Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.269 del 12/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5483/2018 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO DI FRANCIA N. 178, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA PANSINI, rappresentato e difeso dall’avvocato CRESPINO IPPOLITO;

domiciliazione p.e.c. crispinoippolito.pecavvpa.it;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE N. 173, presso lo studio dell’avvocato LILIANA TERRANOVA, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONINO CATALANO, MARCO LIPARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2265/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 29/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria;

udito l’Avvocato.

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

G.M. ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, corredati da memoria, avverso la sentenza n. 2265 del 2017 della Corte di appello di Palermo, esponendo che:

– si era opposta al decreto ingiuntivo ottenuto da M.A., a norma dell’art. 614 c.p.c., per il pagamento delle spese sostenute per l’esecuzione di obblighi di estirpazione e potatura di alberi, nonchè per il pagamento dei compensi legali dovuti in ragione dell’assistenza prestata per il medesimo procedimento coattivo;

– aveva dedotto che:

– non era stata allegata l’anticipazione delle spese prevista dalla norma invocata;

– le uniche opere eseguite, come attestato dal relativo verbale del processo esecutivo, erano quelle di potatura, ma l’esecuzione era avvenuta spontaneamente;

– le spese di precetto non potevano essere ingiunte, potendo essere autoliquidate;

– mancava il necessario visto dell’ufficiale giudiziario;

il Tribunale rigettava l’opposizione con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui:

– la pure dedotta e sopravvenuta sospensione del titolo esecutivo, rappresentato da una sentenza del Giudice di Pace, disposta in sede di appello, ostava a ulteriori atti coattivi ma non poteva incidere su crediti per spese di esecuzione già sorti;

– la circostanza della mancata esecuzione di alcune opere non inibiva il rimborso delle spese sostenute nel corso del procedimento coattivo;

– le spese richieste erano quelle legali e di consulenza tecnica d’ufficio, documentate e che non necessitavano di visto, mentre erano state escluse dall’ingiunzione quelle di precetto suscettibili di autoliquidazione;

resiste con controricorso M.A..

Rilevato che:

con il primo motivo si prospetta l’omessa pronuncia, l’omesso esame e l’omessa motivazione in cui sarebbe incorsa la Corte di appello, non avvedendosi che il titolo esecutivo era stato caducato dal rigetto dell’originaria domanda pronunciato in sede di rinvio a seguito della cassazione della pronuncia di appello, trattandosi di questione rilevabile d’ufficio fondata su sentenze prodotte in udienza e discusse, in seconde cure, dalla stessa controparte in sede di memorie di replica;

con il secondo motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso in uno alla violazione degli artt. 81,115 c.p.c., art. 336 c.p.c., comma 2, poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che, come anticipato nella precedente censura, il Tribunale di Palermo, con la sentenza n. 1160 del 2016, pronunciata seguito di cassazione con rinvio da parte di questa Corte, aveva annullato la sentenza del Giudice di Pace della stessa città n. 3300 del 2004 posta a base dell’esecuzione, rigettando le domande di M.A., con conseguente effetto espansivo interno rilevabile officiosamente e idoneo a travolgere anche il decreto ingiuntivo emesso per il recupero delle viste spese del processo esecutivo;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 373,614 c.p.c., poichè, come dedotto con specifico motivo di appello, il decreto ingiuntivo era stato emesso durante la disposta sospensione dell’esecuzione del titolo esecutivo correlativo, in modo dunque inammissibile;

con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 612 e 614 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che l’esecuzione non era avvenuta, atteso che le opere non erano state poste in essere nè, pacificamente, quanto alle estirpazioni, nè quanto alle potature, effettuate spontaneamente, sicchè non potevano liquidarsi spese al riguardo;

con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 612,614,115 c.p.c., art. 2697, c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che non si trattava di spese anticipate, sicchè non avrebbe potuto utilizzarsi l’art. 614 c.p.c.;

con il sesto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., poichè le spese processuali del giudizio avrebbero dovuto essere diversamente imputate in forza della fondatezza delle sopra riportate ragioni;

Rilevato che:

il primo, secondo e quinto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibile l’ultimo e fondati i primi due per quanto di ragione;

al di là della loro veste formale, le censure sollevano la questione degli effetti della sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo sul decreto ingiuntivo pronunciato per liquidare le spese del processo di esecuzione degli obblighi di fare;

l’art. 614 c.p.c., prevede che, al termine della suddetta esecuzione o nel corso di essa, la parte istante può ottenere un provvedimento monitorio per la liquidazione delle spese sostenute per l’attuazione coattiva, sulla base di nota vistata dall’ufficiale giudiziario, che, integrando prova scritta dotata di efficacia privilegiata, legittima il decreto provvisoriamente esecutivo, previa valutazione giudiziale non solo della congruità e della generale riferibilità delle stesse al titolo, ma altresì della necessità delle stesse in relazione al titolo esecutivo;

ciò in quanto non si versa nell’ipotesi dell’espropriazione, in cui, quando l’esecuzione ha raggiunto il suo scopo anche parzialmente, si procede alla distribuzione del ricavato al netto dei costi esecutivi che su di esso gravano: nell’esecuzione degli obblighi di fare o non fare – così come per rilascio o consegna – dev’essere diversamente verificato che le spese siano effettivamente la conseguenza dell’inadempimento dell’obbligo (cfr. Cass., 29/05/2003, n. 8634);

sebbene, poi, l’art. 614 c.p.c., faccia riferimento alle spese anticipate e vistate, in dottrina si è sostenuto che non vi è motivo per escludere che la parte istante possa richiedere allo stesso giudice dell’esecuzione un decreto ingiuntivo anche per le spese di rappresentanza tecnica, fermo che, con riguardo ad esse, difettando la prova scritta privilegiata, il decreto ingiuntivo non potrà essere munito della provvisoria esecuzione ai sensi dell’art. 614 c.p.c., comma 2, ma solo ricorrendone i presupposti generali;

in questa prospettiva, la circostanza che la novella legislativa apportata (dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. e, convertito nella L. 14 maggio 2005, n. 80) all’art. 611 c.p.c., abbia richiamato l’art. 91 c.p.c., esplicitando in quel caso la competenza funzionale del giudice dell’esecuzione (Cass., 12/07/2011, n. 15341, Cass., 04/11/2013, n. 24730), non esclude che la richiesta del monitorio per il recupero degli onorari possa essere fatta al giudice dell’esecuzione anche nell’esecuzione degli obblighi di fare e non fare;

in questa chiave, ad analoga conclusione deve in coerenza giungersi per la liquidazione degli onorari del consulente tecnico d’ufficio;

nella fattispecie, però, la parte non dimostra, riportandone in ricorso compiutamente i termini ai sensi dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, di aver sollevato anche nelle fasi di merito la specifica questione, di cui la sentenza impugnata non parla, della mancanza di competenza funzionale del giudice dell’esecuzione, sicchè la quinta censura è inammissibile;

ciò posto, l’adozione, anche da parte del giudice dell’esecuzione, di un decreto ingiuntivo per i compensi del consulente tecnico d’ufficio e per quelli dell’avvocato del creditore procedente, deve confrontarsi con la caducazione del titolo azionato introducendo il processo per l’esecuzione dell’obbligo in parola;

chiarito che il monito, come indicato nell'”incipit” dell’art. 614 c.p.c., comma 1, può chiedersi anche nel corso dell’esecuzione, deve valutarsi la conseguenza della menzionata caducazione intervenuta nel corso del processo coattivo, sul decreto che il giudice abbia ritenuto di adottare prima del termine dell’esecuzione e, comunque, senza attendere l’esito dell’impugnazione del titolo ad essa sotteso;

questa Corte ha sempre ribadito che il venir meno del titolo è preliminarmente rilevabile d’ufficio sia dal giudice dell’esecuzione sia dal giudice del pieno merito delle opposizioni esecutive, anche in sede di rinvio (Cass., 11/12/2018, n. 31955);

nell’ipotesi di elisione del titolo, la ragione giustificativa del provvedimento giudiziale adottato in altro giudizio per liquidare le spese inerenti all’esecuzione in parola, viene parimenti meno, e le stesse non possono che restare a carico del creditore procedente il quale abbia inteso procedere alle vie coattive egualmente, nelle more, cioè, della prosecuzione del giudizio di cognizione nel corso del quale si era formato provvisoriamente quel titolo esercitato;

ciò si può evincere dal principio generale per cui le spese fanno carico all’esecutato quando l’esecuzione abbia raggiunto il suo scopo ovvero non lo abbia raggiunto per cause non ascrivibili al creditore procedente, essendo questa la ragione del richiamo, effettuato dall’art. 632 c.p.c., comma 4, all’art. 310 c.p.c., u.c.;

traendo le fila da quanto sopra può concludersi che anche in sede di opposizione al decreto ingiuntivo con cui risultano liquidati i compensi di rappresentanza tecnica del creditore e di assistenza giudiziale inerenti al processo per l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, deve potersi rilevare d’ufficio il venir meno del titolo esecutivo presupposto e, pertanto, per quanto rileva in quella sede, della sussistenza stessa di una legittima ragione creditoria, producendosi, in altri termini, l’effetto espansivo enunciato dall’art. 336 c.p.c., comma 2;

dalle deduzioni prospettate con il ricorso (pag. 7, primo capoverso), e dalla correlativa produzione rinvenibile nel fascicolo di parte, la caducazione del titolo risulta avvenuta quanto all’obbligo di estirpazione ma non quanto a quello di potatura;

questo si può evincere dalla pag. 7 della sentenza di questa Corte n. 10502 del 2013 e dalla pag. 1, quarto capoverso, della sentenza n. 1160 del 2016 pronunciata dal Tribunale di Palermo a seguito della cassazione con rinvio dell’originaria decisione del Giudice di Pace azionata quale titolo esecutivo;

ne discende che il giudice del rinvio di questo giudizio dovrà rivalutare le spese tenendo conto di questa caducazione parziale del titolo;

il terzo motivo è inammissibile;

la censura non si misura con la “ratio decidendi” della Corte territoriale secondo cui la sospensione operava per gli atti di esecuzione successivi e non per quelli sino a quel momento posti in essere;

il quarto motivo è in parte assorbito, in parte inammissibile;

quanto alle potature la censura anche in tale caso non si misura con la “ratio decidendi” della Corte territoriale secondo cui quelle erano state poste in essere a seguito delle iniziative esecutive intraprese e non “spontaneamente”;

quanto al profilo della mancata esecuzione della sentenza per ciò che concerneva il residuo obbligo di estirpazione, la censura è assorbita dalle conclusioni in punto di caducazione parziale del titolo;

il sesto motivo, così qualificato dalla parte, è assorbito dalla cassazione con rinvio, fermo restando che non si tratta di una censura di legittimità quanto piuttosto della pretesa conseguenza dell’assunta fondatezza delle proprie ragioni complessive;

spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie per quanto di ragione i primi due motivi, rigetta il quinto, dichiara inammissibili il terzo e il quarto, assorbito il sesto, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Palermo perchè si pronunci, in diversa composizione, anche sulle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021

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