Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32207 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28119/2019 R.G. proposto da:

D.F., rappresentato e difeso dal Prof. Avv. Angelo Scala, con domicilio eletto in Roma, Via G.P. da Palestrina, presso lo studio legale Izzo;

– ricorrente –

contro

UnipolSai Assicurazioni S.p.a., rappresentata e difesa dal Prof. Avv. Andrea Graziosi, con domicilio eletto, in Roma, Via Mazzini, n. 145, presso lo studio dell’Avv. Paolo Garau;

– controricorrente –

e nei confronti di:

A.V.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3591/2018, depositata il 17 luglio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 maggio 2021 dal Consigliere Dott. Iannello Emilio.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 9768/2010 il Tribunale di Napoli, in accoglimento della domanda risarcitoria proposta (con atto di intervento in giudizio promosso da altri, pacificamente estranei all’odierno residuo tema di lite) da D.F. nei confronti di A.V. e della Aurora Assicurazioni S.p.a., in relazione a sinistro stradale occorso il 1 giugno 2003, condannò i convenuti in solido al pagamento in favore del predetto della somma di Euro 246.251, oltre interessi.

2. Il D. interpose appello, per ottenere il riconoscimento del maggior risarcimento preteso.

Avutasi la costituzione della sola UnipolSai Ass.ni S.p.a. (quale società incorporante l’Aurora Assicurazioni S.p.a.) ed assunta la causa una prima volta in decisione, con ordinanza del 9 novembre 2017 la Corte ne dispose la rimessione sul ruolo, ordinando, ai sensi dell’art. 164 c.p.c., la rinnovazione della citazione nei confronti delle altre parti appellate o, quanto meno, di A.V., unico litisconsorte necessario, avendone rilevato la nullità per la omessa specificazione (in violazione dell’art. 163 c.p.c., n. 2) di ogni elemento relativo ai convenuti (nome, cognome, residenza), dei quali non era in alcun modo possibile l’identificazione.

3. All’udienza del 20 marzo 2018, il procuratore dell’appellante dichiarò di non avere provveduto a tale incombente “per problemi al sistema telematico” e chiese di essere rimesso in termini.

4. Precisate le conclusioni e concessi i termini ex art. 190 c.p.c., la Corte d’appello ha quindi pronunciato sentenza con la quale ha ordinato la cancellazione della causa dal ruolo e dichiarato non proseguibile il giudizio, compensando interamente le spese.

Ha infatti ritenuto che:

– la genericità della giustificazione addotta della mancata ottemperanza all’ordine di rinnovazione dell’atto di appello emesso ai sensi dell’art. 164 c.p.c. e la mancanza di ogni riscontro in proposito non consentivano di ipotizzare una causa non imputabile alla parte, donde la non accoglibilità dell’istanza di rimessione in termini;

– andava conseguentemente applicato il comma 2 della norma citata che, nella parte finale, prevede, in tal caso, la cancellazione della causa dal ruolo e l’estinzione del processo a norma dell’art. 307 c.p.c., comma 3;

– trattandosi però di giudizio introdotto, in primo grado, nel 2005 e non trovando pertanto applicazione il nuovo testo della citata disposizione, come modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46 (che prevede, in caso di inattività delle parti, non solo che l’estinzione operi di diritto, ma altresì che la stessa possa essere dichiarata anche d’ufficio), non avendo la controparte eccepito l’estinzione del giudizio, come dovuto in base alla formulazione applicabile ratione temporis, andava emessa una pronuncia di mero rito, ricognitiva della impossibilità di proseguire il giudizio.

Ha infine soggiunto che, sebbene la compagnia di assicurazione si fosse costituita in giudizio sanando il vizio della vocatio in ius nei suoi confronti, tra gli appellati nei cui confronti andava rinnovato l’atto introduttivo ex art. 164 c.p.c. vi era anche A.V., litisconsorte necessario quale responsabile civile, ragione per cui la cancellazione dal ruolo e la conseguente estinzione non potevano che riguardare l’intero giudizio di appello.

5. Avverso tale decisione D.F. propone ricorso per cassazione con due mezzi, cui resiste UnipolSai Ass.ni S.p.a., depositando controricorso.

L’altro intimato non svolge difese nella presente sede.

Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, “violazione e falsa applicazione degli artt. 163,164,291,307 c.p.c.; nullità della sentenza per violazione degli artt. 163,164,291,307 c.p.c.”.

Lamenta che l’affermazione della nullità dell’atto di citazione in appello per vizio della vocatio in ius non è sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici, dal momento che, sebbene l’atto non indicasse le parti citate a comparire innanzi al giudice d’appello, tuttavia dal corpo dell’atto e dalle sue conclusioni, nonché dalla relazione di notifica, risultava la parte nei cui confronti era indirizzata la domanda.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, “violazione e falsa applicazione degli artt. 112,291 e 307 c.p.c.; nullità della sentenza per violazione degli artt. 112,291 e 307 c.p.c.”.

Sostiene che, in base alla vecchia formulazione dell’art. 307 c.p.c., u.c., applicabile alla fattispecie, in mancanza di eccezione di parte (da opporre peraltro prima di ogni altra difesa) diretta alla declaratoria di estinzione del giudizio per inottemperanza all’ordine di rinnovazione della citazione, la corte d’appello non avrebbe potuto dichiarare improseguibile il giudizio, così in sostanza sancendone ex officio l’estinzione e, dunque, eludendo il dettato normativo.

3. Il primo motivo è inammissibile.

Secondo consolidato indirizzo, l’indagine circa l’individuabilità, nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado (o della citazione in appello), di elementi idonei a consentire l’identificazione della persona evocata in giudizio ed a far escludere la sussistenza di quell’assoluta incertezza al riguardo che determina nullità ai sensi dell’art. 164 c.p.c., è istituzionalmente rimessa al giudice del merito ed è insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. 21/11/2006, n. 24680 e succ. conff.).

Con il motivo in esame il ricorrente richiede esattamente quello che, secondo detto principio, cui qui deve darsi continuità, è precluso al giudice di legittimità.

Il vizio logico dedotto non riguarda invero, ab intrinseco, la motivazione al riguardo offerta in sentenza, in sé perfettamente chiara e coerente, ma la valutazione della stessa in rapporto al contenuto dell’atto di appello (di cui sono trascritti alcuni stralci, peraltro di per sé non univocamente evidenti nel senso prospettato), il che per l’appunto si risolve nella sollecitazione ad una nuova autonoma valutazione, sotto il profilo in questione, del contenuto dell’atto, non consentita in questa sede.

4. Il secondo motivo è infondato.

Il termine concesso dal giudice per la rinnovazione della citazione nulla per un vizio della vocatio in ius è espressamente qualificato dalla norma come perentorio (art. 164 c.p.c., comma 2, primo periodo,) e, pertanto, non può essere né rinnovato né prorogato ai sensi dell’art. 153 c.p.c..

La stessa disposizione prevede (art. 164 c.p.c., comma 2, ultimo periodo) che “se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma dell’art. 307 c.p.c., comma 3”.

Si tratta, dunque, di una estinzione prevista dalla norma quale conseguenza immediata della mancata rinnovazione e come tale deve ritenersi operante (ché altrimenti ne resterebbe elusa la chiara portata precettiva) anche in difetto di formulazione di una relativa eccezione, e comporta che, pur in assenza di eccezione, si pervenga ad una decisione di mero rito, ricognitiva della impossibilità di proseguire la causa in mancanza di una parte necessaria; ed in tal senso va interpretata anche una eventuale statuizione che provveda a definire il giudizio di primo grado attraverso la cancellazione della causa dal ruolo.

Tale principio è costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in ipotesi di mancata integrazione del contraddittorio, sulla base di una disciplina positiva per tale diversa ipotesi rinvenibile nell’art. 307 c.p.c., comma 3 (v. Cass. 14/04/2015, n. 7460; Cass. 10/01/1998, n. 157).

Si tratta di disciplina esattamente identica a quella prevista, specificamente, per il caso di mancata ottemperanza dell’ordine di rinnovazione della citazione dall’art. 164 c.p.c. che, sul punto, per vero, non fa altro che ribadire quanto già ricavabile dal citato art. 307 c.p.c., comma 3, il quale accomuna infatti alla ipotesi di mancata integrazione del contraddittorio nel termine perentorio stabilito dalla legge o dal giudice anche, tra le altre, quella della mancata rinnovazione della citazione.

Non vi è pertanto alcuna ragione per giungere ad una diversa ricostruzione degli effetti della mancata osservanza dell’ordine di rinnovazione, tanto più in un caso quale quello di specie nel quale la nullità della citazione e il conseguente ordine di rinnovazione hanno riguardato un litisconsorte necessario.

5. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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