LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. ROSSI Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17030-2014 proposto da:
M.F., M.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PIETRO DELLA VALLE 1, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE CANTELLI, che li rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimato –
Nonchè da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 130/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 20/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/10/2020 dal Consigliere Dott. RAFFAELE ROSSI.
RILEVATO
Che:
All’esito di un’articolata attività di verifica fiscale condotta nei confronti delle società facenti parte del gruppo denominato *****, l’Agenzia delle Entrate riteneva la illegittimità della deduzione della quota di ammortamento dell’avviamento operata per l’anno d’imposta 2003 dalla società Cassiopea s.a.s. di F.M. & C., costo derivante dal conferimento di azienda a favore di detta società compiuto dalla società Orione s.a.s., iscritto a bilancio nell’anno 2002.
Con avviso di accertamento emesso nei confronti di M.F. e M.M., soci della s.a.s. Cassiopea nelle more estinta per cancellazione dal registro delle imprese, e agli stessi notificato nel luglio 2010, l’Ufficio rideterminava, per l’annualità 2003, un maggior reddito d’impresa (quale imponibile da valere a fini IRPEF) ed un maggior valore della produzione netta a fini IRAP; per l’effetto, recuperava a tassazione l’IRAP non versata, maggiorata di sanzioni ed interessi.
L’impugnativa spiegata dagli intimati veniva in prime cure accolte dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano; in seconda istanza la Commissione Tributaria Regionale di Milano (con la sentenza n. 130/14/13 pronunciata il 20 dicembre 2013) ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate “limitatamente al socio accomandatario M.F.”.
Avverso questa decisione, M.F. e M.M., nella predetta qualità, ricorrono per cassazione, affidandosi a dieci motivi, illustrati da memoria; resiste, con controricorso, l’Agenzia delle Entrate, spiegando ricorso incidentale articolato su un motivo.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente adduce l’intervenuto giudicato interno sul capo della sentenza di rigetto dell’appello dell’Ufficio relativo alla posizione di M.M. e la derivante necessità di estendere detto giudicato anche al socio accomandatario M.F. ai sensi dell’art. 2909 c.c..
2. Con ulteriori mezzi di gravame, ciascuno dei quali articolato con distinto riferimento alle tre fattispecie di impugnazione previste dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 (cioè a dire lamentando, in ordine alle circostanze variamente esposte, tanto la violazione e falsa applicazione di norme di diritto quanto la nullità della sentenza quanto ancora l’omesso esame di fatti decisivi e controversi), il ricorrente denuncia, quali ragioni di illegittimità dell’atto impositivo:
– l’inesistenza dell’accertamento, siccome intestato a società estinta e cancellata da più di un anno ed emesso per un debito tributario non esistente nè conosciuto al momento della cessazione della società (secondo motivo);
– la decadenza dal potere accertativo dell’A.F. per decorso dei termini previsti dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 43, non operando il raddoppio degli stessi, sia perchè l’avviso di accertamento è stato emesso quando il reato astrattamente ipotizzabile era già prescritto sia perchè le evasioni in tema di IRAP non hanno rilevanza penale (terzo motivo);
– il difetto di motivazione, in specie per rinvio ad atti non conosciuti e non trascritti nelle parti necessarie (quarto motivo);
– la contraddittorietà della motivazione, costituita, da un lato, dalla contestazione di presunti elementi elusivi e, dall’altro, dalla contestazione di una presunta condotta fraudolenta (quinto motivo),
– la decadenza dal potere accertativo dell’A.F. in quanto, in violazione del principio dell’autonomia dei periodi d’imposta e del principio di competenza, ogni contestazione relativa al valore dell’avviamento iscritto in bilancio andava effettuata unicamente con riferimento al periodo d’imposta di acquisizione del bene immateriale in esame, ossia rettificando la dichiarazione relativa all’anno 2002 entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione di essa, con derivante illegittimità del recupero a tassazione della quota di ammortamento di un costo pluriennale nell’esercizio di deduzione (sesto motivo);
– la nullità per difetto di contraddittorio preventivo, segnatamente per omessa richiesta al contribuente dei chiarimenti prescritta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis (settimo motivo);
– la legittima deduzione della quota di ammortamento, in ragione della congruità del valore di avviamento iscritto in bilancio e non disconosciuto dall’Ufficio (ottavo motivo);
– la mancanza di prova e il difetto di motivazione circa la presunta frode fiscale, non rilevando il carattere al più meramente elusivo delle condotte contestate (nono motivo).
Deduce, infine, quale decimo motivo, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 15 e dell’art. 92 c.p.c. per aver la sentenza impugnata disposto, peraltro con motivazione apparente integrante vizio rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la compensazione delle spese di lite tra M.M. (parte vittoriosa) e l’Agenzia delle Entrate (parte soccombente).
2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle Entrate assume la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per avere la gravata sentenza immotivatamente escluso in toto la responsabilità della soda accomandante M.M., tenuta invece, ai sensi dell’art. 2324 c.c., a rispondere “limitatamente alla quota di liquidazione” delle obbligazioni sociali discendenti da fatti anteriori alla cancellazione della società.
3. Il ricorso principale è fondato per il terzo motivo articolato, suscettibile di assicurare la definizione del giudizio e, pertanto, esaminabile in via prioritaria, ancorchè logicamente subordinato, in ossequio al principio processuale della “ragione più liquida” indotto dagli artt. 24 e 111 Cost. (ex plurimis, sulle orme di Cass., Sez. U., 08/05/2014, n. 9936 e di Cass., Sez. U., 12/12/2014 n. 26242, vedi, più di recente, Cass. 11/05/2018, n. 11458; Cass. 09/01/2019, n. 363; Cass. 15/09/2020, n. 19103).
3.1. La enunciata conclusione richiede un doveroso chiarimento sulla esatta definizione dell’oggetto della controversia.
Dopo la narrazione delle operazioni societarie giustificanti l’operato disconoscimento della deduzione della quota annuale di ammortamento, il contestato avviso di accertamento (allegato al fascicolo di parte ricorrente) reca: (a) nella parte rubricata “rilievi a fini IRPEF”, la rideterminazione in aumento del reddito d’impresa della s.a.s. Cassiopea “imponibile da valere a fini IRPEF” nella misura complessiva di Euro 256.201, con la precisazione che “il reddito accertato è imputato ai fini IRPEF a ciascun socio, ai sensi dell’art. 5 T.U.I.R.”; (b) nella parte rubricata “rilievi a fini IRAP”, sulla premessa che “le riprese a tassazione effettuate ai fini delle imposte dirette come sopra descritte hanno valenza ai fini della determinazione (…) della base imponibile IRAP, data dalla differenza tra la somma dei componenti positivi e la somma dei componenti negativi, al netto delle deduzioni”, la rideterminazione del valore della produzione netta in misura pari ad Euro 256.508; (c) di seguito, la quantificazione dell’imposta evasa e non corrisposta ad esclusivo titolo di IRAP (maggiorata dei conseguenti interessi), e l’irrogazione delle sanzioni ascritte ad inosservanza del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 19.
Dal contenuto dell’atto innanzi descritto, appare evidente come la pretesa impositiva in tal guisa esercitata dall’A.F. nei confronti della società Cassiopea sia riferibile unicamente all’evasione dell’imposta IRAP: l’accertamento del maggior reddito imponibile a fini IRPEF non risulta tradotto in una dichiarazione di debenza della società per siffatta causale, assumendo invece, per un verso, una funzione meramente strumentale alla determinazione del valore della produzione da considerare a finì IRAP e, per altro verso, carattere prodromico rispetto ad un diversa pretesa da azionare nei riguardi di soggetti diversi dalla società destinataria dell’avviso, cioè a dire i soci cui, a titolo personale (“per trasparenza”), viene ascritta la maggiore produzione di reddito acclarata.
3.2. Ciò precisato, ha errato la Corte territoriale a ritenere operante il c.d. raddoppio dei termini (rectius, del nuovo termine di decadenza) per l’accertamento stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, (nel testo ratione temporis applicabile) in caso di violazione che importi l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Invero, secondo un consolidato orientamento del giudice della nomofilachia, cui si intende qui dare continuità, la disciplina del c.d. raddoppio dei termini di accertamento testè citata non può trovare applicazione anche per l’IRAP, atteso che le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da alcuna sanzione penale (tra le tantissime, cfr. Cass. 25/08/2017, n. 20435; Cass. 19/01/2018, n. 1425; Cass. 28/02/2018, n. 4758; Cass. 03/05/2018, n. 10483; Cass. 21/02/2020, n. 4645; Cass. 09/03/2020, n. 6668; Cass. 20/05/2020, n. 9314).
L’eccezione di decadenza dal potere impositivo è dunque fondata: concernendo la ripresa a tassazione IRAP l’annualità d’imposta 2003, la notifica dell’avviso di accertamento (pacificamente occorsa nel luglio 2010) era ben successiva allo spirare dei termini sanciti dal D.P.R. n. 600 del 1973, più volte menzionato art. 43.
Cassata l’impugnata sentenza, la causa, non richiedendo ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.
4. L’accoglimento del ricorso sotto tale profilo assorbe l’esame delle ulteriori censure proposte dal ricorrente in via principale e del ricorso spiegato in via incidentale.
5. Le alterne vicende contrassegnanti lo svolgimento della lite e il formarsi dell’orientamento dirimente ai fini della decisione in epoca successiva alla presente impugnazione giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali relative ai gradi di merito, conformando il regolamento delle spese del giudizio di legittimità al principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., con liquidazione operata alla stregua dei parametri fissati dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, come in dispositivo.
PQM
La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri motivi ed assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito la lite, accoglie l’originario ricorso del contribuente; compensa tra le parti le spese processuali dei gradi di merito e condanna parte resistente al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.900,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Quinta Sezione Civile, il 6 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021