LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5586-2019 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
L.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO FLACCAVENTO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3610/6/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di CATANIA, depositata il 06/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO GIOVANNI CONTI.
FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE Con la sentenza impugnata la CTR Sicilia, rigettando l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ha confermato la pronunzia di primo grado che aveva accolto il ricorso di L.P.G. – avverso il diniego tacito dell’amministrazione finanziaria al rimborso della quota pari al 90% delle imposte IRPEF ed ILOR relative a redditi di lavoro autonomo versate per gli anni dal 1990 al 1992, richiesto in quanto residente in una delle province colpite degli eventi sismici, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 17.
La CTR ha ritenuto, per quel che qui rileva, che non potesse disconoscersi la legittimazione del sostituito d’imposta a chiedere il rimborso tempestivamente attivato dal contribuente nè il diritto al rimborso, dovendosi ritenere che il carattere di aiuto di stato riconosciuto dalla decisione della Commissione Europea non potesse impedire il rimborso di quanto versato, applicandosi il regolamenti CE de minimis nn. 1407/2013 e 717/2014, vertendosi in ipotesi di impresa e sussistendone i presupposti in ragione del volume d’affari che nel triennio di riferimento non superava il limite fissato dal legislatore comunitario ai fini della deroga al regime di aiuti.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.
La parte intimata si è costituita con controricorso.
Con il motivo di ricorso l’Agenzia deduce la violazione della L. n. 289 del 2000, art. 9, comma 17, della L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la CTR avrebbe errato a riconoscere al contribuente il diritto al rimborso delle imposte pur in presenza di attività di impresa, quale doveva considerarsi quella dell’esercente una libera professione, peraltro riconoscendo il beneficio della deroga senza fare corretta applicazione del regime del de minimis.
Il motivo è fondato.
Ed invero, come già ritenuto da questa Sezione (Cass. n. 29905 del 2017 e n. 3070 del 2018 “la nozione Eurounitaria d’impresa include qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento, laddove costituisce attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte giustizia: 23/04/1991, Hofner & Elser; 16/11/1995, Federation francaise des societes d’assurances; 11/12/1997, Job Centre; 16/06/1987, Commissione vs. Italia; 01/07/2008, Motoe; 26/03/2009, Selex Sistemi Integrati)”; che ciò “si raccorda sia con la normativa fiscale Europea, laddove si stabilisce che è soggetto passivo d’imposta sul valore aggiunto “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività” (art. 9, p.1, Direttiva UE, n. 2006/112/CE; conf. art. 4, Direttiva UE, n. 77/388/CE), sia con la normativa Europea sugli appalti pubblici, laddove si stabilisce che “i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi” (art. 1, p.8, Direttiva UE, n. 2004/18/CE)”; che tale nozione è stata recepita dalla decisione del 14/08/2015, C(2015) 5549 fina/, p. 134, della Commissione UE, là dove si afferma che i “soggetti che non svolgono attività economica (…) non vanno considerati come imprese””; e che “ciò significa che non importa neppure che l’attività economica possa essere una libera professione regolamentata e che le prestazioni possano essere intellettuali, tecniche o specialistiche (v. Commissione UE, 30/01/1995, n. 95/188/CE; conf. Corte giustizia, 23/04/1991, Hoefner e 18/06/1998, Commissione vs. Italia)”.
Va pertanto considerata attività d’impresa anche quella svolta da soggetti esercenti attività di lavoro autonomo – conf., fra le altre, Cass. n. 27577/2019 -.
Va poi ribadito, in linea con i precedenti resi da questa Sezione sul medesimo argomento, che lo svolgimento di un’attività di impresa costituisce limite all’applicabilità del beneficio in esame, previsto dalla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, prima parte, posto che il diritto al rimborso delle imposte versate per il triennio 1990-1992 in misura superiore al 10 per cento previsto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 17, in favore dei “soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’art. 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990” è espressamente escluso per “quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione Europea”, atteso che la Corte di giustizia nella sentenza del 17/07/2008, in causa C-132/06, aveva già rilevato l’incompatibilità delle disposizioni condonistiche di cui alla L. n. 289 del 2002 con il sistema comune dell’IVA, in quanto, introducendo rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi sul territorio italiano, alteravano il principio di neutralità fiscale.
Peraltro, anche con riferimento al beneficio di cui alla L. n. 190 del 2014, art. 1, comma 665, prima parte, la Commissione UE, con la decisione sopra richiamata (impugnata da una società siciliana dinanzi al Tribunale di primo grado UE, che l’ha confermata con sentenza del 26 gennaio 2018 e che, pertanto, è vincolante per il giudice nazionale, che deve darvi attuazione anche attraverso la disapplicazione delle norme interne con essa contrastante – Cass. n. 15354 del 2014 e n. 22377 del 2017), all’art. 1 ha stabilito, in via generale, che “Le misure di aiuto di Stato in oggetto (L. 27 dicembre 2012, n. 289, art. 9, comma 17, e successive modifiche e integrazioni; (…) e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’art. 108, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono incompatibili con il mercato interno”, salvo che si tratti di “aiuto individuale” che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1407/2013 o dal regolamento (CE) n. 717/2014”, ovvero dei regolamenti che prevedono gli aiuti c.d. de minimis (art. 2 della decisione) o che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione dell’art. 1 del regolamento (CE) n. 994/98” (del 7 maggio 1998, sull’applicazione degli artt. 92 e 93 (ora 87 e 88) del trattato che istituisce la Comunità Europea a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali) “o da ogni altro regime di aiuti approvato”, ma “fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti” (art. 3).
E’ stata poi la stessa Commissione UE ad aggiungere che “una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sè aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perchè il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perchè il beneficio individuale è in linea (con) il regolamento de minimis applicabile oppure perchè il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione)” (p. 134 della “decisione”). In definitiva, risulta chiaro che, in caso di svolgimento di un’attività economica (commerciale o professionale che sia) da parte del contribuente (assoggettato a imposizione sulle attività produttive), il giudice di merito è tenuto a verificare in concreto che il beneficio individuale sia in linea con il regolamento de minimis applicabile (artt. 2 e 3 dec. cit.), “tenendo conto, in specie, che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1 TFUE, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza” (Cass., n. 22377/2017, cit.; conf. n. 29905/2017, cit.). In difetto, il giudice di merito deve valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la ridetta decisione della Commissione UE, fanno ritenere comunque compatibili gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’art. 107, par. 2, lett. b) TFUE, ovvero che si tratti di “aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale” (p. 150, lett. b), dec. cit.), sempre che sussista “un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame” (p. 136 dec. cit.); il che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovra-compensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o da altre misure di aiuto (p. 148 dec. cit.); inoltre, per il rispetto del principio de minimis, non basta che l’importo chiesto in rimborso ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata del diritto dell’UE, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo (Cass. sez. lav., 09/06/2017, n. 14465)”.
Questa Corte ha ancora precisato, nei precedenti appena evocati, che la prova delle suddette circostanze è a carico del soggetto che invoca il beneficio, ma, in sintonia con quanto affermato da Cass. n. 22377 del 2017, l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla vincolante decisione della Commissione UE (sopravvenuta nel corso del giudizio di appello) e la sua diretta incidenza sulla decisione della lite, nel determinare la cassazione della sentenza delle commissione regionale, consentono alle parti l’esibizione, in sede di rinvio, di quei documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di quei fatti che in base alla precedente disciplina non erano indispensabili, ma che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica (cfr. in tal senso già Cass. n. 5224 del 1998, cit.).
Orbene, la CTR non si è uniformata ai superiori principi.
Ed invero, nel caso di specie la CTR non ha posto in discussione la natura di impresa dell’attività posta in essere dal contribuente, ma ha ritenuto ricorrenti i presupposti del c.d. regime de minimis nei termini sopra riportati nella parte espositiva, facendo tuttavia riferimento al volume d’affari del contribuente nel triennio e non a quello degli aiuti di stato concessi. A fronte di siffatta valutazione, la censura sul punto esposta dall’Agenzia è fondata, non ponendo in discussione la possibilità di applicare detto regime – come ha considerato la CTR – ma contestando la valutazione operata dal giudice di appello in ordine alla ricorrenza in concreto dei presupposti normativi che l’Agenzia, una volta ritenuto dimostrato il presupposto dell’esercizio dell’attività d’impresa, ha specificamente posto in discussione evidenziando l’errore nel quale era incorso il giudice di appello ed il disallineamento del giudice di merito rispetto ai criteri indicati dall’art. 3 par., 2 reg. 1407/2013 ai fini del riconoscimento della deroga.
Ora, tale motivazione è errata, non considerando che questa Corte ha già ritenuto che, in tema di aiuto di Stato erogato a un’impresa per calamità naturali, il giudice nazionale è tenuto a verificare se il beneficio individuale sia compatibile con il regolamento “de minimis” applicabile o, in difetto, se ricorrono le condizioni che rendono l’aiuto compatibile con il mercato interno ai sensi dell’art. 107, p. 2, lett. b), TFUE (e cioè che si tratti di aiuto destinato a compensare i danni causati da calamità naturali). Pertanto, il contribuente che vuole fruire del beneficio deve fornire la prova, per il rispetto del limite del “de minimis”, che l’ammontare totale degli aiuti ottenuti nel periodo di tre anni (decorrente dal momento dell’ottenimento del primo aiuto e comprendente qualsiasi aiuto pubblico, accordato sotto qualsiasi forma) non supera la soglia prevista nel regolamento, ovvero, per l’applicazione dell’ipotesi prevista dall’art. 107, p. 2. lett. b) TFUE, di avere la sede operativa nell’area colpita dalla calamità al momento dell’evento ed anche l’assenza di una sovracompensazione dei danni subiti, scorporando dal pregiudizio accertato l’importo compensato da altre fonti (Cass. 2 maggio 2018, n. 10450; Cass., n. 32180/2019).
A tali principi non si è dunque adeguato il giudice di merito, fornendo una motivazione errata in diritto anche sull’aspetto da ultimo evidenziato.
Sulla base di tali considerazioni la sentenza impugnata, in accoglimento del ricorso va cassata, con rinvio ad altra sezione della CTR Sicilia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Sicilia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 25 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021