LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 6656-2019 proposto da:
GRUPPO QUARANTA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, in VIA PO’ n. 16/B, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO LIMATOLA, che la rappresenta e difende, con procura speciale in atti;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO della ***** s.r.l. in persona del curatore pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, al VIALE DELLE MILIZIE 106, presso lo studio dell’avvocato PAOLA M.A. VACCARO, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO GARZILLI, con procura speciale in atti;
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a., non in proprio ma esclusivamente in nome e per conto di MONTE DEI PASCHI DI SIENA LEASING & FACTORING, BANCA PER I SERVIZI FINANZIARI ALLE IMPRESE s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, in VIA FLAMINIA VECCHIA 691, presso lo studio dell’avvocato MARCO FABIO LEPPO, rappresentata e difesa dall’avvocato GIORDANO BALOSSI, con procura speciale in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 9/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/10/2020 dal Consigliere relatore, Dott. ROSARIO CAIAZZO.
RILEVATO
che:
La ***** s.r.l. presentò reclamo avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli che ne aveva dichiarato il fallimento il ***** su ricorso della MPS Leasing & Factoring s.p.a. sulla base di un decreto ingiuntivo per Euro 58.714,74 ritenendo che lo stato d’insolvenza non fosse escluso dall’opposizione all’ingiunzione; si costituì il curatore ed intervenne il Procuratore Generale.
Con sentenza emessa il 25.1.19 la Corte d’appello di Napoli respinse il reclamo, osservando che: la contestazione in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, da parte della reclamante, del credito vantato dal creditore ricorrente non appariva fondata, in quanto l’eccepita nullità della “lettera di subentro” della ***** s.r.l. nel rapporto di leasing, di cui al ricorso per fallimento, per difetto di corrispettività data la prevista sua operatività anche in caso di perdita totale dei beni, era stata argomentata in maniera non convincente, in considerazione dell’oggetto dell’impegno, costituito dall’estinzione di tutti i debiti già maturati dal precedente utilizzatore, a prescindere dalla utilizzazione dei beni da parte del subentrante; l’eccezione di nullità della suddetta lettera per difetto di doppia sottoscrizione era generica; l’impiego della liquidità dopo il fallimento, non al fine di estinguere i debiti, non escludeva lo stato d’insolvenza, reso evidente dall’inadempimento del credito posto a sostegno del decreto ingiuntivo per oltre 30.000,00 Euro.
Ricorre in cassazione la ***** s.r.l. con due motivi. Resistono la curatela e M.P.S. s.p.a, in nome e per conto della M.P.S. LEASING & FACTORING, BANCA PER I SERVIZI FINANZIARI ALLE IMPRESE s.p.a., con controricorso.
RITENUTO
che:
Con il primo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 5L. Fall., in relazione all’art. 360 L. Fall., comma 1, n. 3, avendo, da un lato, la Corte distrettuale omesso di considerare varie circostanze in ordine alla mancanza dello stato d’insolvenza, quali le partecipazioni societarie della società reclamante e il regolare deposito dei bilanci e, dall’altro non ha interpretato ed applicato correttamente la nozione di stato d’insolvenza circa la disponibilità di liquidità e il suo impiego, dopo la dichiarazione di fallimento, diretto al pagamento di altri debiti. Al riguardo, la ricorrente si duole che il pagamento dei debiti d’impresa, anche se avvenuti successivamente alla dichiarazione di fallimento, non avrebbe potuto costituire prova della incapacità dell’imprenditore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.
Con il secondo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 5L. Fall., in relazione all’art. 360 L. Fall., comma 1, n. 5, per aver la Corte d’appello omesso la valutazione e la conseguente pronuncia sulle prove documentali fornite per dimostrare l’insussistenza dell’insolvenza, come desumibili dalle partecipazioni societarie detenute dalla ricorrente e dai dati di bilancio.
La ricorrente lamenta altresì che la Corte di merito abbia considerato quali indizi irrilevanti, posti a sostegno dell’eccezione d’insussistenza dello stato d’insolvenza, determinati fatti – quali il pignoramento presso terzi negativo e l’irreperibilità presso la sede legale- in quanto contraddetti dal verbale d’inventario regolarmente eseguito presso la stessa sede legale.
I due motivi, esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi, sono infondati.
La Corte d’appello ha correttamente ravvisato lo stato d’insolvenza sulla base dell’inadempimento dell’unico credito fatto valere con ricorso per fallimento, sebbene esso sia stato contestato attraverso l’opposizione al decreto ingiuntivo, in conformità del consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale, in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, l’art. 6 L. Fall. laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, fra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (Cass., n. 30827/18; SU. n. 1521/13).
Al riguardo, è stato altresì affermato che, in tema di dichiarazione di fallimento, lo stato di insolvenza prescinde dal numero dei creditori, essendo ben possibile che anche un solo inadempimento assurga ad indice di tale situazione oggettiva (Cass., n. 9297/19).
Nel caso concreto, la Corte territoriale, a sostegno della valutazione dello stato d’insolvenza, ha valorizzato la circostanza che, dopo la dichiarazione di fallimento, la società ricorrente dispose della propria liquidità sul conto corrente attraverso l’emissione di assegni bancari che, però, non furono utilizzati per pagare il credito del ricorrente per fallimento.
Ne consegue che la doglianza afferente all’omesso esame dei documenti indicati in ricorso attiene al merito, prospettando un diverso apprezzamento dei fatti inerenti allo stato d’insolvenza; peraltro, il riferimento a tali documenti è privo di decisività, in quanto la mera indicazione delle partecipazioni societarie detenute dalla società ricorrente, e dei dati di bilancio, di per sè, non esprime alcuna evidenza circa la pronta liquidabilità di tali beni patrimoniali in ordine all’adempimento delle obbligazioni del debitore.
Inoltre, va osservato che il mancato esame di elementi probatori costituisce vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (Cass., n. 21223/18; n. 24092/13).
Nella fattispecie, la ricorrente lamenta l’omesso esame dei suddetti dati documentali, ma il giudice di secondo grado, con motivazione esaustiva ed immune da censure, ha ritenuto la sussistenza dello stato d’insolvenza attraverso un esame degli elementi probatori significativi quali espressione dello stato d’insolvenza. Al riguardo, giova rilevare che secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’esame dei documenti esibiti, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., n. 16056/16; n. 19011/17).
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 3.100,00 di cui 100,00 per esborsi e la maggiorazione del 15% per il rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021