LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21385-2015 proposto da:
FONDAZIONE E.N. A.S.A.R.C.O., già E.N. A.S.A.R.C.O., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA PAMPHILI 59, presso lo studio dell’avvocato MARIA SALAFIA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGATOS TELECOMUNICAZIONI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S. TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato ANDREA ZANELLO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI RODINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 10765/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/03/2015 R.G.N. 8729/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2021 dal Consigliere Dott. MARCHESE Gabriella.
CONSIDERATO CHE:
1. la Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato non dovuti contributi previdenziali, FIRR e accessori di legge, richiesti dalla Fondazione Enasarco (di seguito, per brevità anche Enasarco o Fondazione) alla società AGATOS Telecomunicazioni S.r.l. (di seguito, Agatos), sulla base di un verbale ispettivo che aveva ritenuto l’attività di fatto, svolta da alcuni collaboratori, riconducibile al rapporto di agenzia commerciale;
2. per quanto qui di rilievo, la Corte territoriale giudicava infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, avendo la parte appellante preso specifica posizione in ordine alle statuizioni assunte nella decisione di primo grado;
3. nel merito, secondo la Corte d’appello, non risultava dimostrato, in modo univoco, che i collaboratori avessero specifici obblighi contrattuali e vincoli di promozione degli affari per conto della preponente. A tale riguardo, ha osservato, come la continuità nel tempo del rapporto e delle fatture non rappresentassero indici decisivi ai fini della qualificazione del rapporto come richiesto dall’Ente, giacché l’elemento dirimente era da ricercare nell’obbligatorietà dell’attività di promozione dei contratti nel senso che solo il procacciatore e non anche l’agente poteva liberamente scegliere di attivarsi o meno nella ricerca di clienti per il proponente senza che la sua eventuale inerzia rappresentasse motivo di inadempimento. Ha sottolineato come la lettera di incarico contenesse una mera autorizzazione a promuovere la conclusione dei contratti, senza la previsione di un “reciproco impegno”. Ha anche osservato come irrilevante fosse, poi, la circostanza che alcuni dei procacciatori fossero iscritti all’albo degli agenti giacché all’agente non è precluso concludere contratti di procacciamento di affari e neppure assumeva significato particolare il fatto che, in alcuni dei documenti fiscali esaminati, i collaboratori fossero qualificati come agenti;
4. avverso la sentenza ha proposto ricorso la Fondazione Enasarco, con sette motivi;
5. ha resistito, con controricorso, la società Agatos;
6. entrambe le parti hanno depositato memoria;
7. con la memoria, la società Agatos ha chiesto che fosse disposta l’interruzione del processo a seguito della cancellazione della società dal registro delle imprese in data 20.11.2019, documentata mediante allegazione della visura camerale.
CONSIDERATO CHE:
8. preliminarmente, deve respingersi l’istanza di interruzione del processo;
9. nel giudizio di cassazione, che è dominato dall’impulso di ufficio, non sono applicabili le comuni cause interruttive previste dalla legge in generale, sicché la cancellazione dal registro delle imprese in data successiva alla proposizione del ricorso, debitamente comunicata dal difensore, non determina l’interruzione del processo (Cass. n. 2625 del 2018; n. 3323 del 2014; in motivazione, v. tra le altre, Cass. n.25869 del 2021);
10. passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la Fondazione denuncia la violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c. nonché dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. E’ censurata la statuizione di ammissibilità dell’appello;
11. il motivo si arresta ad un rilievo di inammissibilità, per difetto di specificità;
12. non risultano, infatti, adeguatamente trascritti né la sentenza di primo grado né l’atto di appello. Tali omissioni si pongono in contrasto con i principi sanciti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e dall’art. 369 c.p.c., n. 4 che impongono alle parti, ove siano in gioco atti processuali ovvero documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 n. c.p.c., di carenze motivazionali, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o di un “error in procedendo” ai sensi dei nn. 1, 2 e 4 della medesima norma, non solo di riprodurre (adeguatamente) il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale in ricorso, ma anche di indicarne l’esatta allocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (Cass., sez. un., 8077 del 2012; ex plurimis, Cass. n. 13713 del 2015);
13. con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 13621363 e 2697 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione al requisito della cd. stabilità della prestazione ex art. 1742 c.c.;
14. per l’Enasarco, il giudice del gravame, pur avendo correttamente richiamato la giurisprudenza che individua i caratteri distintivi del contratto di agenzia rispetto al contratto di procacciamento di affari ed individuato gli stessi nella stabilità e continuità del rapporto di lavoro, avrebbe poi violato e falsamente applicato le norme di cui in rubrica affermando la mancanza di prova, nella fattispecie, di un obbligo di procacciare gli affari, escludendo lo stesso sulla base della lettera di incarico. Per la Fondazione, la Corte territoriale avrebbe errato nel valutare le clausole contrattuali, non interpretandole le une per mezzo delle altre. Rileva la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per non aver la Corte posto a fondamento della decisione tutte le prove acquisite al processo;
15. con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1742 c.c. e ss. e dell’art. 2697 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione al requisito della cosiddetta stabilità ed episodicità della prestazione;
16. è censurata la mancata valutazione degli elementi qualificanti la collaborazione lavorativa in termini di procacciamento di affari. Oltre all’assenza di stabilità, la Corte avrebbe dovuto valutare se, nella fattispecie, la prestazione fosse stata episodica, giacché l’attività del procacciatore può sì essere continuativa nel tempo ma deve essere, contestualmente, sporadica. A tale riguardo, la Corte di appello avrebbe omesso di valutare correttamente la modalità e la tempistica di emissione delle fatture provvigionali quale utile indice a verificare la sussistenza dell’episodicità;
17. con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto l’omesso esame di fatti decisivi, per aver la Corte di appello omesso di valutare che, nel contratto standard, era previsto il preavviso di recesso;
18. con il quinto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto l’omesso esame delle fatture provvigionali emesse dai procacciatori a titolo di acconto;
19. con il sesto motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotta l’omessa valutazione del contratto standard che prevedeva la maturazione delle provvigioni, salvo buon fine dell’affare;
20. con il settimo motivo, infine, – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 relativamente al capo della sentenza che ha dichiarato l’irrilevanza dell’utilizzo del termine “agente” negli estratti conto provvigionale;
21. i motivi possono esaminarsi congiuntamente, presentando profili di stretta connessione;
22. le censure, anche quelle sub specie di violazione di norme di legge processuale e sostanziale, investono, nella sostanza, questiones facti, denunciabili nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5; tutti i motivi, però, si collocano al di fuori del paradigma normativo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come rigorosamente e costantemente interpretata da questa Corte (Cass., sez. un., nn. 8053 e 8054 del 2014; principi ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici);
23. peraltro, il richiamo contenuto nella rubrica di alcuni motivi agli artt. 115 e 116 c.p.c. è del tutto inconferente rispetto ai contenuti delle censure; la parte ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, mentre, come ripetutamente osservato dalla Corte, una questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c., può porsi, rispettivamente, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (ex plurimis, Cass. n. 27000 del 2016);
24. nessuna di tali evenienze è effettivamente prospettata in ricorso;
25. risulta, invece, infondata la deduzione di violazione dell’art. 2697 c.c., avendo la Corte correttamente individuato nella Fondazione la parte onerata della prova dei fatti controversi (id est: dei fatti costitutivi il diritto di credito);
26. tanto premesso, deve essere osservato come, secondo la giurisprudenza di questa Corte (tra le più recenti, v. Cass. n. 16565 del 2020), i caratteri distintivi del contratto di agenzia debbano individuarsi nella continuità e stabilità dell’attività dell’agente di promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente, nell’ambito di una determinata sfera territoriale, realizzando in tal modo con quest’ultimo una non episodica collaborazione professionale autonoma, con risultato a proprio rischio, e con l’obbligo naturale di osservare, oltre alle norme di correttezza e di lealtà, le istruzioni ricevute dal preponente medesimo. Il rapporto di procacciatore d’affari si concreta, invece, nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità ed in via del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni; mentre la prestazione dell’agente è stabile, avendo egli l’obbligo di svolgere l’attività di promozione dei contratti, la prestazione del procacciatore è occasionale nel senso che dipende esclusivamente dalla sua iniziativa;
27. nella sentenza impugnata non si riscontrano errori di applicazione dei criteri appena esposti e i motivi, nella sostanza, criticano essenzialmente la valutazione, resa dalla Corte di appello, in merito al concreto atteggiarsi dei rapporti;
28. la Corte territoriale ha, infatti, adottato quale criterio di qualificazione delle intercorse collaborazioni quello della “stabilità della prestazione e dell’obbligatorietà dell’attività di promozione” che caratterizzano il rapporto di agenzia commerciale – e non quello del procacciatore d’affari – e ha ritenuto, in base ad un giudizio di merito non ritualmente censurato, non raggiunta la prova che i collaboratori avessero specifici vincoli o obblighi contrattuali di promuovere affari per conto della preponente;
29. la Corte di appello ha valutato i fatti denunciati come omessi e, tuttavia, non attribuito agli stessi il valore auspicato dalla parte ricorrente. Si e’, tuttavia, in presenza dell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandato al giudice del merito, di stabilire l’idoneità o meno delle fonti di prova a dimostrare i fatti costitutivi della domanda;
30. infondata e’, anche, la denuncia di motivazione apparente;
31. costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui affinché sia integrato il vizio di mancanza o apparenza della motivazione – agli effetti dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – occorre che la motivazione della sentenza manchi del tutto, vuoi nel senso grafico vuoi nel senso logico ovvero allorché la motivazione, pur formalmente esistente, sia talmente contraddittoria da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass., sez.un., n. 22232 del 2016);
32. nella fattispecie di causa, la ritenuta inidoneità, da parte dei giudici, dell’attribuzione della qualifica di agenti, in alcuni dei documenti esaminati, è considerazione comprensibile alla luce del complessivo iter argomentativo che esprime la valorizzazione del concreto atteggiarsi del rapporto rispetto ad elementi formali di qualificazione dello stesso;
33. per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato con condanna della Fondazione a pagare le spese processuali nella misura indicata in dispositivo;
34. sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.000,00 per compensi processuali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 novembre 2021
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