LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30386/2018 R.G. proposto da:
W.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Lorenzo Trucco, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO;
– intimato –
avverso il decreto del Tribunale di Torino depositato il 4 settembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 dal Consigliere Guido Mercolino.
RILEVATO
che W.A., cittadino del Pakistan, ha proposto ricorso per cassazione, per quattro motivi, avverso il decreto del 4 settembre 2018, con cui il Tribunale di Torino ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lui proposta;
che il Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, introdotto dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g), convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, per contrasto con l’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, e art. 117 Cost., commi 1, 2 e 5, in relazione alla Dir. 26 giugno 2013, n. 2013/32/CE, art. 46, par. 3, ed agli artt. 6 e 13 CEDU, sostenendo che l’assoggettamento delle controversie in materia di protezione internazionale al rito camerale si traduce in una grave violazione del principio del contraddittorio e della parità processuale delle parti, soprattutto in relazione alla partecipazione all’udienza, la cui rimessione alla discrezionalità del giudice comporta l’instaurazione di un contraddittorio meramente cartolare ed eventuale, ed all’indisponibilità da parte del difensore della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla commissione territoriale fino al momento della proposizione del ricorso, nonchè alla soppressione del giudizio di appello, che determinano un’irragionevole compressione delle garanzie processuali dell’istante, sotto il profilo sia del contraddittorio che del giusto processo e del diritto di difesa;
che la predetta questione è stata già esaminata da questa Corte, e dichiarata manifestamente infondata, in virtù del rilievo che il rito camerale di cui all’art. 737 e ss. c.p.c., previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non venga fissata l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata soltanto alle ipotesi in cui, in ragione della attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in assenza della trattazione orale le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (cfr. Cass., Sez. I, 5/07/2018, n. 17717);
che l’imposizione del rito camerale non contrasta con i principi costituzionali invocati neppure in relazione alla prevista non reclamabilità del decreto di primo grado, trovando la stessa ragionevole giustificazione nell’esigenza di accelerare la definizione dei giudizi in questione, aventi ad oggetto diritti fondamentali, ed essendo rimessa alla discrezionalità del legislatore la scelta di escludere l’appellabilità della decisione di primo grado, con riguardo ai giudizi che sollecitano una pronta soluzione, dal momento che la garanzia del doppio grado di giurisdizione di merito non trova copertura generalizzata a livello costituzionale (cfr. ex plurimis, Corte Cost., sent. n. 199 del 2017 e 243 del 2014, ord. n. 42 del 2014);
che con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 ed 11, rilevando che, nonostante l’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio, il Tribunale ha omesso di procedere alla fissazione dell’udienza di comparizione delle parti, in tal modo determinando una violazione istruttoria che ha condotto al rigetto della domanda, essendo stata esclusa l’attendibilità delle dichiarazioni rese da esso ricorrente senza che ne fosse stata disposta l’audizione;
che, in tema di protezione internazionale, questa Corte ha affermato il principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, secondo cui, nel giudizio d’impugnazione della decisione della Commissione Territoriale innanzi all’Autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il Giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, per violazione del principio del contraddittorio;
che la predetta interpretazione trova conforto non solo nella lettura, in combinato disposto, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11, i quali distinguono, rispettivamente, i casi in cui il Giudice può fissare discrezionalmente l’udienza da quelli in cui egli deve necessariamente fissarla, ma anche nella valutazione delle intenzioni del legislatore, il quale, anche in ragione della natura camerale non partecipata della fase giurisdizionale, ha previsto la videoregistrazione quale elemento centrale del procedimento, avente la finalità di consentire al Giudice di valutare il colloquio con il richiedente in tutti i suoi risvolti, ivi compresi quelli non verbali (cfr. Cass., Sez. I, 5/07/2018, n. 17717);
che non può dunque condividersi il decreto impugnato, nella parte in cui, pur dando atto dell’indisponibilità della videoregistrazione, ha escluso la necessità della comparizione, ai fini dell’acquisizione di chiarimenti in ordine alle motivazioni dell’abbandono del Paese di origine ed alle vicende successive, ritenendo sufficiente l’acquisizione del verbale del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione Territoriale;
che il motivo va pertanto accolto, restando tuttavia impregiudicata la questione riguardante la necessità di dar corso all’audizione del richiedente, dal momento che, come ritenuto dalla giurisprudenza comunitaria in sede d’interpretazione della Dir. 26 luglio 2013, n. 2013/32/CE, artt. 12, 14, 31 e 46, l’obbligo di consentire al richiedente di sostenere un colloquio personale, prima di decidere sulla domanda di protezione internazionale, grava esclusivamente sull’autorità amministrativa incaricata di procedere all’esame della stessa, e non si applica quindi nei procedimenti d’impugnazione;
che, infatti, l’obbligo di procedere all’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, imposto al giudice competente dalla Dir., art. 46, par. 3, dev’essere interpretato tenendo conto della stretta connessione esistente tra la procedura d’impugnazione e quella di primo grado che la precede, nel corso della quale dev’essere consentito al richiedente di sostenere il colloquio personale, con la conseguenza che il giudice può decidere di non procedere all’audizione nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale svoltosi in occasione del procedimento di primo grado (cfr. Corte di Giustizia UE, 26/07/2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko; Cass., Sez. I, 5/07/2018, n. 17717, cit.);
che il decreto impugnato va pertanto cassato, restando assorbiti gli altri due motivi, concernenti la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale di Torino, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
PQM
Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo; dichiara assorbiti gli altri motivi; cassa il decreto impugnato, in relazione al motivo accolto, e rinvia al Tribunale di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021