Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.27719 del 12/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24632/2016 proposto da:

N.A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.

PISANELLI N. 4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIGLI, che lo rappresenta e difende:

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO *****, in persona dell’amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO n. 45, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO SABBATANI SCHIUMA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2923/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/05/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

viste le conclusioni scritte depositate dal P.G., nella persona del Sostituto Dott. ALESSANDRO PEPE, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione ritualmente notificato N.A.S. impugnava la Delib. dell’assemblea del condominio ***** in data 30 ottobre 2006, nella parte relativa all’approvazione del consuntivo e del relativo riparto della gestione condominiale 2005/2006 e di alcuni lavori straordinari all’epoca eseguiti sullo stabile di proprietà comune.

Nella resistenza del Condominio, la domanda veniva rigettata dal Tribunale di Roma.

Interponeva appello il N. avverso la decisione di prime cure. Nel corso del gravame, l’appellante depositava la copia della sentenza del Tribunale di Roma n. 3596/2014, a suo dire relativa a questioni identiche a quelle oggetto della controversia, invocando il giudicato esterno prodotto da detta decisione.

Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Roma rigettava l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione N.A.S., affidandosi a diciassette motivi.

Resiste con controricorso il Condominio *****.

Sia il ricorrente che il controricorrente hanno depositato memoria.

Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2909 c.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto tener conto della statuizione contenuta nella sentenza del Tribunale di Roma n. 3596/2014, passata in giudicato e prodotta dal N. nel corso del giudizio di secondo grado, precisamente all’udienza del 21.5.2015. Detta decisione avrebbe affermato la fondatezza delle doglianze relative:

1) alla mancata esposizione, nel bilancio del condominio, degli interessi sulle somme versate dai singoli condomini;

2) al criterio utilizzato per la ripartizione delle spese di pulizia della scala dello stabile;

3) all’esistenza di gravi irregolarità nella redazione e nell’applicazione della tabella millesimale relativa alle scale e all’ascensore.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la nullità della decisione impugnata per violazione del giudicato esterno derivante dalla sopra richiamata sentenza n. 3596/2014 del Tribunale di Roma.

Le due censure, suscettibili di trattazione unitaria, sono inammissibili.

Il ricorrente afferma che l’oggetto del giudizio definito con la sentenza n. 3596/2014 era in parte coincidente con quello oggetto del presente ricorso, ma non fornisce alcuna indicazione specifica, né sulla domanda che in quel precedente contenzioso egli aveva proposto e coltivato, né su quale sia stato l’effettivo contenuto della decisione in relazione alla quale invoca l’effetto di giudicato esterno. Allega soltanto, nello svolgimento del primo motivo del ricorso, che quella prima sentenza avrebbe confermato l’illiceità:

1) della mancata esposizione, nel bilancio del condominio, degli interessi sulle somme versate dai singoli condomini;

2) del criterio utilizzato per la ripartizione delle spese di pulizia della scala dello stabile;

4) nonché l’esistenza di gravi irregolarità nella redazione e nell’applicazione della tabella millesimale relativa alle scale e all’ascensore (cfr. pag. 6 del ricorso).

Subito dopo, tuttavia, afferma che il giudizio definito con la sentenza n. 3596/2014 avrebbe riguardato anche altre tematiche, quali il costo di un abbonamento alla rivista della Proprietà Edilizia, il consuntivo dei canoni di locazione dell’appartamento condominiale, il deposito cauzionale non incassato (senza peraltro neanche precisare di quale deposito cauzionale si tratterebbe), nonché il calcolo degli interessi attivi sulla giacenza del conto corrente condominiale (cfr. pag. 8 del ricorso). L’evidente non corrispondenza dei due passaggi del motivo in esame non consentono al collegio di ricostruire con la necessaria precisione né i termini della domanda che era stata proposta dal N. nel primo giudizio, né il contenuto della sentenza che lo ha definito. Inoltre, il ricorrente neppure indica se quel primo contenzioso aveva avuto ad oggetto le spese ed il bilancio condominiali relative alla stessa annualità oggetto della presente lite, ovvero una annualità diversa, precedente o successiva. Le censure, dunque, sono inammissibili per difetto del necessario grado di specificità e per contraddittorietà.

Peraltro è doveroso rilevare che la sentenza n. 3596/2014 sarebbe -secondo la ricostruzione in fatto fornita dallo stesso ricorrente- passata in giudicato nel corso del giudizio di secondo grado (cfr. pag. 6 del ricorso). Il N. dà atto di aver prodotto la sentenza di cui anzidetto all’udienza del 21.5.2015 – senza, peraltro specificare se la copia depositata fosse munita della certificazione di intervenuto passaggio in giudicato, o meno – ma non deduce chiaramente di aver fatto valere già nel corso del giudizio di secondo grado il giudicato asseritamente derivante da tale decisione. Dal che discende un ulteriore profilo di inammissibilità delle due censure in esame, posto il principio – al quale il collegio ritiene di dare continuità – secondo cui “In tema di impugnazioni, nel caso in cui il giudicato esterno si sia formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata eccepita, nel corso dello stesso, dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione (in particolare, nelle forme di cui all’art. 395 c.p.c., n. 5) e non con quello per cassazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 21493 del 20/10/2010, Rv. 614451; conf. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22506 del 04/11/2015, Rv. 637074 e Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13987 del 23/05/2019, Rv. 653999).

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la mancanza della Delibera dell’assemblea condominiale di autorizzazione della spesa relativa all’assicurazione del fabbricato.

La censura è infondata.

Il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda del N. su questo specifico profilo, ritenendo che la scelta della compagnia assicurativa cui affidare la copertura del fabbricato condominiale rientrasse tra le prerogative dell’assemblea. Il ricorrente aveva appellato la sentenza del Tribunale sul punto, sostenendo che la deliberazione assembleare non vi fosse mai stata. La Corte di Appello, con la sentenza oggi impugnata, ha rigettato la doglianza, affermando che anche in difetto di preventiva deliberazione assembleare di autorizzazione alla spesa, l’implicita approvazione dell’operato dell’amministratore emerge dalla deliberazione con cui l’assemblea approvi la spesa, che vale come ratifica. La statuizione, non attinta dal motivo in esame, è coerente con il principio, affermato da questa Corte, secondo cui “A differenza di quanto previsto dall’art. 1134 c.c. – che consente il rimborso al condomino delle spese sostenute senza autorizzazione soltanto in caso di urgenza- l’art. 1135 c.c., non contiene analogo divieto di rimborso delle spese non urgenti sostenute dall’amministratore nell’interesse comune; ne consegue che l’assemblea di condominio può ratificare le spese ordinarie e straordinarie effettuate dall’amministratore senza preventiva autorizzazione, anche se prive dei connotati di indifferibilità ed urgenza, purché non voluttuarie o gravose, e, di conseguenza, approvarle, surrogando in tal modo la mancanza di una preventiva di Delibera di esecuzione” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18192 del 10/08/2009, Rv. 609158; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2864 del 07/02/2008, Rv. 601813).

L’unico limite è che non si tratti di spese prive di qualsiasi inerenza alla gestione condominiale, poiché in tal caso “La Delibera dell’assemblea di condominio che ratifichi una spesa assolutamente priva di inerenza alla gestione condominiale è nulla, e non già semplicemente annullabile, senza che possa aver rilievo in senso contrario il fatto che la spesa sia modesta in rapporto all’elevato numero di condomini e all’entità complessiva del rendiconto” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18192 del 10/08/2009, Rv. 609155; nella specie, si trattava di spese relative al telefono privato dell’amministratore ed all’acquisto di una licenza di software compiuta in proprio dall’amministratore).

Per quanto concerne, nello specifico, la spesa per l’assicurazione dello stabile, va richiamato il principio per cui “In tema di condominio, è configurabile la ratifica del contratto di assicurazione dello stabile condominiale stipulato dall’amministratore non investito del relativo potere dall’assemblea, qualora il premio sia stato periodicamente pagato all’assicuratore mediante approvazione annuale da parte dell’assemblea dei rendiconti di spesa, non occorrendo a tal fine che l’argomento sia stato espressamente posto come tale all’ordine del giorno dell’assemblea poiché si verte in ipotesi di ratifica tacita” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15872 del 06/07/2010, Rv. 614024). La ratifica dell’operato dell’amministratore, dunque, può emergere anche dal semplice fatto che l’assemblea condominiale abbia approvato il consuntivo che esponeva la spesa, senza che sia necessaria né una specifica deliberazione sul punto, né la preventiva esposizione della questione all’ordine del giorno.

Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta che le spese di pulizia delle scale dell’edificio condominiale sarebbero state erroneamente ripartite tra i condomini secondo la tabella A allegata al regolamento -concernente i millesimi di proprietà-nonostante lo stabile sia dotato di due scale autonome. Ad avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe dovuto ripartire la spesa distinguendo le due scale, e addebitando la quota parte della spesa di pulizia relativa a ciascuna di esse ai soli condomini che, in concreto, la utilizzavano. L’art. 5 del regolamento condominiale, infatti, rinvierebbe, per le scale, all’art. 9, e dunque il riparto della spesa avrebbe dovuto essere operato non in base alla tabella A -richiamata dall’art. 5 – ma alla tabella B – richiamata invece dall’art. 9.

La censura è infondata.

La sentenza impugnata valorizza, tra l’altro, il fatto che la ripartizione della spesa per la pulizia delle scale dell’edificio sia stata sempre effettuata secondo la tabella A, e questa statuizione non è attinta adeguatamente dal motivo in esame. Il ricorrente afferma che ciò non sarebbe vero, ma non approfondisce la questione, né evidenzia da quale elemento istruttorio, ritualmente acquisito agli atti del giudizio di merito, emergerebbe la prova contraria a quanto ritenuto dal giudice di appello. Inoltre, il ricorrente non riproduce né le clausole degli artt. 5 e 9 del regolamento, né i millesimi delle tabelle A e B, in tal modo non consentendo al collegio la verifica, in concreto, della sussistenza di una ripartizione differente, e dunque di un pregiudizio idoneo a sostenere l’invocato annullamento della deliberazione condominiale.

Infine, e per concludere sul punto, il vizio – ove mai esistente – non sarebbe causa di nullità della Delibera assembleare, ma al massimo di annullabilità della stessa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10886 del 01/10/1999, Rv. 530404). E, sotto questo profilo, va considerato che in ogni caso, in presenza di una tabella applicata di fatto, o comunque di un criterio di ripartizione seguito in concreto per un certo tempo, si configura una presunzione di vigenza del detto criterio di riparto della spesa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 602 del 19/01/1995, Rv. 489768; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3245 del 10/02/2009, Rv. 606690, secondo cui i condomini “sono liberi di accordarsi tra loro ai fini della ripartizione di tutte o alcune delle spese comuni, purché sia rispettata, a norma dell’art. 1123 c.c., la quota posta a carico di ciascuno in proporzione al valore della rispettiva proprietà esclusiva”).

Con il quinto motivo, il ricorrente si duole del fatto che la Corte distrettuale non abbia rilevato il fatto che l’assemblea condominiale aveva approvato una spesa per manutenzione del giardino, ma che il relativo lavoro non era stato eseguito. Ad avviso del ricorrente, lo stato di abbandono in cui versava l’area verde comune dimostrava che la spesa per la sua manutenzione non era mai stata effettuata, o al massimo era stata eseguita senza alcuna prestazione in corrispettivo.

La censura è inammissibile, perché essa si risolve in una istanza di riesame dell’apprezzamento di fatto svolto dal giudice di merito (Cass. Sez. U., Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). La Corte di Appello ha affermato che l’assemblea aveva approvato la spesa, ed il ricorrente non soltanto non si confronta con tale ratio, ma neppure si cura di indicare da quale elemento istruttorio, ritualmente acquisito agli atti del giudizio di merito, emergesse la prova – che certamente spettava al N. fornire – del fatto che si trattasse di una spesa fittizia, o perché mai eseguita, o perché riferita a prestazioni mai rese.

Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta il fatto che il giudice di merito avesse ritenuto sufficiente la ratifica, da parte dell’assemblea condominiale, della spesa per l’abbonamento ad una rivista, della quale in realtà fruiva solo l’amministratore. Il Tribunale aveva ritenuto la doglianza irrilevante, considerato lo scarso impatto economico della spesa sul ricorrente, e quest’ultimo aveva specificamente impugnato la decisione di primo grado sul punto. La Corte di Appello afferma che non sarebbe contestato l’uso della rivista da parte di tutti i condomini, e ritiene quindi ammissibile la ratifica ex post da parte dell’assemblea del condominio. Il ricorrente contesta la ricostruzione della Corte distrettuale, allegando di aver sempre sostenuto che in realtà della rivista si beneficiava il solo amministratore, e non tutti i condomini.

La censura è inammissibile.

Il passaggio della motivazione secondo cui il ricorrente non avrebbe specificamente contestato l’uso della rivista da parte di tutti i condomini (cfr. pag. 8 della sentenza) avrebbe dovuto essere attinto dal ricorrente mediante una doglianza specifica, che avrebbe dovuto contenere la precisa indicazione del momento del giudizio di merito in cui la contestazione sarebbe stata sollevata. In difetto, il motivo è inammissibile per carenza di specificità.

Con il settimo motivo, il ricorrente si duole del fatto che il giudice di merito non abbia accolto la censura relativa all’erronea esposizione, nell’attivo del bilancio del condominio, dei canoni attivi derivanti dalla locazione a terzi del bene in proprietà comune. Ad avviso del ricorrente, detti proventi non avrebbero dovuto essere computati nell’attivo del bilancio condominiale, ma ripartiti tra i condomini in ragione dei loro millesimi di partecipazione alla cosa comune. La Corte di Appello, come già il Tribunale, ha ritenuto indifferente la questione perché comunque i condomini avrebbero poi dovuto contribuire al bilancio condominiale pro quota, sempre secondo i loro millesimi. Il ricorrente censura tale statuizione, affermando che in questo modo tutte le spese si conteggiano, quanto al riparto, secondo la tabella A, mentre alcune di esse sarebbero da conteggiare con modalità, e secondo tabelle, differenti.

La censura, che pure propone un tema di rilievo (posto che i canoni attivi derivanti dalla locazione dell’appartamento condominiale si ripartiscono tra i condomini in ragione dei loro millesimi di proprietà, mentre non tutte le spese seguono necessariamente analogo criterio di riparto) viene tuttavia prospettata dal N. in modo inammissibile. Anche in questo caso, infatti, il ricorrente non indica né quali sarebbero, in concreto, le spese che avrebbero dovuto essere ripartite in modo diverso dalla quota millesimale di proprietà, né da dove emergerebbe la relativa prova, né quale sarebbe, in sostanza, il danno concreto che egli avrebbe ricavato dall’erronea operazione contabile eseguita dall’amministratore.

Con l’ottavo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancata pronuncia sulla domanda relativa al pagamento delle quote condominiali imposto prima dell’approvazione del consuntivo e del riparto. Il ricorrente sostiene che la ripartizione della spesa avrebbe dovuto conseguire, e non precedere, l’approvazione del consuntivo.

La censura è inammissibile.

Le spese di manutenzione, conservazione e gestione della cosa comune, infatti, di ripartiscono tra i partecipanti al condominio sulla base del preventivo di spesa, che ogni anno viene approvato dall’assemblea in uno al relativo riparto. Al termine di ciascun esercizio si redige poi il consuntivo, che viene del pari approvato dall’assemblea dell’ente di gestione, anche in questo caso in uno al relativo eventuale riparto, ove risultino conguagli in dare o in avere. I due riparti – quello attinente al preventivo e quello conseguente al consuntivo – sono perciò totalmente diversi; il primo, infatti, serve a dividere tra i partecipanti al condominio le somme che si stimano necessarie per provvedere alla gestione della cosa comune nell’arco dell’anno; il secondo, invece, chiude la singola annualità contabile indicando i conti di saldo definitivi e le eventuali differenze a debito o credito. La censura, con la quale il ricorrente vorrebbe in sostanza posticipare ogni spesa ad un momento successivo all’approvazione del consuntivo, è totalmente fuori fuoco, poiché non si confronta neppure con le ordinarie modalità di gestione del condominio. Inoltre, il motivo è generico, perché il ricorrente non indica neppure, in modo preciso, su quale domanda sarebbe, in ipotesi, stata oggetto di omesso esame da parte della Corte di Appello.

Con il nono motivo, il ricorrente si duole del mancato accoglimento, da parte della Corte distrettuale, della censura con la quale egli aveva contestato la voce di spesa relativa alla pulizia dell’impianto di riscaldamento, sul presupposto che per essa l’amministratore non avesse presentato alcuna fattura. Il Tribunale aveva ritenuto sufficiente, sul punto, l’approvazione della spesa da parte dell’assemblea, ed il ricorrente aveva proposto appello avverso tale punto della decisione di prima istanza, sostenendo trattarsi di esborso mai approvato dall’assemblea condominiale. La Corte di Appello ritiene il motivo inammissibile per novità, poiché in prime cure il ricorrente si sarebbe lamentato di “come” il lavoro era stato eseguito, mentre solo in appello avrebbe dubitato del “se” il lavoro fosse stato eseguito. In tal modo, secondo il N., la Corte capitolina avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda, debitamente veicolata in un motivo di appello.

La censura è infondata.

Pur non trattandosi di questione nuova – come erroneamente ritenuto dalla Corte di Appello – posto che essa era stata introdotta già in primo grado e veicolata in seconde cure mediante apposito motivo di impugnazione, occorre ribadire che anche in questo caso l’approvazione, da parte dell’assemblea, del consuntivo annuale, nel quale la spesa in esame risultava esposta, vale come approvazione dell’esborso e ratifica dell’operato dell’amministratore, in applicazione dei principi già richiamati a confutazione del terzo motivo di ricorso. La spesa di manutenzione dell’impianto di riscaldamento comune, o di sue parti, rientra infatti certamente nelle spese di gestione della cosa comune, e quindi essa può essere ratificata anche mediante la semplice approvazione del consuntivo dell’annualità in cui essa è stata sostenuta. L’eventuale assenza della fattura che giustifichi la spesa può rilevare come indice di irregolarità nella gestione della contabilità del condominio, o come causa di responsabilità dell’amministratore, ma non vale certamente a porre nel nulla la Delibera di approvazione del consuntivo in cui la spesa in questione sia stata esposta, né a limitarne l’efficacia sanante di cui anzidetto.

Con il decimo motivo il ricorrente si duole del mancato accoglimento, da parte della Corte distrettuale, della censura che egli aveva proposto in relazione al fatto che nel bilancio non fossero stati esposti gli interessi attivi del conto corrente condominiale. Il Tribunale aveva respinto la domanda, evidenziando che il ricorrente non aveva mai obiettato alcunché circa la gestione del conto corrente condominiale. La Corte di Appello ha disatteso la censura proposta dal N. sul punto, affermando che gli interessi attivi sulle giacenze del conto corrente condominiale non vanno necessariamente riportati in bilancio, da una parte perché non potrebbero mai essere aggiornati alla data di approvazione del bilancio, e dall’altra perché comunque ogni condomino ha pieno diritto di accedere, in forza della disposizione di cui all’art. 1129 c.c., alla documentazione del conto corrente condominiale. Ad avviso del ricorrente, le argomentazioni utilizzate dalla Corte territoriale sarebbero inconferenti rispetto alla censura.

La doglianza è infondata.

Una volta verificato che le disponibilità attive di pertinenza del condominio confluiscono sul conto corrente condominiale, gli interessi attivi sulle somme ivi depositate non possono che essere accreditate in conto; esse, dunque, risultano indicate necessariamente tra i movimenti in attivo sull’estratto del conto corrente comune, e pertanto sono inevitabilmente calcolati nel saldo del rapporto alla data di chiusura di ciascun consuntivo annuale. La mancata specificazione dell’importo di dette somme non implica alcuna variazione del risultato aritmetico finale, posto che comunque esse sono accreditate in conto corrente, e dunque risultano comprese nel saldo attestato dal relativo estratto conto. Fa eccezione l’ipotesi in cui l’amministratore, o altri, abbiano eventualmente distratto detti interessi attivi, ma la questione non viene neppure prospettata dal motivo in esame.

Con l’undicesimo motivo, il ricorrente lamenta l’omissione della motivazione, sia in termini generali, che con specifico riferimento alla questione dell’assicurazione condominiale, già oggetto del terzo motivo del ricorso.

La censura è inammissibile, posto che essa viene proposta in termini assolutamente generici. Il ricorrente, infatti, non chiarisce in cosa si sostanzierebbe l’apparenza, che peraltro non sussiste affatto, considerato che la Corte capitolina si è pronunciata su tutte le questioni poste dal N., confrontandosi costantemente con i motivi di appello ed affrontando tutte le diverse questioni sottoposte al suo vaglio mediante i medesimi.

Con il dodicesimo motivo, il ricorrente riprende le censure già proposte con il quarto motivo, in relazione al criterio adottato dal condominio per la ripartizione della spesa per la pulizia delle scale.

La censura, che non aggiunge alcun elemento ulteriore rispetto al contenuto del quarto motivo, è infondata per le medesime ragioni già enunciate a confutazione di detta precedente doglianza.

Con il tredicesimo, quattordicesimo, quindicesimo e sedicesimo motivo, che sono suscettibili di essere trattati unitariamente, il ricorrente riprende le censure già proposte in relazione ai lavori riferibili all’impianto di riscaldamento ed al giardino, rispettivamente oggetto del nono motivo, le prime, e del quinto motivo, le seconde.

Anche in questo caso, le doglianze non aggiungono alcun ulteriore elemento rispetto al contenuto del nono e del quinto motivo, e di conseguenza sono, rispettivamente, infondate, quelle concernenti la spesa riferita all’impianto di riscaldamento, ed inammissibili, quelle relative alla spesa inerente al giardino comune.

Con il diciassettesimo ed ultimo motivo, il ricorrente riprende le censure già proposte nel decimo motivo di ricorso, in relazione all’erronea contabilizzazione degli interessi attivi sulle giacenze esistenti sul conto corrente condominiale.

La censura è infondata, anche in questo caso per i medesimi motivi già esposti in occasione dello scrutinio del decimo motivo di ricorso, perché essa non aggiunge alcun elemento ulteriore.

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.300, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2021

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