LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 30354-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
C.A., F.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANDREA DORIA 40, presso lo studio dell’avvocato GAETANO GUTTEREZ, rappresentati e difesi dall’avvocato DANIELA CARRO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1648/11/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 14/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.
FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, contro C.A. e F.D., impugnando la sentenza resa dalla CTR Lazio indicata in epigrafe con la quale è stato dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’ufficio avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento concernente la revisione del classamento dell’immobile sito in *****. Secondo la CTR la sentenza di primo grado, dopo avere annullato nel merito l’accertamento per difetto di motivazione, aveva altresì affermato che l’Agenzia delle entrate non aveva confutato gli elementi esposti nella perizia di stima di parte, costituendo tale ultima statuizione un’autonoma ratio decidendi che l’Ufficio aveva omesso di specificamente impugnare.
La parte intimata si è costituita con controricorso.
L’Agenzia ricorrente deduce la nullità della sentenza e la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19, 21 e 53. Secondo la ricorrente la statuizione di inammissibilità dell’appello sarebbe illegittima “in quanto non considera che i dati di fatto erano pacifici tra le parti, per cui si trattava solo di una questione di mero diritto, rispetto alla quale era sufficiente la volontà dell’ufficio appellante di devolverne la cognizione al giudice di secondo grado”.
Secondo l’appellante nell’atto di impugnazione sarebbe stata ampiamente contestata la sentenza impugnata, indicando gli elementi sulla base dei quali era stato emesso l’accertamento nella parte espositiva. Deduceva, poi, che ove questa Corte avesse ritenuto di potere decidere allo stato degli atti, ricorrevano i presupposti per ritenere pienamente legittimo l’accertamento.
La censura è infondata.
Ed invero, la ricorrente non contesta l’affermazione operata dal giudice di appello in ordine alla duplicità di rationes decidendi esposte dal giudice di primo grado a sostegno dell’accoglimento del ricorso della parte contribuente, invece deducendo di avere contestato ogni parte della decisione della CTP all’interno dell’atto di impugnazione. Sul punto, la ricorrente fa espresso riferimento alla parte espositiva dell’impugnazione, dalla quale avrebbe dovuto escludersi il deficit di specificità del gravame invece ritenuto dalla CTR.
Ora, la controricorrente ha riportato alcune parti della perizia di stima che la CTR ha richiamato all’interno della seconda ratio dedicendi, ove sono specificamente indicati gli elementi di fatto che la contribuente aveva posto a base della ritenuta illegittimità della classificazione dell’immobile nella classe A/2, facendo esplicito riferimento alle dimensioni dell’immobile, alle sue caratteristiche interne, all’inconducenza delle unità di riferimento richiamate dall’ufficio ed alla ritenuta esistenza di una pregressa denuncia di variazione della rendita catastate presentata il 15.6.2000 con procedura DOCFA che l’Ufficio non aveva ritenuto di modificare.
Orbene, a fronte del richiamo per relationem, operato dalla CTR, agli elementi esposti nella perizia di stima e ritenuti non specificamente contestati dallo stesso giudice nell’atto di appello, l’Agenzia si è limitata a riportarsi all’esposizione dell’atto di appello nel quale non risulta alcuna specifica contestazione agli elementi indicati in perizia.
Ora, è senz’altro vero che nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza. E’ pertanto irrilevante che i motivi siano enunciati nella parte espositiva dell’atto ovvero separatamente, atteso che, non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere “specifici” i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purchè in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni – cfr. Cass. n. 30341/2019 -.
Ma non è men vero che, come ritenuto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte, “…gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Resta tuttavia escluso, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado – cfr. Cass. S.Un. 27199/2017 -.
Orbene, la CTR si è uniformata a tali canoni interpretativi, rilevando che dal contenuto complessivo dell’atto di gravame non era stata in alcun modo contestata la seconda ratio decidendi posta a base della decisione di primo grado e, dunque, il contenuto degli elementi che il giudice di primo grado aveva ritenuti idonei a giustificare l’illegittimità dell’accertamento, pure considerato privo di motivazione.
Sulla base di tali considerazioni il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in favore della controricorrente in Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021