Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.33459 del 11/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.S., rappresentato e difeso sa se medesimo ex art. 83 c.p.c., elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato Lucia Camporeale, in Roma, via Pilo Albertelli n. 1.

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello stato, domiciliato ex lege presso la medesima in Roma, via dei Portoghesi n. 12.

– resistente –

avverso il decreto n. 178 della Corte di appello di Cagliari, depositato il 12 febbraio 2018.

Viste le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa CERONI Francesca, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Con decreto n. 178 del 12.2.2018 la Corte di appello di Cagliari rigettò l’opposizione proposta da S.S., ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5 ter, avverso il decreto presidenziale che aveva dichiaro inammissibile per tardività il suo ricorso per la liquidazione dell’indennizzo previsto dalla legge citata. La Corte confermò la declaratoria di inammissibilità del ricorso rilevando, da un lato, che il ricorso era stato depositato il 27.1.2017 mentre il giudizio oggetto della denunziata violazione si era concluso con la sentenza della Corte di Cassazione n. 22908 del 2012 e, dall’altro, che non poteva individuarsi come termine a quo per la sua proposizione la data di pubblicazione della successiva sentenza della Cassazione n. 27252 del 28.12.2016, che aveva dichiarato inammissibile il suo ricorso per revocazione della precedente decisione. Con riferimento a quest’ultimo profilo, il giudicante precisò che nel caso di specie trovava applicazione, ratione temporis, l’art. 391 bis c.p.c., comma 4, successivamente soppresso con la L. 25 ottobre 2016, n. 197, secondo cui “La pendenza del termine per revocazione della sentenza della Corte di Cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con il ricorso respinto” e che, pertanto, avendo la revocazione natura di mezzo straordinario di impugnazione, il giudizio oggetto della denunziata violazione doveva reputarsi definito con la sentenza della Corte di Cassazione del 2012.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 13.9.2018, ricorre S.S., affidandosi a due motivi, ad illustrazione dei quali ha depositato memoria.

Il Ministero della Giustizia si è costituito ma senza depositare controricorso.

All’adunanza del 22.10.2020 la causa è stata rimessa sul ruolo in attesa della decisione da parte delle Sezioni Unite di questa Corte sul ricorso iscritto al R.G. 4943 del 2019, attinente a questione ritenuta rilevante per la risoluzione del presente giudizio, e quindi rinviata alla pubblica udienza.

La trattazione del ricorso si è quindi svolta, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2010, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con la L. 18 dicembre 2010, n. 176, in Camera di consiglio senza l’intervento del procuratore generale, che ha depositato conclusioni scritte, e dei difensori delle parti, non essendo stata presentata richiesta di discussione orale.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 391 bis c.p.c. e della L. 25 ottobre 2016, n. 197, che ha convertito il D.L. 31 agosto 2016, n. 168, anche in rapporto all’art. 124 disp. att. c.p.c., censurando la decisione impugnata per avere ritenuto rilevante ai fini del decidere la modifica normativa introdotta dal D.L. n. 168 del 2016, atteso che anche prima di tale riforma la sentenza della Corte di Cassazione non passava in giudicato se la domanda di revocazione veniva proposta, trattandosi di mezzo di impugnazione ordinario, come comprovato dall’art. 124 disp. att., secondo cui il cancelliere non può certificare il passaggio in giudicato della sentenza se non è scaduto il termine per proporre revocazione.

Si assume inoltre che le previsioni di cui agli artt. 3 e 4 della legge c.d. Pinto sono successive all’introduzione dell’art. 391 bis c.p.c., a conferma della volontà del legislatore di considerare definitiva e irrevocabile solo la pronuncia non soggetta a revocazione.

Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, come modificato dalla L. n. 228 del 2015, degli artt. 112, 132 n. 4 e 277 c.p.c. e violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, censurando il decreto impugnato per non avere ritenuto che il giudizio oggetto di denunzia si fosse concluso soltanto con la sentenza che si è pronunciata sul ricorso per revocazione n. 27252 del 28.12.2016, non ravvisando in essa il provvedimento definitivo da cui decorreva il termine per la proposizione della domanda ex L. n. 89 del 1991. Ad avviso del ricorrente la decisione della Corte territoriale è erronea per non avere considerato che la revocazione è mezzo di impugnazione ordinaria e che la sentenza di cassazione diviene definitiva solo all’esito del giudizio di revocazione o, se esso non viene proposto, trascorso il termine per la sua proposizione, nonché nulla per avere ignorato le ragioni formulate dall’istante a fondamento dell’opposizione.

I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione oggettiva, sono infondati.

Ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4 “La domanda di riconoscimento di un indennizzo nel caso di violazione del termine di ragionevole durata del processo deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva”.

La questione posta dal ricorso è se, nel caso in cui in giudizio sia stato definito con sentenza della Corte di Cassazione e contro di essa sia stato avanzato ricorso per revocazione, il momento conclusivo del procedimento giudiziario debba essere individuato nella sentenza che ha deciso sulla revocazione ovvero in quella precedente, che ha deciso sull’impugnazione della decisione di merito.

Va altresì segnalato, in questa premessa, che ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., comma 5 (originariamente comma 3), “La pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto”. Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, infatti, come precisato con le sentenze di questa Corte n. 11737 del 2019 e n. 26672 del 2020, tale disposizione non è stata modificata né dal D.Lgs. n. 40 del 2006, né dal D.L. n. 168 del 2016 e dalla relativa Legge di Conversione n. 197 del 2016. Il punto non appare però rilevante, atteso che la Corte cagliaritana ha comunque ritenuto applicabile tale disposizione, sia pure in ragione della posteriorità della sua ritenuta modificazione.

L’art. 391 bis c.p.c., u.c., dispone, infine, che: “In caso di impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di cassazione non è ammessa la sospensione dell’esecuzione della sentenza passata in giudicato, né è sospeso il giudizio di rinvio o il termine per riassumerlo”.

Tanto premesso, la questione posta dal ricorrente risulta già affrontata da questa Corte, la quale, con orientamento costante, ha affermato che il termine semestrale di decadenza per la proposizione della domanda di equa riparazione, previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, decorre dalla data in cui è divenuta definitiva la decisione che conclude il processo della cui durata si discute, il quale va individuato, in caso di giudizio in cassazione, nella sentenza che respinge o dichiara inammissibile il ricorso e che detto termine, una volta spirato, non può essere riaperto per effetto del ricorso per revocazione nei confronti della sentenza conclusiva del processo presupposto. A sostegno di tale conclusione si è argomentato che il rimedio della revocazione avverso le sentenze della Cassazione si configura come mezzo di impugnazione straordinario, non legato da “rapporto di unicità” con il giudizio di cognizione concluso con sentenza passata in giudicato e che il richiamo all’art. 324 c.p.c., secondo cui “Si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui dell’art. 395, nn. 4 e 5”, non può comportare che la sentenza di cassazione di rigetto possa essere considerata non definitiva perché nei confronti della stessa è proponibile, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., ricorso per revocazione.

Poiché quindi la pendenza del termine per la revocazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza della Corte di cassazione, ai fini di stabilire il dies a quo del termine di decadenza, fissato dalla legge nel momento il cui il provvedimento conclusivo del procedimento è divenuto definitivo, occorre avere riguardo al momento del deposito della sentenza della Corte di cassazione che, nel caso di rigetto (o dichiarazione di inammissibilità) del ricorso, determina il passaggio in giudicato della stessa e quindi la sua definitività, senza aspettare che si consumi il termine per proporre revocazione decorrente dalla notificazione della sentenza o, in mancanza, dal suo deposito ovvero la definizione del giudizio di revocazione, se il relativo ricorso è proposto (Cass. n. 11737 del 2019; Cass. n. 63 del 2017; Cass. n. 843 del 2014; Cass. n. 21863 del 2012; Cass. n. 14970 del 2012; Cass. n. 24358 del 2006).

Il Collegio ritiene di confermare questo orientamento, non ravvisando ragioni per discostarsene. Le disposizioni sopra richiamate sono chiare nell’indicare che la sentenza della Cassazione, che rigetta o dichiara inammissibile il ricorso, determina il passaggio in giudicato della sentenza emessa nel giudizio di merito, segnando la conclusione del relativo giudizio ed integrando pertanto la fattispecie a cui la L. n. 89 del 2001, art. 4, riconduce il momento iniziale del termine di decadenza di sei mesi per proporre la domanda di equo indennizzo.

In particolare, una diversa soluzione, diversamente da quanto sostenuto dal Procuratore generale nelle sue conclusioni, non sembra potersi giovare del richiamo alla recente sentenza n. 26672 del 2020 delle Sezioni unite di questa Corte, la quale ha affermato che il termine di decadenza previsto dalla L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2, per l’esercizio dell’azione di risarcimento del danno causato nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, nel caso in cui sia stata proposta revocazione avverso la sentenza della Corte di Cassazione, decorre dalla pubblicazione del provvedimento che ha deciso sulla revocazione, anche nell’ipotesi in cui l’abbia dichiarata inammissibile. Occorre precisare, infatti, che questa conclusione, pur svolgendo la decisione citata considerazioni generali sulla natura del rimedio previsto dall’art. 391 bis c.p.c., trova, in sede di motivazione, specifica giustificazione nella particolare disciplina dettata dalla L. n. 117 del 1988, art. 4, con riferimento in particolare alla necessaria esperibilità dei rimedi interni che consentono di rimuovere il provvedimento giudiziale a cui la parte imputa il danno lamentato, individuando nell’art. 391 bis, per l’appunto un rimedio utilizzabile a tale scopo. La L. n. 117 del 1988, art. 4, prevede che: “L’azione di risarcimento dei danni contro lo Stato può essere esercitata quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli atri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, o comunque quando non sia più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell’ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno. La domanda deve essere proposta, a pena di decadenza, entro tre anni dal momento in cui l’azione è esperibile “. A sua volta il precedente art. 2, comma 3, delinea tra i casi di colpa grave del magistrato ipotesi rientranti tra le situazioni che legittimano il ricorso per revocazione, sicché la soluzione accolta appare funzionale alla necessità di consentire alla parte che si ritiene danneggiata dal provvedimento del giudice di esperire ogni rimedio possibile per rimuovere l’errore e quindi il pregiudizio ricevuto, salvaguardando così sia l’interesse particolare che quello pubblico a vedere emendato l’errore. In questa prospettiva la conclusione accolta modula in senso favorevole alla parte il termine di decadenza stabilito per l’esercizio dell’azione di responsabilità.

Tale finalità e l’interesse perseguito appaiono invece assenti nel caso della fattispecie della violazione della durata ragionevole del processo, in cui si avverte semmai l’esigenza, se non contraria certo diversa, di stabile il perimetro entro cui la vicenda processo possa ritenersi esaurita, situazione che in base alle regole ed ai principi processuali è segnata dal passaggio in giudicato della sentenza. La domanda di equo indennizzo ai sensi della c.d. legge Pinto non mira invero a tutelare la parte rispetto alla decisione adottata, ma il suo interesse alla durata del processo, che deve svolgersi in tempi ragionevoli, e che deve essere a tal fine inteso con riferimento al suo ordinario e fisiologico svolgimento, che nel giudizio civile è rappresentato dall’arco temporale che va dalla proposizione della domanda alla pronuncia della sentenza che definitivamente decide la controversia.

La diversità della materia trattata dai due impianti normativi, ispirati ad esigenze diverse, quello di cui alla L. n. 89 del 2001, in tema di equa riparazione in caso di non ragionevole durata del processo e quello di cui alla L. n. 117 del 1988, che affronta invece la materia del risarcimento del danno causato nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, impedisce di estendere alla questione in esame la soluzione accolta dall’arresto delle Sezioni unite sopra citato.

Il ricorso va pertanto respinto.

Nulla sulle spese, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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