LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
Dott. GALATI Vincenzo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 25915 del ruolo generale dell’anno 2014 proposto da:
D.L., rappresentata e difesa, giusta procura speciale del 22.9.2020 dal Notaio M.A. di Termoli, rep. n. 3.189, dall’Avv. Cinzia De Micheli, presso il cui studio in Roma, Via Germanico, 107 è elettivamente domiciliata;
– Ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si domicilia;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 429/26/14 della Commissione tributaria regionale del Piemonte depositata il 14.3.2014;
udita nella camera di consiglio del 14.10.2020 la relazione svolta dal consigliere Dott. Galati Vincenzo.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 429/26/14 la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha esposto, in punto di fatto, che con separati avvisi di accertamento del 21.11.2011 notificati alla Diaba s.a.s. ed a D.L., socia accomandataria per il 96,67% era stata operata la rideterminazione del reddito per il 2006 ed, in particolare, I’IRAP e VIVA per la società e l’IRPEF per la socia, oltre sanzioni.
La verifica ha avuto origine dall’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) conseguente alla verifica della contabilità aziendale.
Avverso l’accertamento hanno proposto ricorso i destinatari dello stesso contestando la sussistenza dei presupposti per la rettifica reddituale.
La Commissione tributaria provinciale di Vercelli, nella resistenza dell’Agenzia delle Entrate, ha respinto i ricorsi riuniti regolando le spese secondo la soccombenza.
La CTR ha respinto l’appello proposto dai contribuenti rilevando l’esistenza di “una presunzione grave precisa e concordante” in ordine alla rideterminazione del reddito operata all’esito della verifica.
In particolare, ha negato che fosse stato valorizzato un solo elemento presuntivo segnalando, piuttosto, l’esistenza di plurime circostanze idonee a ritenere fondato l’accertamento.
Si è soffermata su elementi quali le perdita sistematica protrattasi nel quinquennio, lo scostamento dei ricavi rispetto allo studio di settore e la non congruità reddituale.
L’Agenzia ha provveduto a rideterminare la percentuale media di ricarico, gli incassi per pagamenti con moneta elettronica privi della emissione del corrispondente scontrino, la cessione di un ramo di azienda per il corrispettivo di Euro 55.403,00 nonostante il denunciato andamento negativo.
A fronte di tale insieme di dati, a dire della CTR, gli appellanti hanno opposto solo generiche censure che sono state così rigettate con conseguente condanna dei contribuenti alla rifusione delle spese processuali sostenute dall’Agenzia.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la sola D.L. per due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
A seguito di rinuncia alla procura da parte del proprio difensore per intervenuta cancellazione dall’Albo degli Avvocati, la ricorrente ha nominato altro difensore e depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene eccepita la nullità della sentenza di appello in quanto la ditta Diaba s.a.s di D.L. & C. si è estinta ed è stata cancellata sin dal 14.12.2010 giusta visura camerale allegata al ricorso.
La notifica dell’avviso di accertamento alla Diaba è stata dunque eseguita il 21.11.2011 nei confronti di soggetto non più esistente perchè cancellato dal registro delle imprese.
Peraltro, secondo la ricorrente, essa stessa aveva perso il potere di rappresentanza della società sin dalla sua estinzione.
Trattasi di nullità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio che riguarderebbe sia i verbali di accertamento sia gli atti introduttivi del giudizio tributario in quanto posti in essere (i secondi) da soggetto privo del potere di rappresentanza.
Con il secondo motivo viene dedotta la nullità della sentenza per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5.
La ricorrente lamenta la mancata indicazione dell'”approfondimento” operato dall’Ufficio finanziario per pervenire alla rideterminazione del reddito.
Oltre alla mancata indicazione delle presunzioni, si eccepisce la carente indicazione del motivo per cui esse dovrebbero ritenersi gravi, precise e concordanti.
Quanto alla cessione del ramo di azienda, si sottolinea che la vendita è avvenuta proprio in conseguenza delle perdite pluriennali sicchè non può ipotizzarsi alcuna incongruenza gestionale a carico della società.
Tale fatto si pone in decisiva contraddizione con la valutazione giurisdizionale oggetto di critica.
Allo stesso tempo, le altre circostanze fattuali segnalate in sentenza non possono ritenersi sufficienti a sorreggere l’impianto motivazionale.
La sentenza è stata emessa nei confronti della società Diaba s.a.s. e della socia D.L..
Non è contestato che la società si sia estinta e sia stata cancellata dal registro delle imprese in data antecedente alla notifica del verbale di accertamento alla società ed alla socia accomandataria.
Tanto determina che deve essere dichiarata la nullità della sentenza limitatamente alla parte relativa alla società.
Deve infatti trovare applicazione il principio di diritto secondo cui “nel processo tributario la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima della notifica dell’avviso di accertamento e dell’instaurazione del giudizio, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicchè non sussistendo possibilità di prosecuzione dell’azione, la sentenza impugnata con ricorso per cassazione deve essere annullata senza rinvio ex art. 382 c.p.c., venendo in rilievo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre, sin dal primo grado, ad una pronuncia declinatoria di rito” (Cass. sez. 5, 19 settembre 2019, n. 23365, conforme Cass. sez. 5, 23 marzo 2016, n. 5736).
Ne deriva la declaratoria di nullità del relativo giudizio a norma dell’art. 382 c.p.c., comma 3.
Il punto controverso rimane quello relativo alla posizione della D. che impugna ora la sentenza della CTR in proprio e non quale socia accomandataria (qualifica da lei non rivestita neppure all’epoca della notifica del verbale di accertamento).
Risulta, secondo quanto affermato dalla stessa ricorrente, che l’originario verbale di accertamento sia stato notificato alla società ai fini IVA ed IRAP ed ai due soci (oltre alla D., anche agli eredi del socio B.L.) ai fini IRPEF.
Ebbene, gli eredi del B., socio accomandante, non hanno mai partecipato ad alcun giudizio.
Si controverte in tema di avviso di accertamento concernente il reddito di partecipazione conseguito dalla D. quale socia della Diaba s.a.s. e dunque, secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni unite di questa Corte, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone, ovvero delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi.
Essa, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario.
Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, (salva la possibilità di riunione a sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorti necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Cass. sez. un., 4 giugno 2008, n. 14815; Cass. sez. 6, 14 dicembre 2012, n. 23096; Cass. sez. 6 – 5, 28 novembre 2014, n. 25300; con riferimento alla società in accomandita semplice ed alla posizione del socio accomandante, “incidendo l’accertamento in rettifica della dichiaratone anche sull’imputazione dei redditi di costui, indipendentemente dal profilo della responsabilità – limitata alla quota conferita o illimitata -“, cfr. Cass. sez. 5, 23 dicembre 2014, n. 27337).
La validità di tale principio non viene meno neppure in caso di eventuale cancellazione della società di persone dal registro delle imprese.
Infatti, come già ritenuto da questa Corte (Cass. sez. 5, 6 novembre 2013, n. 24955), la cancellazione determina l’estinzione della società “privandola della capacità di stare in giudizio, creando un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti pendente societate, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o limitatamente. Ne consegue che, in tale evenienza, i soci, subentrano anche nella legittimazione processuale già in capo all’ente estinto, determinandosi una situazione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali, a prescindere dalla inscindibilità o meno del rapporto sostanziale”.
In sostanza, nella fattispecie, la violazione del contraddittorio è ravvisabile sotto un duplice profilo: ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 vertendosi in tema di accertamento a carico di società di persone e di soci nel quale solo uno di questi ha partecipato, mentre l’altro è stato pretermesso; per il fenomeno successorio che si determina nel caso di scioglimento della società di persone in conseguenza del quale tutti i soci rispondono delle obbligazioni societarie a seconda del personale regime di responsabilità.
Pertanto, ove ove in sede di legittimità venga rilevata una violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata nè dal collegio di primo grado (che avrebbe dovuto disporre immediatamente l’integrazione del contraddittorio o riunire i processi in ipotesi separatamente instaurati dai litisconsorti necessari) nè dal collegio d’appello (che avrebbe dovuto rimettere la causa al primo giudice, ai fini dell’integrazione del contraddittorio) deve disporsi, anche d’ufficio, l’annullamento delle pronunce emesse a contraddittorio non integro, con rinvio della causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 3.
Si tratta del percorso motivazionale che, in fattispecie identica, ha seguito Cass. sez. 5, 14 marzo 2018, n. 6285 (ove ampi rinvii a precedenti conformi) al quale va dato, anche in questa sede, continuità.
Da quanto esposto discende che, nei confronti della società Diaba s.a.s., va dichiarata la nullità dell’intero giudizio, mentre con riferimento alla posizione della D., la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria provinciale di Vercelli affinchè proceda all’integrazione del contraddittorio anche nei confronti degli eredi del socio accomandante.
Le spese di lite, stante la natura della decisione e l’evoluzione della giurisprudenza, possono essere compensate.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza nei confronti della Diaba s.a.s. e cassa con rinvio alla CTP di Vercelli con riferimento alla posizione della ricorrente D.L. e per l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi del socio accomandatario.
Compensa integralmente le spese di lite tra le parti.
Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021