Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.281 del 12/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

M.A. IMPIANTI di M.A., titolare dell’impresa individuale omonima, rappr. e dif. dagli avv. Roberto Orfeo, Barbara Fardin e Elena Allocca, elett. dom. presso lo studio della terza, in Roma, via Angelico n. 38, come da procura in calce all’atto.

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** s.p.a., in persona del cur.fallim. p.t., rappr.

e dif. dall’avv. Antonio Pinamonti, elett. dom. in Roma, presso lo studio dell’avv. Domenico Bonaccorsi Di Patti, in via Federico Cesi n. 72, come da procura in calce all’atto.

– controricorrente –

per la cassazione del decreto Trib. Padova 20.4.2018, rep. 2002/18, in R.G. 72/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020 dal Presidente relatore Dott. Ferro Massimo.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A. M., titolare dell’impresa individuale M.A. IMPIANTI di M.A., impugna il decreto Trib. Padova 20.4.2018, rep. 2002/18, in R.G. 72/2017 che, rigettando il reclamo avverso il decreto del giudice delegato del fallimento ***** s.p.a., ha negato che il ricorrente, creditore della società fallita, potesse essere considerato artigiano; tale qualifica, scrutinata alla luce dei parametri della L. n. 443 del 1985, stante l’applicazione ratione temporis del novellato art. 2751-bis c.c., n. 5, non solo non è stata provata con la domanda, ma anzi risulta positivamente esclusa, per prevalenza del capitale investito rispetto al lavoro in azienda;

2. in particolare il tribunale, chiamato all’esame della sola sussistenza del privilegio, scrutinando gli anni 2014-2015 ha: a) ravvisato in essi “la prevalenza dell’aspetto commerciale”, anche rispetto al costo del lavoro dipendente; b) negato preponderanza o rilievo all’aspetto qualitativo della produzione, stante l’elevato costo delle materie prime e un’attività professionale ordinaria esercitata (installazione impianti elettrici); c) ritenuto la conclusione piuttosto di contratti d’appalto d’opera, incompatibili con il modello artigiano meritevole del privilegio codicistico.

3. il ricorrente deduce in due motivi: a) la violazione dell’art. 2751-bis c.c., n. 5, in relazione alla L. n. 443 del 1985, artt. 2-3, avendo errato il tribunale a richiamare parametri di tipo matematico, senza considerare lo svolgimento personale e manuale dell’attività, il numero dei dipendenti (solo uno) e la tipologia di prestazioni; b) la violazione degli artt. 2222 e 1655 c.c. avendo erroneamente il tribunale qualificato i contratti come d’appalto d’opera e non di opera, senza motivazione, per trascuratezza degli elementi anche documentali offerti dal creditore, impegnato in via diretta nel processo produttivo, a comprova della prevalenza della sua capacità lavorativa in azienda e in generale del lavoro sul capitale; le parti hanno altresì depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il primo motivo è inammissibile; la complessa contestazione con cui esso è formulato richiama una interpretazione già avversata dalla giurisprudenza di legittimità che, nel ricostruire il sistema del privilegio artigiano a seguito del novellato art. 2751-bis c.c., n. 5), ha chiarito che il D.L. 9 febbraio 2012, n. 5, art. 36 (conv. nella L. 4 aprile 2012, n. 35) conferisce la causa di prelazione ai “crediti dell’impresa artigiana, definita ai sensi delle disposizioni legislative vigenti, nonchè delle società ed enti cooperativi di produzione e lavoro per i corrispettivi dei servizi prestati e della vendita dei manufatti” superando, per un verso, il criterio dell’art. 2083 c.c. e rinviando, per altro, a tutti i parametri della L. definitoria n. 443 del 1985;

2. la conseguente disamina, riservata al giudice di merito, dei fatti posti dal creditore, onerato sul punto della prova della prevalenza del lavoro del titolare dell’impresa individuale e del fattore lavoro rispetto al capitale investito, ha condotto ad un motivato giudizio negativo, sia per i limiti del contributo offerto proprio dal ricorrente, sia per il peso attribuito ad alcuni fattori organizzativi e dei costi (materie prime, materie sussidiarie, di consumo e merci e costi per servizi di terzi) rispetto al subvalente coacervo lavoristico derivante dai ricavi (costo del lavoro dipendente, salario figurativo del titolare); tali fattori non sono stati contestati dalla parte, che si è limitata ad invocare una contraddizione per omessa valorizzazione della qualità delle prestazioni, della seconda attività (commerciale) inaugurata nel 2015, del reale contratto d’opera e non d’appalto condotto, mentre a sua volta il requisito della citata prevalenza del lavoro dovrebbe solo essere inteso, restrittivamente, quale predominanza dell’attività del titolare nell’impresa (e del suo dipendente) rispetto ad altre occupazioni economiche del medesimo, escludendo dalle spese imputabili a capitale i servizi resi da terzi;

3. già questa Corte ha dunque statuito che “in tema di accertamento del passivo, ai fini dell’ammissione di un credito come privilegiato, ai sensi dell’art. 2751-bis c.c., n. 5, nel testo applicabile a seguito della novella introdotta dal D.L. n. 5 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 35 del 2012, non è sufficiente l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane in quanto essa, pur avendo natura costitutiva, costituisce un elemento necessario ma non sufficiente ai fini del riconoscimento del suddetto privilegio dovendo concorrere con gli altri presupposti previsti dalla L. n. 443 del 1985, cui la norma codicistica rinvia” (Cass. 18723/2018); e che il rinvio sia a tutte le condizioni poste dalla legge quadro è stato confermato da Cass. 29916/2018, nè potrebbe essere altrimenti avuto riguardo alla natura di condizione necessaria ma non sufficiente rivestita dalla iscrizione all’albo, per il quale – decisivamente – la L. n. 443 del 1985, art. 5 pone l’obbligatorietà dell’adempimento e l’unitaria sussistenza di tutti i requisiti di cui alla L. stessa, artt. 2, 3 e 4;

4. è stata così conferita continuità all’indirizzo, già sorto anteriormente alla riforma della norma attributiva del privilegio artigiano (Cass. 15785/2000), per cui il citato art. 3 “si basa sulla valorizzazione di un rapporto, tra i nominati fattori di produzione, che, seppur esplicitato con riferimento alle società, non può non riguardare gli imprenditori individuali. La preminenza del lavoro personale sul capitale, con riferimento alle imprese individuali, costituisce difatti un dato del tutto coerente con la natura artigiana dell’impresa, giacchè è la stessa nozione di piccolo imprenditore, desumibile dall’art. 2083 c.c., ad esigere che l’apporto del primo sia prevalente sul secondo” (Cass. 22379/2019); proprio tale precedente ha condivisibilmente osservato altresì che “ove si ritenesse che il nominato rapporto di preminenza fosse applicabile alle sole società, si consentirebbe all’impresa individuale di essere organizzata sulla base di apporti di capitale proporzionalmente più consistenti rispetto a quelli ammessi per l’impresa artigianale collettiva: e tale soluzione, oltre ad essere del tutto illogica, candiderebbe la norma a un fondato sospetto di incostituzionalità per l’ingiustificata disparità del trattamento riservato, da un lato, all’impresa individuale e, dall’altro, a quella collettiva”;

5. ne consegue che anche la dizione ‘limiti dimensionalì, quale presupposta nel decreto, ben può essere intesa come espressione di sintesi di tutti i requisiti organizzativi, numerici e personalistici che debbono concorrere per ottenere lo status amministrativo di artigiano e, anche ai fini del privilegio, la medesima considerazione; tanto più che i giudici patavini con chiarezza hanno fatto riferimento all’insieme dei presupposti iscrizionali, esercitando una prerogativa che la cit. Cass. 29916/2018 (oltre che Cass. 22379/2019) pone esplicitamente quale attività di verifica demandata ogni volta e caso per caso all’autorità giudiziaria rispetto all’atto amministrativo iscrizionale, che non instaura una particolare presunzione; esso invero non è sufficiente ai fini dell’attribuzione del privilegio, ma va attualizzato con riguardo all’epoca dell’insorgenza del credito;

6. sotto questo profilo, la natura individuale dell’impresa del ricorrente, non permette ex se di separare la nozione di prevalenza del lavoro di cui alla più generale definizione della L. n. 443 del 1985, art. 3 – che infatti censisce l’impresa artigiana così prescrivendo per ognuna di esse, al di là della formula organizzativa adottata (individuale o collettiva) “che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale” – rispetto alla nozione di imprenditore artigiano; questi, all’art. 2, risulta “colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”; ciò significa che, essendo l’impresa artigiana quella esercitata dall’imprenditore artigiano ed essendo i crediti dell’impresa artigiana assistiti da privilegio se ricorrono le condizioni della L. n. 443 del 1985 (l’unica che la “definisce”), il rinvio della disposizione dell’art. 2751-bis c.c., n. 5, abbraccia una nozione duplice e rafforzata di prevalenza, secondo un’interpretazione, oltre che testuale, coerente con la complessiva ratio di tutela dell’apporto personale nei processi produttivi di cui al più ampio catalogo dell’art. 2751-bis c.c.;

7. i citati precedenti di legittimità, imponendo il riscontro positivo non solo di una ma di tutte le condizioni richieste dalla legge quadro, permettono pertanto di condividere la necessità sia del possesso dei requisiti soggettivi di cui all’art. 3, sia del rispetto dei limiti dimensionali dell’art. 4, oltre l’avvenuta iscrizione nell’albo delle imprese artigiane; in tale prospettiva, il titolare dell’impresa allora deve provare innanzitutto la prevalenza dell’impiego di energie lavorative ed apporti individuali propri nell’impresa di cui è titolare, secondo i caratteri della professionalità, della personalità e della prevalenza rispetto ad altre eventuali attività economiche (art. 2); tale primo principio rende di per sè inammissibile l’invocazione del carattere misto dell’attività, anche commerciale (pur se resa solo nel 2015) e per i limiti con cui la parte l’ha esplicitata avanti al tribunale;

8. ma occorre anche – ed infatti – che nella impresa il lavoro (del titolare e dei dipendenti) abbia funzione preminente sul capitale, vale a dire sia idoneo – pur nella possibilità dell’impiego di base occupazionale e nei limiti dell’art. 4 I.q. – a trasfondersi in fattore qualitativamente maggioritario e causale nella gestione caratteristica; come correttamente ricostruito dal tribunale, solo tale relazione di prevalenza dà conto che effettivamente i complessivi ricavi della produzione, provati gli altri requisiti soggettivi e formali, siano per la più parte imputabili alla rimunerazione di un’organizzazione di elementi personalistici; e se da tale premessa consegue, oltre che la contraddittorietà di un’altra concomitante impresa (ove non del tutto marginale), l’erroneità di ogni richiamo al fattore laburistico dei servizi prestati da terzi (postane la mera similitudine sociologica, essendo i secondi fuori dalla centralità del lavoro diretto, personale e manuale sopra descritto dalla legge quadro), la citata prova negativa ben può desumersi, come avvenuto nella specie, da indicatori contabili e aziendalistici, non contestati nella vicenda per la loro veridicità e ricavati dalla documentazione offerta dalla stessa parte, per cui si tratta di convincimento di cui il tribunale ha dato ampia illustrazione; rispetto ad essa anche il vizio di motivazione, nel quale si sostanzia in realtà la censura per tale profilo, appare inammissibile, a sua volta, stanti i nuovi limiti di deduzione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 8053/2014);

9. il ricorrente, inoltre, ha prospettato una concomitante valenza qualitativa e funzionale dell’attività, alla stregua di criterio equivalente rispetto a quello del citato rapporto lavoro-capitale; in ciò, chiedendo nella sostanza di far assumere allo specialismo del lavoro svolto in azienda, una connotazione – par di comprendere – talmente essenziale da costringere l’interprete a riorientare il giudizio sulla personalità del lavoro stesso, considerandolo alfine sempre e comunque prevalente sul capitale; così ricavata la parte più originale dell’impugnazione, essa s’infrange tuttavia sul principio, cui va data continuità, per cui è in questa sede precluso un sindacato sulla motivazione, oltre i limiti della sua mera apparenza (Cass. s.u. 8053/2014); nè infatti tale circostanza qualitativa può dirsi oltretutto sussistente e decisiva, avendo il collegio patavino assunto specifica posizione anche sui requisiti personalistici menzionati, dando conto della mancata prova della prevalenza qualitativa del contributo lavorativo del titolare nell’organizzazione produttiva aziendale e così affiancando i dati economico-aziendali ad un giudizio di ordinarietà e non di specialismo o elevata qualità merceologica delle prestazioni erogate dall’impresa;

10. quanto al secondo motivo, per il quale opera il medesimo limite di censura della motivazione sopra esposto stante la sua formulazione più decifrabile non come mera violazione di legge, va data continuità al principio per cui “il privilegio generale sui mobili, accordato dall’art. 2751 bis c.c., n. 5… ai crediti delle imprese artigiane… per i “corrispettivi dei servizi prestati”, oltre che per i corrispettivi della vendita di manufatti, non è operante con riguardo al credito per compenso di appalto d’opera, tenuto conto della riferibilità dei predetti corrispettivi di servizi ai soli rapporti caratterizzati in modo prevalente dall’espletamento di attività lavorativa, nonchè dalla portata eccezionale delle norme che prevedono privilegi, ostativa ad una loro interpretazione analogica. La valutazione del giudice di merito circa la sussistenza nel caso concreto della prevalenza, o meno, dell’attività lavorativa si risolva in un apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato” (Cass. 430/1995, 13758/2005, 4383/2015, 15569/2015); così come si è precisato che se risulta che i contratti eseguiti consistono in appalti di opere, la qualifica del soggetto erogatore (nella vicenda, una cooperativa di produzione e lavoro a mutualità prevalente, ma la ratio è identica e quindi applicabile al caso in esame) “non poteva essere invocata di per sè così sovrastando la descritta qualificazione della prestazione resa in fatto” (Cass. 4184/2018);

11. il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con ogni statuizione condannatoria avendo riguardo al principio della soccombenza; si dà atto inoltre della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in favore del controricorrente in Euro 7.400, per compensi ed Euro 100 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli oneri accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021

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