Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.30968 del 29/10/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21607-2015 proposto da:

MULTIBRAND SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. VENTICINQUE, 6, presso lo studio dell’avvocato LAURA POLIMENO, rappresentata e difesa dagli avvocati VINCENZO VERGINE e FABIO VALENTI;

– ricorrente –

contro

DOGRE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA SCROFA 64, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PECORILLA, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO FUMAROLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1740/2014 della COMM. TRIB. REG. PUGLIA SEZ. DIST. di LECCE, depositata il 08/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/07/2021 dal Consigliere Dott. ANTONIO MONDINI.

PREMESSO che:

1. la srl Dogre, concessionaria del servizio di accertamento e riscossione dell’imposta sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni del Comune di Lecce, emetteva un avviso di accertamento nei confronti della srl Multibrand relativamente all’omesso pagamento dell’imposta dovuta per il 2007 per alcuni pannelli di metallo verniciati di rosso della superficie complessiva di 20mq con apposte insegne in plastica nonché per alcuni striscioni su tende parasole.

La società contestava la pretesa relativa ai pannelli sul presupposto che gli stessi avessero funzione, oltre che di protezione per le sottostanti saracinesche, di supporto rispetto alle insegne essendo in sé privi di rilevanza pubblicitaria.

Sosteneva che ai fini dell’individuazione della superficie tassabile avrebbe dovuto tenersi conto non, come da avviso impugnato, dell’estensione dei pannelli su cui la scritta Multibrand era collocata ma della sola scritta, con la conseguenza che, essendo quest’ultima, inferiore a 5 mq, l’imposta non avrebbe potuto essere pretesa.

L’adita CTP di Lecce avallava la tesi della ricorrente e annullava l’avviso.

Contro la decisione, la Dogre proponeva appello. In primo luogo, l’appellante, “per scrupolo difensivo” e per l’ipotesi in cui la pronuncia di annullamento fosse da ritenersi riferita all’avviso nel suo complesso, deduceva che la stessa sarebbe stata censurabile “per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4”, in quanto immotivatamente eccedente la domanda essendo stato l’avviso impugnato dalla Multibrand solo con riguardo alla pretesa relativa ai pannelli e non anche con riguardo alla pretesa relativa ai messaggi pubblicitari sulle tende parasole.

L’appellante censurava poi la sentenza per avere la CTP erroneamente negato la funzione pubblicitaria dei ridetti pannelli.

La contribuente eccepiva che il primo motivo di appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile perché, in violazione dell’art. 345 c.p.c., volto ad introdurre tardivamente in causa, e così a surrettiziamente riaprire, la questione della debenza dell’imposta sulle tende parasole, ormai definita con il relativo pagamento. Per il resto la contribuente chiedeva la conferma della decisione della CTP.

Con la sentenza per la cui cassazione la Srl Multibrand oggi ricorre con tre motivi contrastati dalla srl Dogre, la CTR della Puglia ha accolto l’appello.

Ha affermato che l’eccezione di inammissibilità del primo motivo di appello doveva essere disattesa “considerato che il riferimento alle tende parasole non costituisce motivo di censura ma semplice argomento illustrativo con il quale si specifica nel dettaglio la superficie assoggettata a tassazione” e considerato che “sul punto specifico” (dell’imposta sugli striscioni apposti alle tende parasole) “alcuna contestazione risulta essere stata mossa dalla contribuente sia con l’atto introduttivo sia nel corso del giudizio di primo grado di guisa che la questione deve ritenersi definitiva e dunque insuscettibile di ritrattazione”. Ha poi affermato che “alla stregua della documentazione fotografica agli atti, il pannello di che trattasi è senz’altro idonea a veicolare il messaggio pubblicitario costituente un corpo unico ed inscindibile con la scritta Multibrand riportata… L’assunto della contribuente secondo cui i pannelli hanno una mera funzione di supporto materiale appare poco coerente con il materiale e il colore prescelti la cui eccentricità sembra evidentemente studiata al fine precipuo di esaltarne il carattere evocativo e per mezzo di questo veicolare più efficacemente il messaggio pubblicitario. Invero se si escludesse la potenzialità – comunicativa dell’opzione il colore rosso dei cinque pannelli recanti la scritta in bianco Multibrand male si concilierebbe con il colore grigio delle sottostanti saracinesche e con il contesto complessivo dell’immobile”.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo di ricorso la srl Multibrand lamenta la violazione dell’art. 345 c.p.c.. Deduce che, al contrario di quanto affermato dalla CTR, la controparte aveva sollevato una specifica censura sulla debenza dell’imposta relativa alla pubblicità esposta sulle tende parasole. Ribadisce che con tale censura la controparte aveva riaperto la questione, ormai definita, della debenza dell’imposta sulle tende parasole;

2. il motivo è inammissibile per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.).

Va premesso che il richiamo all’art. 345 c.p.c. è del tutto fuori luogo in quanto nel caso che occupa si è trattato non di introduzione da parte della Dogre “nel giudizio d’appello di domande nuove” bensì di proposizione di un motivo di appello per l’ipotesi – prospettata “per scrupolo difensivo” – di violazione da parte della CTP del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Alla luce di questa premessa, le riportate considerazioni della CTR diventano comprensibili come negazione dei presupposti dell’ipotesi: la questione della pubblicità sulle tende parasole limita l’oggetto della causa definendo ciò che non vi rientra e che è “questione ormai definita”.

In altri termini: la CTR ha evidenziato che, esclusi i presupposti dell’inammissibilità ex 345 c.p.c. per il riferimento alle tende, il giudizio si è incentrato esclusivamente sulla assoggettabilità ad imposta dei pannelli con insegne. Il che del resto risulta essere sempre stato pacifico in causa (v. ricorso p. 2-4 e controricorso p. 7). La evidenziazione implica e quindi implicitamente esprime il rigetto del primo motivo dell’appello della Dogre. Dacché il difetto di interesse della ricorrente al motivo di ricorso in esame;

3. con il secondo motivo di ricorso la srl Multibrand lamenta la “violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1 bis, in relazione allo stesso D.Lgs., art. 7, nonché violazione del D.P.R. n. 495 del 1992, art. 47, con integrazione delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”. Sostiene che, al contrario di quanto affermato dalla CTR, i pannelli non avevano alcuna funzione pubblicitaria essendo meri supporti della scritta “Multibrand” e che nessun rilievo poteva essere attribuito al colore;

4. il motivo è infondato.

Il D.P.R. n. 495 del 1992 (recante regolamento di esecuzione ed attuazione del nuovo codice della strada), art. 47 definisce l’insegna come “la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da un simbolo o da un marchio realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa”; il D.Lgs. n. 507 del 1993 (recante Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei comuni e delle provincie nonché’ della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 4, concernente il riordino della finanza territoriale) art. 5 individua il presupposto dell’imposta nella “diffusione di messaggi pubblicitari” attuata nell’esercizio di una attività economica mediante “forme di comunicazione visive o acustiche” percepibili dai destinatari indeterminati in modo indifferenziato e diretta alla promozione della domanda di beni e servizi sul mercato, ovvero finalizzata a migliorare la immagine del soggetto pubblicizzato; l’art. 7, al comma 1, dispone che “L’imposta sulla pubblicità si determina in base alla superficie della minima figura piana geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario indipendentemente dal numero dei messaggi in esso contenuti”; all’art. 17, comma 1 bis (per la parte che interessa) prevede che “L’imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a 5 metri quadrati”.

Questa Corte in più occasioni ha affermato -in riferimento al marchio ma l’affermazione è identicamente riferibile all’insegna- che “la misura dell’imposta relativa alla pubblicità contenente la riproduzione del marchio commerciale va calcolata, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7, comma 1, sulla base delle dimensioni dell’intera superficie dell’installazione pubblicitaria, comprensiva anche della parte non coperta dal marchio, solo se quest’ultima abbia, per dimensioni, forma, colore, ovvero per mancanza di separazione grafica rispetto all’altra, le caratteristiche proprie o della componente pubblicitaria aggiuntiva vera e propria ovvero quelle di una superficie estensiva del messaggio pubblicitario” (v. tra altre Cass. n. 8427 del 31/03/2017).

Nel caso di specie la CTR ha precisato che i pannelli de quibus, per materiale (metallo) e colore (rosso), avevano di per se stessi un carattere “evocativo” (i.d. la funzione attrarre l’attenzione dei potenziali clienti) e rendevano più efficace la “scritta” (bianca) che vi era riportata con la quale facevano “un corpo unico ed inscindibile”. Ha così dato conto del fatto che i pannelli erano, con la scritta, parte integrante del “mezzo pubblicitario” (art. 7);

6. con il terzo motivo di ricorso la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di due fatti discussi in causa e asseritamente decisivi per l’esito del giudizio. Come attestato in una “relazione tecnica integrativa del 25.2.2014”, i pannelli erano rimasti installati anche dopo che da essi erano state rimosse, nel 2012, le scritte “Multibrand”; dacché, per deduzione, il (primo) fatto: i pannelli non avevano mai avuto funzione di pubblicità essendo stati funzionali a proteggere le saracinesche sottostanti. La società Dogre con un avviso di accertamento per imposta sulla pubblicità per l’anno 2010 aveva omesso di richiederne il pagamento riguardo ai pannelli de quibus. Dacché il (secondo) fatto, valorizzato dai giudici di primo grado e trascurato dalla CTR: la Dogre aveva riconosciuto che per i pannelli non sussisteva il presupposto impositivo;

7. il motivo è inammissibile. L’art. 360, comma 1, n. 1 stabilisce che può essere proposto ricorso per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Il primo fatto di cui la ricorrente lamenta sia stato omesso l’esame non è decisivo essendo di tutta evidenza che un qualsiasi elemento suscettivo, in unione con altro o altri, di effetto pubblicitario può avere in sé anche una funzione diversa o più funzioni diverse. Quello che la ricorrente indica come secondo fatto asseritamente decisivo in realtà non è un fatto. E’ un’inferenza non sorretta da una regola probabilistica oggettiva: nessun regola consente di trarre dalla mancata richiesta di un’imposta per un certo anno la conclusione che l’imposta non era dovuta nemmeno per un anno precedente per il quale era stata invece richiesta;

8. in regione di quanto precede il ricorso deve essere rigettato;

9. le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 900,00, oltre spese forfetarie, accessori di legge ed Euro 200,00 per esborsi;

ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, a norma dello stesso articolo, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio svolta con modalità da remoto, il 7 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021

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