LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4374/2018 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici siti in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è ope legis domiciliata;
– ricorrente –
contro
T.E. e T.L., rappresentati e difesi dall’Avv. Patrizia Ubaldi, con domicilio eletto presso il suo studio sito in Roma, largo Luigi Antonelli, n. 27;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3/17, depositata il 27 gennaio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 luglio 2021 dal Consigliere Maria Elena Mele.
RITENUTO
che:
T.E., T.L., D.N.G., D.N.M. e M.G. impugnavano l’avviso di liquidazione con cui l’Agenzia delle entrate aveva liquidato le imposte di registro, ipotecaria e catastale conseguenti all’omessa registrazione della sentenza con la quale il Tribunale di Tivoli aveva disposto lo scioglimento della comunione ereditaria con attribuzione del 50% ciascuno della piena proprietà dell’unico immobile a T.E. e T.L. con addebito dell’eccedenza delle quote ad essi spettanti. In particolare, la sentenza disponeva che i T. dovessero versare in favore degli altri comunisti un conguaglio, condizionando l’intestazione dell’immobile e la trascrizione presso la Conservatoria dei registri immobiliari all’esibizione delle ricevute di pagamento di detto conguaglio. I contribuenti contestavano l’illegittimità dell’atto impugnato sostenendo che la sentenza era sottoposta alla condizione sospensiva del pagamento del conguaglio sicché, ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 27, l’imposta di registro era dovuta in misura fissa.
La Commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva il ricorso.
L’Agenzia delle entrate proponeva appello avanti alla Commissione tributaria regionale del Lazio che lo rigettava affermando che gli effetti traslativi della sentenza del Tribunale civile erano sospesi fino alla prova del pagamento del conguaglio da parte degli assegnatari dei beni, con la conseguenza che l’imposta di registro era dovuta in misura fissa.
L’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione di tale sentenza, deducendo un’unica censura.
I contribuenti resistono con controricorso assistito da memoria.
CONSIDERATO
che:
Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 27, commi 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la ricorrente non costituirebbe una condizione sospensiva la previsione, recata nel dispositivo della sentenza di scioglimento della comunione, la quale disponeva che i coeredi assegnatari della proprietà dell’immobile oggetto di comunione ereditaria versassero ciascuno un conguaglio in favore degli altri comunisti, condizionando l’intestazione delle quote di proprietà e la trascrizione presso la Conservatoria all’esibizione al conservatore delle ricevute di pagamento di detti conguagli. L’iscrizione nel Registro immobiliare, secondo l’Agenzia delle entrate, non rappresenta la condizione al cui verificarsi sono subordinati gli effetti della sentenza, in quanto essa costituisce soltanto una forma di pubblicità verso terzi, rendendo loro opponibile quanto da essa disposto.
Il motivo è fondato.
L’indirizzo di questa Corte è costante nell’affermare che la sentenza che, nel disporre la divisione della comunione, pone a carico di uno dei condividenti l’obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di conguaglio, persegue il mero effetto di perequazione del valore delle rispettive quote, nell’ambito dell’attuazione del diritto potestativo delle parti allo scioglimento della comunione. Ne consegue che l’adempimento di tale obbligo non costituisce condizione di efficacia della sentenza di divisione, nemmeno meramente potestativa, e può essere soltanto perseguito dagli altri condividenti con i normali mezzi di soddisfazione del credito, restando comunque ferma la statuizione di divisione dei beni (Cass., Sez. 5, n. 23043 del 11/11/2016, Rv. 641890 – 01; Sez. 5, n. 12462 del 12/5/2021; Sez. 2, n. 22833 del 24/10/2006, Rv. 592949 – 01).
Si è anche precisato che il pagamento del conguaglio “e’ oggetto di un obbligo nell’interesse dell’altro condividente, e non di un onere che l’assegnatario debba assolvere per conseguire definitivamente l’assegnazione del bene comune in proprietà esclusiva” e che la relativa previsione costituisce un effetto legale secondario della divisione mediante conguagli, il quale dipende unicamente dalla legge e non dal giudice o dalla volontà dell’una o dell’altra parte (Cass., Sez. 2, 1656 del 23/01/2017, Rv. 642476 – 01. V., altresì, n. 2537 del 30/01/2019 in motivazione).
Il Collegio ritiene che tale orientamento debba essere confermato e che analoghe considerazioni valgano anche con riguardo al rilievo, peraltro inammissibilmente svolto per la prima volta nel giudizio di legittimità dai controricorrenti, in relazione al capo del dispositivo della sentenza tassata ove si dispone che gli assegnatari dell’immobile potranno pagare il conguaglio solo una volta decorsi trenta giorni dalla notifica da parte loro della divisione ai due istituti di credito indicati, senza che essi abbiano fatto opposizione.
A tanto consegue che, non costituendo il pagamento del conguaglio condizione, tantomeno meramente potestativa, di efficacia della sentenza di divisione, essa va assoggettata alla imposta proporzionale di registro, ipotecaria e di trascrizione.
Il ricorso va, dunque, accolto e l’impugnata sentenza cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ed il ricorso originario dei contribuenti va rigettato.
Il progressivo consolidarsi della giurisprudenza richiamata giustifica la compensazione delle spese processuali delle fasi di merito, mentre per quelle del giudizio di legittimità vale la regola della soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta il ricorso originario dei contribuenti. Compensa le spese dei giudizi di merito e condanna i contribuenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese forfetarie e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2021