cass. n. 2460 del 2008).
Poiché delle asserite precedenti specifiche contestazioni non è stata fornita prova alcuna, è evidente la correttezza della motivazione della sentenza impugnata, che evidenzia la non necessità della perizia per la piena conoscenza dei vizi, con conseguente tardività della denuncia per vizi, che in realtà sarebbero stati già ben noti prima.
Nella fattispecie, non si può parlare di vizi occulti, avendo il N. ammesso di avere avuto sempre contezza dei vizi e di averli tempestivamente denunciati. Neppure sussiste alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto, alla luce delle ammissioni del N., era da ritenersi provato che il medesimo fosse a conoscenza delle anomalie già prima della perizia. Si richiama la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale in tema di appalto, ove l’appaltatore eccepisca la decadenza del committente dalla garanzia, di cui all’art. 1667 c.c., incombe su questi l’onere di dimostrare di averli tempestivamente denunciati (Cass. n. 10579 del 2012).
3. – Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta ex “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’onere probatorio gravante in capo al resistente di fornire la prova dell’opera effettivamente prestata nella realizzazione dell’impianto commissionato, oggetto di specifica contestazione”. Fin dal primo grado di giudizio il ricorrente ha contestato l’eccessività della somma richiesta dal D. in ragione della mancata rispondenza del “prospetto ore di lavoro”, prodotto dalla controparte, alle ore effettivamente lavorate, nonché in ragione delle prestazioni rese da M.G. e direttamente retribuite a quest’ultimo dal N., come documentato.
3.1. – Il motivo è infondato.
3.2. – La questione è stata affrontata nell’ambito della contestazione del primo motivo, in relazione all’asserita falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per illegittima inversione dell’onere probatorio circa la dimostrazione dell’impiego di materiali edili nell’abitazione del ricorrente. Già era stato evidenziato che dalle prove orali e documentali e dalla CTU fosse emersa piena prova non solo dei materiali acquistati dal D. ma anche dell’esecuzione delle opere. Pertanto, la Corte d’Appello ha ritenuto accertato il valore delle opere realizzate dal D. sulla base delle prove da questi fornite, senza applicare alcuna illegittima inversione dell’onere probatorio.
4. – Con il quarto motivo, il ricorrente censura ex “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, nella parte in cui, con motivazione obiettivamente incomprensibile e contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, non detrae la percentuale di ricarico sui materiali riconosciuti come acquistati dal ricorrente, benché il CTU l’avesse applicata nella stima del valore complessivo dell’impianto realizzato”. La Corte d’Appello detrae il costo dei materiali riconosciuti come acquistati dal N., senza però applicare il ricarico che, come precisato in sentenza, non può essere operato dal committente che acquista i materiali, né dall’appaltatore che li utilizza. Tuttavia, essendo già ricompreso il ricarico dei materiali all’interno del valore complessivo dell’impianto stimato dal CTU, il ragionamento fallace del Giudicante porta a detrarre dal totale il solo costo vivo dei materiali acquistati dal N., lasciando così il ricarico applicato sugli stessi a beneficio del D.. Se il ricarico non lo può operare neppure l’appaltatore che utilizza i materiali acquistati dal committente, la sentenza impugnata riconosce in favore del resistente la percentuale di ricarico sui materiali acquistati direttamente dal N., contraddicendo il proprio stesso ragionamento.
4.1. – Il motivo è inammissibile.
4.2. – Per la prima volta viene sollevata la nuova questione relativa al fatto che nella determinazione del corrispettivo dovuto fosse stato erroneamente incluso il ricarico sui materiali acquistati direttamente dal committente.
Il motivo è altresì inammissibile in quanto la Suprema Corte non può riesaminare il fatto, il cui accertamento è riservato al Giudice di merito. Costituisce principio consolidato quello secondo cui l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016). Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità, unicamente nel caso in cui la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire al rapporto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).
5. – Con il quinto motivo, il ricorrente deduce ex “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 115 c.p.c., per non aver la Corte d’Appello posto a fondamento della decisione una circostanza non puntualmente contestata da controparte, nello specifico le ore lavorate da M.G. e la somma allo stesso corrisposta, nonché ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione alla dedotta inesistenza di criteri volti a determinare il costo della manodopera fornita dal M., con motivazione obiettivamente incomprensibile connotata da affermazioni inconciliabili tra loro”. Il ricorrente sottolinea che nel giudizio di merito è stata documentalmente comprovata l’opera prestata dal M. nella realizzazione dell’impianto con specifica indicazione del numero di ore lavorate e dell’importo dovuto per ciascuna ora, per un ammontare corrisposto dal ricorrente peri a Euro 2.740,00. Tali conteggi non sono mai stati oggetto di contestazione. Secondo il Giudice d’Appello non è possibile decurtare quanto corrisposto al M. dal valore dell’impianto perché non sussisterebbero i criteri idonei a quantificare il valore delle prestazioni rese. Dal momento che mai il D. ha contestato la circostanza che il M. abbia lavorato alla realizzazione dell’impianto, né il numero delle ore di lavoro indicate, né la congruità della retribuzione corrisposta allo stesso dal N., tali elementi avrebbero dovuto essere posti a fondamento della decisione ai sensi dell’art. 115 c.p.c..
5.1. – Il motivo è inammissibile.
5.2. – Anche l’ultimo motivo risulta inammissibile in quanto si tratta di questione nuova: il ricorrente non ha mai sostenuto la tesi dell’asserita mancata contestazione da parte del resistente delle ore lavorate dal M., con implicito riconoscimento delle avversarie allegazioni. Il motivo è inammissibile anche perché attiene al merito della controversia. Invero, il D. ha sempre contestato che il M. avesse prestato la propria attività nell’esecuzione delle opere appaltate, affermando che lo stesso si fosse limitato ad apportare modifiche agli impianti, una volta terminati, su incarico conferito dallo stesso N..
6. – Il ricorso va dunque rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 13 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2021
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