LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 20962-2019 R.G. proposto da:
MIIC SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 45, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ARDITI DI CASTELVETERE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO SILIPO, DOMENICANTONIO SILIPO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3/12/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 03/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. RITA RUSSO.
RILEVATO
che:
1.-. La MIC s.r.l. ha impugnato due avvisi di accertamento in materia di dazi doganali (c.d. antidumping) per l’anno 2009 e 2010, applicati ai sensi del Reg. CE n. 91 del 2009, rilevando, tra l’altro, che il Reg. UE 278 del 2016, ha sostituito il precedente Reg. n. 91 del 2009, abrogando il dazio antidumping sulle importazioni di materiali di fissaggio in ferro e acciaio originarie della Repubblica popolare cinese e che detta modifica rende illegittimo ex tunc l’intero accertamento in rettifica operato dall’Agenzia. Il ricorso del contribuente è stato parzialmente accolto in primo grado, non accogliendo la tesi della retroattività della norma, ma riducendo la quota applicata dall’ufficio, poichè l’effettivo fornitore (cinese) della merce compariva nell’elenco di cui al Reg. UE n. 91 del 2009, art. 1, e quindi era soggetto parzialmente esentato dal dazio antidumping. L’Agenzia ha proposto appello e il contribuente ha proposto appello incidentale, entrambi rigettati dalla CTR della Emilia Romagna, che con sentenza depositata in data 3 gennaio 2019, ha confermato la sentenza di primo grado.
2. Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione la società affidandosi ad un motivo. Resiste con controricorso l’Agenzia. Assegnato il procedimento alla sezione sesta, su proposta del relatore è stata fissata l’adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., notificando la proposta e il decreto alle parti.
RITENUTO
che:
3. – Con il primo e unico motivo del ricorso, la parte lamenta la violazione e falsa applicazione del Reg. UE n. 268/2016. Deduce che erroneamente la CTR ha ritenuto che il predetto regolamento non abbia portata retroattiva.
Il motivo è infondato.
La contestazione dell’ufficio riguarda la circostanza che si tratta di importazione, negli anni 2009 e 2010, di merce di origine cinese ma che era stata immessa in una zona franca, ove era stata trasportata in altri contenitori con documenti attestanti falsamente l’origine malese; ciò accertato era stata sottoposta alle misure antidumping, che nella prospettazione della odierna ricorrente sarebbero stati abrogati dal Reg. 268 del 2016, con effetto retroattivo.
In merito questa Corte ha già affermato il principio, al quale il Collegio odierno intende dare continuità che, in tema di dazi doganali, l’abrogazione delle misure antidumping ad opera del Reg. UE n. 798 del 2016, in quanto frutto di una mera valutazione di opportunità degli organi unionali, non ha effetto retroattivo, come si desume dall’art. 2 e dai “considerando” nn. 13 e 14 del reg. cit.; essa, pertanto, non inficia gli atti, le contestazioni e le sanzioni elevate in vigenza del precedente Reg. (CE) n. 91 del 2009 (Cass. 28688/2019; Cass. 29649/2019) Deve precisarsi che non viene qui in applicazione la regola enunciata dalla Corte di giustizia, con la sentenza 3 luglio 2019, in causa C644/17, Eurobolt BV, sulla questione relativa alla validità del Reg. di esecuzione (UE) n. 723 del 2011 del Consiglio, del 18 luglio 2011. La Corte, in quella occasione si è espressa sulla validità del Regolamento di esecuzione n. 723/2011 per effetto delle disposizioni di cui regolamento di base, art. 15, paragrafo 2, ed ha in proposito precisato – che il Reg. di esecuzione (UE) n. 723 del 2011 del Consiglio, del 18 luglio 2011, che estende il dazio antidumping definitivo istituito dal Reg. CE n. 91 del 2009, sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese alle importazioni della medesima merce spedite dalla Malesia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o no originari della Malesia.
Nella fattispecie l’avviso di rettifica e l’atto di contestazione concernente le sanzioni applicate dall’Ufficio muovono dal presupposto che i prodotti importati dalla società contribuente, nel periodo in cui non erano ancora in vigore le misure antidumping di cui al Reg. UE n. 723 del 2011, fossero in realtà di origine cinese, e che viaggiassero con documenti che falsamente ne attestavano l’origine malese. La CTP, per come esposto da entrambe le parti, con statuizione sulla quale si è ormai formato giudicato interno, ha verificato che il fornitore era cinese, identificandolo come soggetto parzialmente esentato dal dazio antidumping, riducendo così la quota applicata dall’ufficio.
Non si tratta, dunque, di estendere ad un momento anteriore all’apertura della relativa inchiesta il Reg. n. 723 del 2011, con conseguente irrilevanza, rispetto al presente giudizio, della declaratoria di invalidità che, a seguito della sentenza della CGUE. 3.7.2019, in causa C-644/17, ha colpito detto regolamento, ma di applicare direttamente, in ragione della riscontrata origine cinese della merce, il Reg. CE n. 91/2009 vigente al momento dell’importazione, e rispetto al quale, come sopra si è detto, non opera l’abrogazione operata dal Reg. 278/2016, priva di effetto retroattivo.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della parte ricorrente e si liquidano come da dispositivo
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021