LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26676/2018 R.G. proposto da:
AZIENDA SANITARIA LOCALE NAPOLI *****, in persona del Direttore generale p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. Guglielmo Ara, Amalia Carrara e Augusto Chiosi, con domicilio eletto in Roma, via Amiterno, n. 3, presso lo studio dell’Avv. Giovanna Buonavoglia;
– ricorrente –
contro
LABORATORIO DI ANALISI CHIMICO CLINICHE GU. S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Maria Cristallino, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 673/18 depositata il 12 febbraio 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 dal Consigliere Guido Mercolino.
RILEVATO
che con decreto ingiuntivo n. 892/11, emesso il 25 ottobre 2011, il Tribunale di Napoli, su ricorso del Laboratorio di Analisi Chimico Cliniche Gu. S.r.l., intimò all’Azienda Sanitaria Locale Napoli ***** il pagamento della somma di Euro 15.612,20, a titolo di acconto sul corrispettivo delle prestazioni rese nell’anno 2011;
che l’opposizione proposta dall’Asl fu accolta dal Tribunale di Napoli, che con sentenza del 10 novembre 2015 revocò il decreto ingiuntivo ma condannò l’opponente al pagamento della somma di Euro 12.824,25, oltre interessi, escludendo l’applicabilità della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 796, lett. o), in quanto operante esclusivamente per il triennio 2007-2009, ma riconoscendo ugualmente lo sconto previsto da tale Disp., richiamata dal contratto di accreditamento, art. 5;
che il gravame interposto dal Laboratorio è stato accolto dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 12 febbraio 2018, che ha rigettato l’appello incidentale proposto dall’Asl e l’opposizione al decreto ingiuntivo, confermando l’inapplicabilità della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), ed escludendo che l’obbligo di praticare lo sconto potesse trovare fondamento nel contratto, il quale, pur muovendo dall’erroneo presupposto della perdurante operatività della predetta disposizione, non prevedeva che lo sconto dovesse applicarsi anche nel caso in cui l’efficacia della stessa fosse cessata;
che avverso la predetta sentenza l’Asl ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, illustrati anche con memoria;
che ha resistito con controricorso, anch’esso illustrato con memoria, il Laboratorio.
CONSIDERATO
che con il primo motivo d’impugnazione la ricorrente denuncia la violazione e l’omessa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 170, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8-sexies, e della delib. della Giunta regionale della Campania 16 luglio 2009, n. 1269, ribadendo l’applicabilità dello sconto, nonostante l’annullamento delle tariffe approvate con D.M. 22 luglio 1996, e la legittimità costituzionale della relativa previsione, in quanto volta a perseguire la riduzione della spesa sanitaria ed il bilanciamento delle contrastanti esigenze di garanzia del diritto alla salute e di limitazione della spesa pubblica, nonchè la compatibilità di tale disciplina con l’attribuzione alle regioni del potere di fissare le tariffe delle prestazioni sanitarie;
che il motivo è inammissibile, in quanto, risolvendosi nella mera insistenza sull’applicabilità e la legittimità costituzionale della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), senza ulteriori precisazioni, non attinge la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale non ha affatto escluso in linea di principio l’operatività della predetta disposizione, ma si è limitata ad affermarne la natura temporanea, escludendone conseguentemente l’applicabilità alle prestazioni sanitarie allegate a sostegno della domanda, in quanto rese in data successiva al 31 dicembre 2009;
che questa Corte, nell’interpretare la disciplina dettata dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, nel senso che la potestà tariffaria delle regioni si esercita nell’ambito delle tariffe massime fissate dell’autorità ministeriale, il cui superamento comporta che l’eventuale eccedenza resta a carico dei bilanci regionali, con la conseguenza che lo sconto trova applicazione sulla tariffa fissata in concreto dalla regione nell’ambito della soglia massima determinata dal decreto ministeriale (cfr. Cass., Sez. III, 29/05/2018, n. 13367; 31/10/2017, n. 25845), ha d’altronde precisato che la predetta disposizione non può trovare applicazione oltre il triennio 2007-2009, rilevando da un lato che la sua vigenza non ha costituito oggetto di proroga da parte del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito con modificazioni dalla L. 28 febbraio 2008, n. 31, e richiamando dall’altro il D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 79, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, con cui il legislatore ha introdotto l’obbligo di adeguamento delle tariffe secondo i costi standard delle prestazioni, in tal modo manifestando la volontà di superare definitivamente la disciplina transitoria e sommaria della tariffazione forfetaria, in quanto inadeguata a garantire una efficiente ed imparziale allocazione delle risorse (cfr. Cass., Sez. VI, 13/02/ 2020, n. 3676; Cass., Sez. III, 4/05/2018, n. 10582);
che con il secondo motivo la ricorrente insiste sulla violazione e l’omessa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 170, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8-sexies, e della Delib. della Giunta regionale della Campania 16 luglio 2009, n. 1269, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il richiamo del contratto all’art. 1, comma 796 cit., non si estendesse allo sconto previsto da tale disposizione, ma riguardasse soltanto il limite di spesa, senza tener conto dell’avvenuta sostituzione del D.M. 22 luglio 1996, ad opera del D.M. 12 settembre 2006, e della sentenza della Corte Cost. n. 94 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale della predetta disposizione, nonchè dell’assenza in quest’ultima di un’espressa limitazione della sua efficacia temporale e della conseguente facoltà della regione di farne applicazione anche per gli anni successivi al 2009;
che inoltre, ad avviso della ricorrente, la sentenza impugnata non ha tenuto conto del fondamento negoziale del rapporto di accreditamento e della progressiva introduzione, in tale materia, del principio di programmazione, volto a garantire il contenimento della spesa pubblica e la razionalizzazione del sistema sanitario, il quale ha trovato espressione nel sistema della c.d. regressione tariffaria, non contemplato espressamente alla legge, ma riconducibile al potere delle regioni di fissare autoritativamente i limiti di spesa per le prestazioni sanitarie;
che, nell’escludere l’applicabilità dello sconto, la sentenza impugnata non ha considerato che la società opposta si era impegnata, all’esito dei tavoli tecnici svoltisi tra l’Asl e le associazioni di categoria, formalizzati con Delib. della Giunta regionale 18 aprile 2012, n. 294, all’emissione delle relative note di credito, cui era subordinato il pagamento del saldo;
che il motivo è inammissibile, in quanto volto a censurare il significato attribuito dalla sentenza impugnata alla clausola del contratto di accreditamento che richiamava la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, la cui interpretazione, implicando la ricostruzione del comune intento perseguito dalle parti attraverso il predetto rinvio, si traduce in un’indagine di fatto, riservata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per inosservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o per incongruenza o illogicità della motivazione (cfr. Cass., Sez. III, 14/07/2016, n. 14355; 26/05/2016, n. 10891; 10/02/2015, n. 2465);
che tali vizi nella specie non sono stati in alcun modo dedotti dalla ricorrente, la quale, nel contestare l’interpretazione fornita dalla sentenza impugnata, si è limitata a prospettare una lettura alternativa della predetta clausola, asseritamente fondata sulla ricostruzione del sistema normativo, senza considerare che quella prescelta dal giudice di merito non dev’essere necessariamente l’unica interpretazione possibile del testo contrattuale, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, la parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito non può dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (cfr. Cass., Sez. I, 27/06/2018, n. 16987; 22/06/2017, n. 15471; Cass., III, 28/11/2017, n. 28319);
che tali conclusioni non si pongono affatto in contrasto con quelle cui è pervenuta una recente pronuncia di questa Corte, richiamata nella memoria depositata dalla difesa della ricorrente ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, la quale, in riferimento ad un’analoga controversia, ha rigettato il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza di appello che aveva confermato l’accoglimento dell’opposizione proposta contro un decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento di somme richieste a titolo di restituzione dello sconto illegittimamente praticato sul corrispettivo di analisi cliniche (cfr. Cass., Sez. VI, 4/04/2018, n. 8348);
che la predetta sentenza non si è infatti pronunciata in ordine alla diretta applicabilità della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 796, lett. o), alle prestazioni allegate a sostegno della domanda di pagamento avanzata nel procedimento monitorio (la cui data di effettuazione non risulta peraltro precisata), essendosi limitata a prendere in esame la questione riguardante la riconducibilità dello sconto al contratto stipulato tra l’Asl e la società titolare del laboratorio di analisi, ed avendo escluso la fondatezza delle censure di violazione dei canoni ermeneutici sollevate dalla società ricorrente in ordine all’interpretazione, fornita dalla sentenza di appello, della clausola contrattuale che richiamava la predetta disposizione;
che il riconoscimento della correttezza di tale interpretazione, contenuto nella sentenza invocata, non può assumere alcun rilievo nell’ambito del presente giudizio, nel quale, come si è detto, la verifica della fondatezza delle critiche mosse alla sentenza impugnata risulta preclusa dalle irrituali modalità di formulazione del motivo d’impugnazione, le quali impediscono qualsiasi riscontro in ordine all’osservanza da parte del giudice di merito delle regole legali di ermeneutica contrattuale;
che il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021