Fallimento, debiti pecuniari del fallito, piano di ammortamento “alla francese”, applicazione dell’art. 2855 c.c., esclusione

Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.33474 del 11/11/2021

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Fallimento, debiti pecuniari del fallito, piano di ammortamento “alla francese”, applicazione dell’art. 2855 c.c., esclusione

Ai sensi dell’art. 55 della Legge fallimentare, i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti alla data della dichiarazione di fallimento,  per cui al creditore non sono riconosciuti gli interessi che erano destinati ad offrire una remunerazione del capitale parametrata all’originaria durata del contratto di mutuo. All’originaria composizione contrattuale si sostituisce la norma inderogabile di legge: in particolare, quella dell’art. 2855 c.c., come pure espressamente richiamata dall’art. 54 della Legge fallimentare.

Ne deriva che potranno trovare collocazione privilegiata ipotecaria solo gli interessi maturati sulle quote di capitale scadute e insolute nei due anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento.

Nel caso di un piano di ammortamento “alla francese”, essendo composto da una quota capitale crescente nel tempo e di una quota interessi decrescente, ogni rata, in sostanza, incorpora interessi corrispettivi non ancora maturati, Che, come tali, non sono da riconducibili alla norma dell’art. 2855 c.c.

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Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n. 33474 del 11/11/2021

(Dott. CRISTIANO Magda – Presidente; Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere)

FATTI DI CAUSA

1. La Sedicibanca s.p.a. formulò domanda di ammissione al passivo del fallimento della ***** s.r.l. in liquidazione (dichiarato dal Tribunale di Treviso il 13 gennaio 2011), in via di privilegio ipotecario, per la complessiva somma di Euro 2.659.100,43, concernente i crediti derivanti – in linea capitale e per interessi – da due mutui agrari stipulati (l’uno nel dicembre 2001; l’altro nell’agosto 2004) con la società poi fallita.

1.1. Il giudice delegato, all’udienza di verifica del 13 aprile 2011, così dispose: “ammesso per Euro 2.418.041,51. Categoria ipotecari. Importo distinto per Euro 1.516.452,45, in primo grado, ed Euro 901.589,06 in secondo grado. Ammessi, con la prelazione ipotecaria, gli interessi corrispettivi calcolati al tasso convenzionale iscritto e maturati sulle quote di capitale scorporate dalle rate scadute fino alla data di dichiarazione di fallimento nell’annata in corso al 13.01.2011; oltre interessi calcolati al tasso legale e maturati sulle quote di capitale scorporate dalle rate scadute fino alla data di dichiarazione di fallimento e sul capitale residuo alla data di dichiarazione di fallimento dopo il compimento dell’annata in corso e fino alla data della vendita del bene sottoposto alla garanzia ipotecaria. Ammessi, in via chirografaria, gli interessi moratori calcolati al tasso convenzionale e maturati fino alla data di fallimento sulle quote di capitale delle rate insolute”.

2. Con ricorso L. Fall., ex art. 98 e ss., la Sedicibanca s.p.a. propose opposizione, avanti al Tribunale di Treviso, in relazione alla “illegittima ed ingiustificata esclusione dallo stato passivo delle “quote interessi corrispettivi” concernenti le rate scadute il 30.6.2009, il 31.12.2009, il 30.6.2010, il 31.12.2010", per un montante complessivo pari ad Euro 146.561,49. Nel contesto di quell’atto, ribadì che la domanda di ammissione delle richiamate quote era formulata per il grado ipotecario. Puntualizzò pure che le quote venivano “calcolate al tasso convenzionale iscritto indicato nei contratti di mutuo e nelle note di iscrizione ipotecaria”.

2.1. Con decreto comunicato il 3 giugno 2013, l’adito tribunale dichiarò inammissibile l’opposizione perché promossa oltre il termine di legge.

3. Contro questo provvedimento propose ricorso per cassazione la Intesa Sanpaolo s.p.a., quale cessionaria della Intesa San Paolo Provis s.r.l., incorporante la New16 Società per Azioni (società soggetta a direzione e coordinamento da parte di Delta S.p.a. in Amministrazione Straordinaria), a sua volta assegnataria della Sedicibanca s.p.a. in amministrazione straordinaria, e l’adita Corte, con ordinanza del 7 novembre 2018 n. 28430, cassò il decreto impugnato e rinviò al tribunale trevigiano per l’esame del merito.

4. La Penelope SPV s.r.l., nelle more divenuta cessionaria dei crediti in questione, riassunse il giudizio e quel tribunale, con decreto depositato il 9 luglio 2019, accolse l’opposizione, disponendo l’ammissione al passivo, in grado ipotecario, delle “quote interessi corrispettivi delle rate scadute il 30.6 2009, il 31.12.2009, il 30.6.2010 e il 31.12.2010, calcolate al tasso convenzionale iscritto indicato nei contratti di mutuo e nelle note di iscrizione ipotecaria”.

4.1. Ritenne quel giudice che “…alla componente interessi spetta il rango ipotecario per effetto dell’estensione del privilegio ipotecario agli interessi compensativi dovuti ex art. 2855 c.c., comma 2”. Detta norma fa riferimento – si puntualizzò – agli “interessi dovuti”: e tali sono in ogni caso da intendere quelli “risultanti dal piano di ammortamento in relazione alla rate scadute nel limite del biennio”. Pertanto, non può comunque assumere rilevanza la specifica composizione delle rate che nel concreto venga configurata dal piano di ammortamento (nella specie, “una parte di capitale e una parte di interessi compensativi in rapporto variabile nella successione delle rate”, secondo il metodo del cd. ammortamento “alla francese”). Secondo una prospettiva di cui, del resto, la “Corte di Cassazione con la pronuncia n. 10070/1999 ha incidentalmente riconosciuto la correttezza”.

4.1.1. D’altra parte – si aggiunse – non sarebbe corretto ritenere che, “per effetto della risoluzione ex lege determinata dalla dichiarazione di fallimento, venga posto nel nulla il piano di ammortamento del mutuo. Lo scioglimento ex lege opera per il futuro, cancellando ex nunc gli effetti del contratto stipulato”.

4.1.2. Il tribunale rilevò, altresì, che, nella specie, “nessuna specifica censura è stata coltivata con riferimento alla misura e alle modalità di conteggio degli interessi, che vanno quindi ammessi al passivo nell’importo richiesto dalla Banca”.

5. Avverso questo provvedimento il fallimento della ***** s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi. Ha resistito, con controricorso, la Penelope SPV s.r.l., rappresentata dalla mandataria speciale Intrum Italy s.p.a.. Entrambe le parti hanno anche depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso, rubricato “violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 54 e 55, e art. 2855 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, assume che la L. Fall., art. 55, “impedisce che il contratto di mutuo originariamente stipulato possa trovare applicazione”. Stabilire che i debiti pecuniari del fallito si considerano scaduti alla data della dichiarazione di fallimento implica che al creditore non siano riconosciuti gli interessi che erano destinati ad offrire una remunerazione del capitale parametrata all’originaria durata del contratto di mutuo. “All’originaria composizione contrattuale si sostituisce la norma inderogabile di legge”: in particolare, quella dell’art. 2855 c.c., come pure espressamente richiamata dalla L. Fall., art. 54. Ne deriva che “potranno trovare collocazione privilegiata ipotecaria solo gli interessi maturati sulle quote di capitale scadute e insolute nei due anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento”. Nella specie, tuttavia, il piano di ammortamento è stato configurato “alla francese” sia per l’uno, che per l’atro mutuo. Esso, quindi, risulta “composto da una quota capitale crescente nel tempo e di una quota interessi decrescente”: “ogni rata, in sostanza, incorpora interessi corrispettivi non ancora maturati”. Che, come tali, non sono da riconducibili alla norma dell’art. 2855 c.c..

1.1. Il secondo motivo, recante “nullità del decreto per violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4)”, deduce non essere vero che il fallimento non ha contestato la “misura e le modalità di conteggio degli interessi”, secondo quanto asserito dal decreto. Nel giudizio di opposizione, infatti, è stato puntualmente rilevato che i “tassi convenzionali, individuati nel rispetto delle condizioni contrattuali sono sostanzialmente diversi dal tasso del 6,02%”, che il creditore ha indicato.

2. Il primo motivo è inammissibile.

2.1. Il decisum del tribunale trevigiano, invero, poggia sul seguente duplice assunto: i) diversamente da quanto opinato dal fallimento, “non è corretto ritenere che per effetto della risoluzione ex lege determinata dalla dichiarazione di fallimento, venga posto nel nulla il piano di ammortamento del mutuo. Lo scioglimento ex lege opera per il futuro, cancellando ex nunc gli effetti del contratto stipulato e impedendo alla Banca di richiedere la quota di interessi corrispettivi conteggiati nel piano di ammortamento in relazione alle rate da scadere”; ii) “…la circostanza che la rata di mutuo non costituisce una voce unitaria di debito, essendo composta, secondo il piano di ammortamento, di una parte di capitale e di una parte di interessi corrispettivi (in rapporto variabile nella successione delle rate) non porta ad una diversa conclusione: alla componente interessi spetta il rango ipotecario per effetto dell’estensione del privilegio ipotecario agli interessi compensativi dovuti ex art. 2855 c.c., comma 2, essendo gli “interessi dovuti” quelli risultanti dal piano di ammortamento in relazione alla rate scadute nel limite del biennio”.

2.2. E’ chiaro, dunque, che il giudice di merito, pur volendosi prescindere dalla terminologia da lui utilizzata (prima la locuzione risoluzione ex lege del mutuo determinata dalla dichiarazione di fallimento; poi, quella, di scioglimento ex lege dello stesso), ha inteso affermare, da un lato, che la decadenza della mutuataria dal beneficio del termine per la restituzione di quanto mutuatole, determinata dalla dichiarazione del suo fallimento (cfr. L. Fall., art. 55, comma 2), non ha intaccato l’efficacia dei piani di ammortamento dei mutui almeno fino alla data di quest’ultima dichiarazione; dall’altro, che, proprio per questo, gli interessi “dovuti” per il biennio di cui all’art. 2855 c.c., comma 2, sono, nella specie, quelli dei piani predetti perché così pattuito tra le parti.

2.3. Occorre considerare, poi, che il rinvio operato dai contratti di mutuo de quibus ai corrispondenti piani di ammortamento altro non può voler dire che, quali che fossero le modalità di pagamento e composizione delle rate di essi, gli strumenti negoziali di regolamentazione del rimborso delle somme mutuate, attuati dalle parti contrattuali al fine di pianificare l’ammortamento e l’imputazione degli accessori ai pagamenti delle singole rate, rappresentavano l’unica fonte di disciplina per la determinazione dell’ammontare di tali frutti operata per ogni singola scadenza.

2.3.1. Infatti, il piano di ammortamento, attraverso cui, di norma, si predispone l’assetto inerente la restituzione del capitale con coeva determinazione dell’entità dei frutti percentualizzati per ogni singola scansione del pagamento, rappresenta una clausola negoziale i cui effetti, per tale sua natura, sono vincolanti fra le parti (cfr. Cass. n. 5703 del 2002; Cass. n. 2352 del 1981). Esso, pertanto, fin quando è operante, si rivela essere l’elemento contrattuale al quale bisogna fare riferimento in via esclusiva ai fini del calcolo delle somme riscosse dal mutuante imputabili alla restituzione del capitale ovvero al pagamento degli interessi.

2.3.2. Da tanto deriva pure che la contestazione della clausola di un piano di ammortamento di un mutuo in relazione alle pattuizioni di interessi ivi stabilite impone l’utilizzo delle ordinarie azioni invalidanti il negozio giuridico, con riferimento alla singola clausola ovvero all’intero contratto (cfr. Cass. n. 2352 del 1981).

2.4. Alla stregua dei riportati principi, quindi, l’odierna doglianza del fallimento ***** s.r.l. in liquidazione, nella misura in cui si limita esclusivamente ad invocare un’asserita violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 2855 c.c., (comma 2), nonché L. Fall., artt. 54 e 55, a suo dire commessa dal tribunale, senza, invece, domandare la invalidazione delle clausole negoziali individuabili nei piani di ammortamento predetti, mostra di non cogliere appieno la effettiva ratio decidendi, in parte qua, del decreto impugnato.

2.4.1. Invero, dai già riportati assunti in cui si sostanzia, sul punto, il decisum del giudice trevigiano, emerge chiaramente che questi ha ritenuto pienamente efficaci, almeno fino alla data del fallimento della ***** s.r.l. in liquidazione, i piani di ammortamento correlati ai due mutui agrari in forza dei quali la Sedicibanca s.p.a. (cui, poi, è subentrata, da ultimo, come si è spiegato in precedenza, l’odierna parte controricorrente) aveva chiesto di essere insinuata al passivo della corrispondente procedura concorsuale e, conseguentemente, ad essi, quali clausole negoziali vincolanti fra le parti almeno fino a quella data, ha inteso fare riferimento per il computo delle rate, comprensive di capitale ed interessi corrispettivi, dovute dalla mutuataria in restituzione di quanto mutuatole.

2.4.2. Si imponeva, dunque, in via logicamente prioritaria rispetto all’invocata mera interpretazione del combinato disposte delle citate disposizioni normative, la contestazione delle clausole negoziali predette volta ad ottenerne l’invalidazione: tanto, però, non è stato minimamente prospettato in questa sede, sicché la censura in esame, per come concretamente formulata, si rivela inidonea a scalfire il riportato convincimento del giudice a quo.

2.5. A ciò deve aggiungersi, peraltro, che l’assunto del fallimento è anche assiomatico (pure sotto questo profilo, quindi, il motivo deve essere ritenuto inammissibile), posto che: i) non chiarisce in base a quali parametri le parti abbiano determinato l’ammontare delle singole rate; ii) anche nella prospettiva del fallimento, resterebbe sempre da verificare che, con riguardo alle specifiche rate di cui si discute (quelle afferenti il biennio ante fallimento della ***** s.r.l. in liquidazione, dichiarato dal Tribunale di Treviso il 13 gennaio 2011), gli interessi ivi inglobati siano maggiori di quelli “maturati” sulla quota di capitale in restituzione in ciascuna rata: questo, infatti, potrebbe essere magari vero per le prime rate, ove si accedesse alla tesi del ricorrente che le stesse fossero quasi tutte composte di interessi, ma non necessariamente per quelle intermedie o per le ultime (ricordandosi che i mutui agrari in questione furono stipulati, il primo, il 6 dicembre 2001 ed il secondo il 6 agosto 2004, entrambi con durata di quindici anni), in cui la quota capitale sarebbe maggiore.

3. Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso.

3.1. Invero, come verificato da questa Corte mediante l’esame degli atti consentitole dalla natura di error in procedendo del vizio denunciato, il fallimento, nel costituirsi nel giudizio di opposizione, effettivamente dedusse che “i contratti di mutuo agrario prevedevano, rispettivamente all’art. 7, per quanto riguarda il contratto del 06/12/2011 (…) ed all’art. 1 per quello del 16/02/2005 (…), che gli interessi venissero semestralmente determinati sulla base del parametro Euribor a sei mesi oltre ad una componente fissa (1,9% nel primo e 2,00% nel secondo), con decorrenza dal giorno di inizio di maturazione degli interessi di ciascun periodo. Analizzando l’andamento storico dei tassi Euribor (…), il curatore ha rilevato come i tassi convenzionali, individuati nel rispetto delle condizioni contrattuali, sono sostanzialmente differenti dal tasso del 6,02% indicato da Sedicibanca” (cfr. pag. 12 della sua memoria di costituzione in quella sede). Aggiunse, però, che “si dà conto di ciò non tanto perché l’esatta quantificazione della misura degli interessi rilevi in sede di opposizione allo stato passivo ma solamente perché l’istituto di credito chiede l’ammissione in via istruttoria di una consulenza tecnica d’ufficio per “accertare, verificare e determinare il contenuto, i limiti e gli effetti degli aspetti tecnici inerenti ai fatti di causa e, in particolare, in caso di contestazione quelli relativi al ricalcolo degli importi indicati nelle con conclusioni”. Si tratta di una consulenza tecnica contabile inammissibile, in primo luogo perché inammissibile è la stessa opposizione in quanto tardiva, ma anche perché, in secondo luogo, essa è del tutto inconferente, dato che oggetto dell’opposizione è una questione di diritto e precisamente la seguente: se vadano ammessi al passivo con privilegio ipotecario gli interessi conglobati nelle rate scadute secondo l’originario piano di ammortamento oppure gli interessi corrispettivi al tasso convenzionalmente pattuito calcolati sulle quote di capitale scorporate dalle singole rate scadute e rimaste insolute” (cfr. pag. 13 della medesima memoria).

3.2. Quanto così dedotto dal fallimento, allora, neppure può considerarsi una formale domanda od eccezione, rivelandosi soltanto – come condivisibilmente osservato dalla odierna controricorrente – una mera notazione (“si dà conto di ciò…”) formulata per contrastare l’istanza istruttoria (formulata dalla creditrice istante) di espletamento di una consulenza tecnica di natura contabile. Del resto, nessuna richiesta di accertamento sulla fondatezza di tale deduzione è stata mai avanzata, né il rilievo ha trovato in alcun modo ingresso nelle conclusioni della sua menzionata memoria (cfr. pag. 15 – 16).

3.3. A ciò deve aggiungersi che, come emerge proprio dalla memoria di replica del fallimento, il tasso del 6,02% annuo è stato indicato dalla parte creditrice solo per gli interessi già ammessi (annata in corso e moratori), mentre, per quanto riguarda quelli in contestazione, non risultano le modalità di calcolo.

3.4. Inammissibile, perché nuova, infine, si mostra pure la deduzione relativa alla circostanza, di cui il tribunale non si sarebbe accorto, che il tasso predetto “e’ addirittura superiore al tasso iscritto” (cfr. pag. 12 dell’odierno ricorso): invero, non risulta dal decreto impugnato esaminata tale questione, né la ricorrente, gravata del corrispondente onere, non assolto in alcun modo, ha precisato se, ed eventualmente come, la questione stessa fosse stata prospettata utilmente nel giudizio di merito.

4. In definitiva, il ricorso del fallimento ***** s.r.l in liquidazione deve essere dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., S.U., n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il fallimento ***** s.r.l. in liquidazione al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla parte controricorrente, che si quantificano in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compenso di avvocato, oltre alle spese forfetarie pari al 15% del compenso, I.V.A. e c.p.A. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il suo ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 29 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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