LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRO Massimo – rel. Presidente –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso proposto da:
S.F., titolare dell’omonima impresa individuale Costruzioni S. di geom. S.F., rappr. e dif.
dall’avv. Gabriella Sartiani e dall’avv. Alessandro Oneto, gabriellasartiani.pec.ordineavvocatigrosseto.com, elettivamente domiciliato presso il loro studio in Grosseto, via Cadorna n. 15, come da procura in calce all’atto;
– ricorrente –
contro
I PRODOTTI DELLA NATURA – SOCIETA’ AGRICOLA s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore p.t., rappr. e difesa dall’avv. Margherita Bruno, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Chiara Catalani, in Roma, via dei Condotti n. 9, come da procura in calce all’atto;
– controricorrente –
Fallimento S.F., titolare dell’omonima impresa individuale Costruzioni S. di Fr. geom. S., in persona del cur.fall. p.t..
– intimato –
per la cassazione della sentenza App. Napoli 31.5.2018, n. 114/2018, Rep. 2764/2018, in R.G. n. 478/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020 dal Presidente relatore Dott. Ferro Massimo.
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. S.F., titolare dell’omonima impresa individuale Costruzioni S. di F. geom. S., impugna la sentenza App. Napoli 31.5.2018, n. 114/2018, Rep. 2764/2018, in R.G. n. 478/2018 che ne ha rigettato il reclamo, interposto ex art. 18 L. Fall., avverso la sentenza Trib. Avellino 6.2.2018, n. 5/18 dichiarativa del proprio fallimento, su istanza del I PRODOTTI DELLA NATURA – SOCIETA’ AGRICOLA s.r.l. in liquidazione;
2. ha premesso la corte, per quanto qui d’interesse, che dagli atti del procedimento non risultava il mancato superamento dei limiti dimensionali di cui alla L.F., art. 1 comma 2, in quanto: a) il debitore, costituito in veste singola e non collettiva, benchè non tenuto al deposito dei bilanci al registro delle imprese, pur sempre era gravato dell’onere di fornire elementi documentali altrettanto significativi per superare la prova di non eccedenza rispetto alle soglie di cui alla norma; b) nonostante tale esonero, anche l’imprenditore individuale resta tenuto, ai sensi dell’art. 2214 c.c., alle scritture contabili, quali libro giornale e libro degli inventari, nonchè a quelle obbligatorie anche se in contabilità semplificata D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 18; c) nella specie, l’offerta documentale era inconferente, avendo il debitore allegato la cessazione di mero fatto dell’attività con cancellazione della partita IVA dal 2013, lo svolgimento di lavoro dipendente dal 2012, il supporto delle ultime tre dichiarazioni fiscali; d) l’insufficienza di tale produzione e l’omessa tenuta delle scritture contabili motivavano da un lato un giudizio d’inattendibilità della documentazione prodotta e, dall’altro, l’irrilevanza della cessazione della partita IVA, non avendo il debitore provato la cancellazione dal registro delle imprese; e) nulla emergeva, d’iniziativa del debitore, quanto all’indebitamento sotto soglia, anzi dallo stato passivo risultando una cospicua esposizione già verso professionisti, oltre ai debiti per oltre 1,5 milioni Euro di una società dal medesimo amministrata e partecipata al 50%;
3. il ricorso è su un motivo e ad esso resiste con controricorso il già creditore istante I PRODOTTI DELLA NATURA – SOCIETA’ AGRICOLA s.r.l. in liquidazione; il ricorrente ha depositato memoria;
4. con il ricorso si deduce la violazione della L. Fall., art. 1 e dell’art. 115 c.p.c., avendo erroneamente la corte negato che, dismessa l’impresa individuale cinque anni prima, al debitore fosse permesso provare in altro modo l’estraneità ai requisiti dimensionali di fallibilità, come con le dichiarazioni dei redditi o sulla base dello svolgimento di poteri istruttori officiosi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. il ricorso è inammissibile, per plurime ragioni; la corte invero ha accertato che parte reclamante, in violazione della L. Fall., art. 15 (Cass. 8769/2012), pur non essendo cessata dall’iscrizione nel registro delle imprese, nè avendo invocato la qualità di “piccolo imprenditore” ai sensi dell’art. 2214 c.c., comma 3, non ha prodotto in giudizio alcuna documentazione contabile almeno tra quelle di tenuta obbligatoria per tutti gli imprenditori, ai sensi del comma 1 dell’art. cit., omettendo di costituirsi avanti al tribunale e (rinunciando in questa sede a far valere vizi della ritualità dell’instaurazione del contraddittorio avanti al primo giudice, negati dalla corte d’appello) nel giudizio di reclamo offrendo una insufficiente documentazione di parte, ritenuta dalla corte inattendibile; proprio l’irregolarità delle scritture per come tenute ha giustificato il predetto giudizio reso nella sentenza e la statuizione non appare essere stata idoneamente contestata; va così data continuità al principio per cui “ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 4, costituiscono strumento di prova privilegiato dell’allegazione della non fallibilità, in quanto idonei a chiarire la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, senza assurgere però a prova legale, essendo soggetti alla valutazione, da parte del giudice, dell’attendibilità dei dati contabili in essi contenuti secondo il suo prudente apprezzamento ex art. 116 c.p.c., sicchè, se reputati motivatamente inattendibili, l’imprenditore rimane onerato della prova della sussistenza dei requisiti della non fallibilità” (Cass. 30516/2018);
2. osserva in secondo luogo il Collegio che neanche la negata equipollenza delle dichiarazioni reddituali rispetto a situazione patrimoniale e bilanci (entrambi omessi) risulta esaminabile, per difetto di autosufficiente rappresentazione in questo procedimento, non avendo il ricorrente riportato i tratti essenziali degli unici elementi documentali prodotti, nè dato conto altrimenti della violazione statutaria degli obblighi di redazione verso i terzi fissata – con i relativi criteri e tra gli altri – dall’art. 2217 c.c.;
3. nè può essere censurata la decisione che, con apprezzamento di fatto insindacabile (Cass. s.u. 8053/2014) e preso atto della assai limitata difesa tipica documentale adottata dalla parte, ha concluso per la mancata prova del superamento delle soglie soggettive di cui alla L. Fall., art. 1, così assumendo definita l’istruttoria ed implicitamente negando ingresso ad altri mezzi, sul presupposto della modesta funzione illustrativa assegnabile anche all’altro, unico, documento prodotto (le citate dichiarazioni reddituali), con ciò pienamente assolvendo al dovere motivazionale;
4. invero, secondo indirizzo aggiornato di questa Corte, “ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2… in mancanza dei detti bilanci il debitore può dimostrare la sua non fallibilità con strumenti probatori alternativi” (Cass.24138/2019); tuttavia – sul punto – non è stato rilevato alcun impedimento alla rispettiva produzione, dovendosi perciò concludere che la non contestata inesistenza dei bilanci, mai formati neanche con riguardo all’ultimo periodo di attività, oltre che di libro giornale e degli inventari, ha integrato una condotta omissiva (anche potenzialmente integrante la fattispecie di cui alla L. Fall., art. 217 comma 2 e art. 224) che non può certo, pena la frustrazione della regola organizzativa di cui alla L.Fall., art. 15, giovarsi di fonti orali che in qualche modo, intendendo supplire a tale carenza strutturale e processuale, si pongano di per sè con la stessa efficacia probatoria, senza rivestire alcuno dei criteri che avrebbero contraddistinto i documenti non formati, mai redatti e mai depositati tempestivamente e ritualmente;
5.sulla questione, d’altronde, osserva il Collegio la genericità delle censure, che hanno omesso di riferire già i valori-soglia, inferiori a quelli di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, che il debitore con esattezza avrebbe assunto nel triennio considerato, così come manca l’indicazione specifica del montante debitorio, entrambi non illustrati nella rispettiva composizione qualitativa, quantitativa e per progressione di periodo; ciò rende irrilevante l’invocazione delle sole dichiarazioni che, anche considerate in astratto, in quanto non sono state trascritte nei punti essenziali, impediscono di comprendere se avevano registrato operazioni d’impresa ovvero ne avevano individuato le trasformazioni in valore o a quale attività si riferivano;
6. così come la assoluta genericità del richiamo all’istruzione officiosa non è censura di per sè ammissibile, già per non aver indicato un collegamento razionale tra fatti allegati in giudizio e accertamento richiesto al giudice, considerazione ripetibile per le altrettanto generiche prove per testi, per come non riassunte, integrando dette circostanze l’inammissibilità del motivo sul punto, di fatto apparendo esso rivolte ad una prova diretta proprio degli elementi patrimoniali e finanziari connotativi di una ricostruzione contabile non altrimenti indiziata;
7. infatti, proprio con riguardo ad una difesa corroborata dal rispetto della prescrizione citata, “ai fini della prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, i bilanci degli ultimi tre esercizi che l’imprenditore è tenuto a depositare, ai sensi della L. Fall., art. 15, comma 4, sono quelli già approvati e depositati nel registro delle imprese, ex art. 2435 c.c., sicchè, ove difettino tali requisiti o essi non siano ritualmente osservati, il giudice può motivatamente non tenere conto dei bilanci prodotti, rimanendo l’imprenditore onerato della prova circa la sussistenza dei requisiti della non fallibilità” (Cass. 33091/2018, 30516/2018, 24548/2016); nè osta a tale principio, si è precisato, “la natura officiosa del procedimento prefallimentare, che impone al tribunale unicamente di attingere elementi di giudizio dagli atti e dagli elementi acquisiti, anche indipendentemente da una specifica allegazione della parte, senza che, peraltro, il giudice debba trasformarsi in autonomo organo di ricerca della prova, tanto meno quando l’imprenditore non si sia costituito in giudizio e non abbia, quindi, depositato i bilanci dell’ultimo triennio, rilevanti ai fini in esame” (Cass.625/2016, 25188/2017);
il ricorso è dunque inammissibile, conseguendone, oltre alla condanna alle spese regolata secondo il principio della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo, la dichiarazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).
PQM
la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di legittimità, liquidate in Euro 7.600 (di cui Euro 100 per esborsi), oltre al rimborso in via forfettaria nella misura del 15% e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 dicembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021
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