Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28335 del 15/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13606-2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

CENTRO ASSISTENZA PNEUMATICI di E.F. e G.N. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, N.G., e quest’ultimo anche in proprio, rappresentati e difesi, per procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. Gaetano Michele Maria DE BONIS, ed elettivamente domiciliati in Roma, alla via del Mattonato, n. 3, presso Donato PICCININNI;

– controricorrente –

e contro

F.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 683/01/2018 della Commissione tributaria regionale del MOUSE, depositata il 22/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/05/2021 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI Lucio.

RILEVATO

che:

– in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento ai fini IVA ed IRAP per l’anno d’imposta 2011, con cui l’amministrazione finanziaria recuperava a tassazione maggiori redditi d’impresa conseguiti dal CENTRO ASSISTENZA PNEUMATICI di E.F. e G.N. s.n.c., nonché degli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei soci F.E. e N.G. per recupero a tassazione di maggiori redditi di partecipazione nella predetta società, ai fini IRPEF, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR, pronunciando nel giudizio proposto separatamente dalla società e dai soci e riuniti in primo grado, rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate confermando la sentenza di primo grado che aveva annullato gli atti impositivi per difetto di delega in capo al funzionario che li aveva sottoscritti;

– avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di tre motivi, cui replicano con controricorso la società contribuente e il socio N.G., rimanendo intimato l’altro socio F.E.;

– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, sostenendo che la CTR aveva pronunciato ultrapetita sulla questione della delega c.d. in bianco, in quanto mai proposta dai ricorrenti (società e soci), omettendo di pronunciarsi sul motivo che aveva specificamente proposto in appello.

2. Il motivo è infondato e va rigettato.

3. Pare opportuno premettere che è fermo principio giurisprudenziale quello secondo cui “il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” e “causa petendi”) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato). Ne consegue che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato” (Cass. n. 455 del 2011). Con specifico riferimento al giudizio tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell’atto fiscale per vizi formali o sostanziali, si è precisato che “l’indagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell’atto impugnato, il giudice deve attenersi all’esame di essi e non può, “ex officio”, annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al “thema controversum”, come definito dalle scelte del ricorrente. L’oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita però, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 24, nel solo caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione”” (Cass. n. 19337 del 2011; conf. Cass. n. 28680 del 2005, n. 6620 del 2009, n. 15769 del 2017).

4. Orbene, nel caso di specie, la CTR non è incorsa nel denunciato vizio in quanto i contribuenti avevano dedotto con gli originari ricorsi – riprodotti in parte qua, per autosufficienza, nel ricorso in esame – l’illegittimità degli atti impugnati, non solo perché sottoscritti da impiegato che non apparteneva alla carriera direttiva e perché “non risulta(va) allegata idonea delega alla sottoscrizione”, ma anche perché la stessa mancava “di data certa anteriore all’atto sottoscritto”, non indicava “l’organo e la persona che prende in carico ben determinate vicende amministrative, i motivi che giustifica(va)no l’attribuzione di delega, l’oggetto della delega, i suoi limiti temporali e, nello specifico, gli atti che il delegato dovrà o potrà compiere in sostituzione del delegante”.

4.1. Deve, quindi, escludersi che i giudici di merito abbiano pronunciato ultrapetita sulla questione della validità della delega di firma in capo al funzionario che aveva sottoscritto gli atti impositivi.

5. Neppure fondata è la censura di omessa pronuncia sul motivo di appello con cui l’amministrazione finanziaria aveva censurato la sentenza di primo grado per ultrapetizione sulla predetta questione, in quanto la pronuncia della CTR, di conferma della sentenza di primo grado che aveva annullato gli atti impositivi per difetto di delega in capo al funzionario che li aveva sottoscritti, costituisce rigetto implicito di quel motivo d’appello, stante l’evidente incompatibilità tra la pretesa avanzata con la domanda non espressamente esaminata e l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (cfr. Cass. n. 24953 del 2020, secondo cui “Non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione. Invero, la CTR, pronunciando nel merito, ha implicitamente rigettato il motivo d’appello proposto dall’Agenzia”).

6. Sono invece fondati e vanno accolti il secondo e terzo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto tra lorio strettamente connessi.

7. Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, per avere i giudici di appello “ritenuto nulla la delega di firma perché in essa, pur essendo indicate le generalità dei funzionari delegati, non erano sufficientemente esplicitate le ragioni della delega e mancava il termine di validità” della stessa.

8. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 c.c. e s.s., nonché dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, censurando la sentenza d’appello per avere ritenuto invalida la delega di firma “anche per l’insufficienza della motivazione e per la mancanza di un termine di scadenza”.

9.1. In tale prima pronuncia si è precisato che “Con la delega di firma il delegato non esercita alcun potere o competenza riservata al delegante, trovando titolo il suo agire nei poteri di ordine e direzione, coordinamento e controllo attribuiti al dirigente preposto all’ufficio (Statuto Agenzia delle entrate, art. 11, comma 1, lett. c e d, approvato con Delib. n. 6 del 2000; art. 14, comma 2, Reg. amm. n. 4 del 2000) nell’ambito dello schema organizzativo della subordinazione gerarchica tra persone appartenenti al medesimo ufficio” e che “La delega, pertanto, non deve indicare le cause che ne hanno resa necessaria l’adozione (quali la carenza di personale, l’assenza per malattia, una vacanza d’organico, ecc.), il termine di validità e, neanche, il nominativo del soggetto delegato”.

9.2. E ciò sulla scia di Cass., Sez. 5, sentenza n. 8814 del 29/03/2019 (Rv. 653352), secondo cui, dalla medesima premessa che la delega in questione è una delega di firma e non di funzioni, “deriva che il relativo provvedimento non richiede l’indicazione né del nominativo del soggetto delegato, né della durata della delega, che pertanto può avvenire mediante ordini di servizio che individuino l’impiegato legittimato alla firma mediante l’indicazione della qualifica rivestita, idonea a consentire, “ex post”, la verifica del potere in capo al soggetto che ha materialmente sottoscritto l’atto”

10. Va inoltre ricordato che “In tema di accertamento tributario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito dalla L. n. 44 del 2012” (Cass. n. 5177 del 2020).

12. Orbene, come si può agevolmente desumere dalla trascrizione riportatane in ricorso, l’atto organizzativo della Direzione Provinciale di Campobasso dell’Agenzia delle Entrate n. 36/2014 del 16 luglio 2014 contiene l’identificazione (peraltro nominativa) dei singoli funzionari delegati, con la precisa indicazione per ciascuno della carica, dei criteri, dei limiti e della tipologia di atti interessati dal conferimento della delega di firma.

13. Nella specie, quindi, i giudici di appello hanno fatto malgoverno dei principi enunciati, ritenendo che l’atto organizzativo in questione non potesse conferire un’idonea delega di firma per la sottoscrizione degli avvisi di accertamento.

14. In conclusione, rigettato il primo motivo, vanno accolti il secondo e terzo motivo e la sentenza impugnata va cassata con riferimento ai motivi accolti, con rinvio per nuovo esame alla Commissione Tributaria Regionale del Molise, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia la causa alla Commissione Tributaria Regionale del Molise, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2021

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