LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23596-2019 proposto da:
AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SIMETO, 27, presso lo studio dell’avvocato PAOLA BAGLIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
B.A., B.M., B.D., BO.AL., in proprio ed in qualità di eredi della signora D.M.M.T., e B.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TARO, 25, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO IANNUCCI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEILI MAZI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3507/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 26/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
RITENUTO
CHE:
1.- B.S., trentaquattrenne, il ***** è stata ricoverata presso l’Ospedale *****, proveniente da una comunità di cura per malattie psichiatriche; nonostante l’indicazione di TSO, la donna è stata inserita in un normale reparto, insieme ad altri pazienti. Il giorno *****, subito dopo cena, è morta in preda a convulsioni, mentre rientrava camera.
B.A., B.D., B.A. e B.M. hanno agito in giudizio, con atto di citazione dell’8 febbraio 2008, quali eredi della ragazza (e della madre D.M.M.T.) contro la ASL ROMA *****, dopo essersi costituiti parte civile nel processo penale instaurato nei confronti degli infermieri e conclusosi con la declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
2.- Il Tribunale ha ritenuto la natura contrattuale della responsabilità, dunque ha escluso la prescrizione, e però ha rigettato nel merito la domanda, dopo una istruttoria basata su CTU ed alcune prove documentali, all’esito della quale è stato escluso il nesso di causa.
Invece, la Corte di Appello ha rivalutato le prove, ed in particolare la stessa CTU, ed ha affermato la responsabilità della ASL (meglio, dei suoi dipendenti) condannandola al risarcimento del danno in favore degli attori.
3.-Il ricorso della ASL Roma ***** è basato su due motivi, ed è contestato dagli intimati con il loro controricorso. Sono state depositate memorie di B. e ASL.
CONSIDERATO
CHE:
4.- Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 2947 c.c. e artt. 589 e 157 c.p..
Secondo la ASL, poiché la responsabilità dell’ente nei riguardi dei parenti della vittima è di tipo extracontrattuale, non avendo quelli stipulato alcun contratto con la ASL, a differenza di quest’ultima, il termine relativo di prescrizione è di cinque anni; ma, se anche quel termine fosse fatto consistere nel più lungo termine di prescrizione del reato – di omicidio colposo – sarebbe comunque decorso, essendo quest’ultimo stabilito in sette anni e mezzo; che comunque non vale ad interrompere la prescrizione la costituzione di parte civile nel processo penale, poiché trattasi di atto rivolto verso gli infermieri – imputati nel processo- e non della ASL.
Il motivo è infondato.
La decisione impugnata infatti riconosce correttamente che, in difetto di un contratto tra i parenti della vittima e l’ospedale, la responsabilità di quest’ultimo verso quelli è di natura extracontrattuale; riconosce tuttavia che, costituendo il fatto altresì reato, oltre che illecito civile, il termine di prescrizione dell’azione di risarcimento è quello, più lungo, coincidente, per l’appunto, con quello previsto per il reato; ma avverte che, al momento della commissione del fatto (febbraio 1999), il termine di prescrizione del reato di omicidio era di 10 anni, solo successivamente ridotti dalla riforma sopravvenuta (L. n. 251 del 2005), che però non si applica retroattivamente alle azioni civili basate su fatti anteriori alla sua entrata in vigore.
La decisione fa corretta applicazione di una giurisprudenza di questa corte in base alla quale nell’ipotesi di illecito civile costituente reato, qualora, ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3, occorra fare riferimento al termine di prescrizione stabilito per il reato e questo sia stato modificato dal legislatore rispetto al termine previsto al momento della consumazione dell’illecito, deve applicarsi il termine di prescrizione del momento di consumazione del reato, valendo il principio di irretroattività della norma e non rilevando, agli effetti civilistici, il principio della norma più favorevole (Cass. 6333/2018; Cass. 13407/2012).
Non rileva quindi occuparsi di eventuali atti interruttivi, posto che comunque, essendo il fatto del ***** e la citazione dell’8 febbraio 2008, il termine decennale – da reato – è stato rispettato.
5.- Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 115 e 167 c.p.c..
Secondo la ASL, la Corte di Appello ha, da un lato, invertito l’onere della prova negando che gli attori dovessero dimostrare di essere legittimati, ossia parenti della vittima; per altro verso non ha rilevato che non lo erano, ed avrebbe dovuto farlo d’ufficio, trattandosi di questione non soggetta all’onere di eccezione di parte.
Il motivo è infondato.
Intanto, non c’e’ una decisione della corte di merito sull’onere della prova, nel senso che non si dice da alcuna parte che, a dimostrare la legittimazione attiva non debba essere chi agisce, ma altri; ma soprattutto va considerato che se è vero che si tratta di questione rilevabile d’ufficio è altresì vero che il giudice può rilevarla, senza eccezione di parte, se risulta dagli atti (tra le tante Cass. n. 1174/2018). Non risulta, in quanto la ricorrente non lo allega, che emergesse dagli atti il difetto di legittimazione, ed anzi, sembrerebbe il contrario se si adduce che era onere degli attori dimostrare la loro titolarità del diritto – segno, ossia, che non era evidente la sua carenza.
Inoltre, ed è ciò che più conta, il Tribunale aveva pronunciato sulla legittimazione attiva, ritenendola sussistente, così che era onere della ASL proporre impugnazione; in difetto della quale la decisione sulla legittimazione degli attori è passata in giudicato e dunque non poteva essere oggetto di una decisione di iniziativa del giudice di merito, il cui potere di rilevare d’ufficio determinate questioni ha comunque il limite del giudicato interno.
6.- Il ricorso va rigettato.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ASL ricorrente al pagamento della somma di 17.000,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese legali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 21 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2021
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