Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.34785 del 17/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4993-2019 proposto da:

PU UBI FACTOR SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SARDEGNA, 50, presso lo studio dell’avvocato ANNALISA MELCHIORRI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NATALE IRTI, ALESSIA MELCHIORRI;

– ricorrenti –

contro

AUSL ROMA *****, elettivamente domiciliato in ROMA, BORGO SANTO SPIRITO 3, presso lo studio dell’avvocato GLORIA DI GREGORIO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonché contro AZIENDA OSPEDALIERA “COMPLESSO OSPEDALIERO SAN GIOVANNI ADDOLORATA”;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4567/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/02/2021 dal Consigliere Dott. CRICENTI GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA GIOVANNI BATTISTA.

FATTI DI CAUSA

1.- La società UBI Factor spa è cessionaria dei crediti che l’Istituto di Ortofonologia vantava nei confronti della Azienda USL Roma ***** (oggi Asl Roma *****) e dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata per prestazioni sanitarie erogate in regime di convenzione.

In tale qualità ha agito davanti al Tribunale di Roma, sia verso la Asl che verso l’Azienda Ospedaliera, per ottenere il pagamento dei crediti acquistati, ammontanti a 581.834, 99 Euro; le due convenute si sono costituite ed hanno eccepito entrambe il difetto di legittimazione passiva, l’infondatezza nel merito della domanda e, la sola Azienda San Giovanni, il difetto di giurisdizione.

2. – Il Tribunale ha rigettato la domanda negando il diritto al pagamento di quelle prestazioni, in quanto effettuate oltre il limite tariffario, ed ha respinto altresì la domanda di arricchimento senza causa.

A seguito della impugnazione fatta da UBI Factor su tutti i capi di sentenza, la Corte di Appello, ritenuto come proposto appello incidentale sulla questione della giurisdizione, ha dichiarato il difetto di giurisdizione in favore del giudice amministrativo, avendo la controversia ad oggetto il superamento del tetto di spesa, ed investendo dunque essa il potere autoritativo della pubblica amministrazione.

3.- Ricorre UBI Factor con cinque motivi. Si sono costituite in giudizio sia l’Azienda Ospedaliera che la ASL Roma *****, chiedendo, con controricorso, il rigetto della domanda.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. – Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione degli artt. 324,327,333 e 343 c.p.c..

La tesi è la seguente.

L’Azienda Ospedaliera, con la costituzione in appello, non ha svolto uno specifico appello incidentale sulla questione della giurisdizione, ma si è limitata a riproporre la questione. Nota essendo la differenza tra la ripropcsizione di una questione già posta in primo grado e un vero e proprio appello incidentale su quella questione, deve ritenersi che l’Azienda si sia limitata al primo tipo di difesa, in quanto non ha svolto, in appello, argomenti a confutazione della ratio decidendi o a sostegno della sua censura.

In conclusione, a favore della tesi per cui non può ravvisarsi un appello incidentale militerebbero in particolare due argomenti: l’Azienda nella comparsa ha richiamato l’eccezione fatta in primo grado, segno questo, che ha inteso effettuare una mera riproposizione della questione piuttosto che farne oggetto di appello incidentale; inoltre la questione di giurisdizione è priva di argomenti a suo sostegno, ed anche questo è indice di mera riproposizione piuttosto che di specifica censura.

Il motivo è infondato.

Secondo una regola costante di questa Corte per la proposizione dell’appello incidentale della parte non totalmente vittoriosa in primo grado non occorrono formule sacramentali, essendo sufficiente che dal complesso delle deduzioni e delle conclusioni formulate dall’appellato nella comparsa di risposta risulti in modo non equivoco la sua volontà di ottenere la riforma della decisione del primo giudice (Cass. 6479/1995; Cass. 6339/1998; Cass. 2918/2001; Cass. 4621/2004).

Ferma dunque restando la differenza tra la mera riproposizione di una questione e l’appello incidentale, che qui non si intende ovviamente porre in discussione, né lo è nel suo astratto contenuto, quale sia il contenuto della questione posta dalla Azienda, è riferito dalla medesima nel suo controricorso (pp. 8-11), da cui si ricava agevolmente che (p. 9 del controricorso) l’Azienda ha chiaramente contestato, con l’appello, la decisione – implicita- del primo grado di rigettare l’eccezione di difetto di giurisdizione: si legge che, avendo la ricorrente contestato l’efficacia della determinazione regionale, in quanto temporanea e scaduta, ha conseguentemente contestato il potere di organizzazione della pubblica amministrazione ed ha di conseguenza chiesto un sindacato su tale potere; vale a dire che, avendo la ricorrente posto questione della efficacia del provvedimento regionale, ha di conseguenza chiesto un sindacato su tale provvedimento.

Questo argomento è proposto in appello in modo esplicito, ed è un argomento a sostegno della richiesta di dichiarare il difetto di giurisdizione (“laddove poi l’appellante afferma che il badget fosse provvisorio e che l’omessa determinazione di un badget definitivo avrebbe dovuto indurre il giudice a riconoscere il corrispettivo per tutte le prestazioni erogate oltre il badget, esclude che la controversia resti nell’ambito del giudice ordinario dovendo essere devoluta a quella del giudice amministrativo” ed inoltre “poiché la pretesa di conseguire l’extra budget.. involge il sindacato sia sul potere di autodeterminazione ed autorganizzazione della Pa sia sul suo potere autoritativo…

e’ sottratta alla cognizione del giudice ordinario e dovrà essere devoluta alla giurisdizione amministrativa, segnatamente del TAR del Lazio”, p. 8-9).

Il che basta ad escludere che si tratti di una mera riproposizione: tra l’altro il richiamo, in nota a pie’ di pagina, alla circostanza che la questione era stata già posta in primo grado, vale solo a ricordare tale circostanza, e non se ne può trarre conclusione che la parte abbia voluto farne mera riproposizione piuttosto che oggetto di specifica doglianza; che, anzi, ciò è significativo di una chiara volontà di porre la questione di giurisdizione, tanto che si indica anche l’autorità giurisdizionale di riferimento.

Non si tratta in sostanza di un mero richiamo per relationem, in quanto contiene espressa censura argomentata, come si visto dalle parti di motivazione citate, della questione di giurisdizione (v. Cass. 17268/ 2020).

5.- Con il secondo motivo si denuncia parimenti violazione degli artt. 333,342 e 343 c.p.c., e si attribuisce alla corte, qualora si ritenesse che comunque correttamente ha ravvisato nella comparsa della Azienda un appello incidentale, di averlo ritenuto specifico, laddove invece la censura sulla questione di giurisdizione era generica, illustrata in modo insufficiente a costituire un valido motivo di appello.

Il motivo è infondato.

Intanto è regola generale che ai fini della specificità dei motivi d’appello richiesta dall’art. 342 c.p.c., l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno del gravame, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, non essendo necessaria l’allegazione di profili fattuali e giuridici aggiuntivi, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice (Cass. 23781/ 2020).

Ma, soprattutto, va tenuto conto del fatto che la specificità del motivo si valuta in relazione alla motivazione della decisione impugnata, sicché, ove manchi quest’ultima, non è esigibile dall’appellante, che intenda dolersi del rigetto in primo grado delle sue istanze istruttorie, altro onere se non quello di riproporre l’istanza o la domanda immotivatamente rigettata (Cass. 11197/ 2019).

Con la conseguenza che, essendo la questione di giurisdizione stata rigettata in primo grado in modo implicito, dunque senza esporre argomenti, il motivo di appello è sufficientemente specifico anche se si limita a riproporre gli argomenti già svolti in primo grado.

6.- Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c..

In sostanza, secondo la ricorrente, la motivazione della decisione in ordine al difetto di giurisdizione sarebbe apparente, in quanto la corte si è limitata a richiamare un precedente giurisprudenziale, e la astratta regola che esso contiene, senza però alcunché addurre circa la riferibilità di quella regola al caso concreto, con ciò rendendo una decisione priva di un argomento necessario a giustificarla.

Anche questo motivo è infondato.

A prescindere dal rilievo che il difetto di motivazione, sia pure nella forma della motivazione apparente, affinché costituisca vizio rilevante della sentenza, deve essere privo di argomenti a supporto della giustificazione, e non è il caso che ci occupa; a prescindere da ciò, la sentenza espone la ragione che giustifica la decisione assunta, e la indica nel fatto che la ricorrente ha contestato l’efficacia del provvedimento regionale, ritenendola venuta meno a seguito della mancata attuazione, e, cosi facendo, ha chiesto un sindacato sul provvedimento stesso, e dunque sul potere sotteso.

7.- Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c..

Ritiene la società ricorrente che la Corte di Appello ha pronunciato su una eccezione – di difetto di giurisdizione diversa da quella prospettata, in ipotesi, dalla Azienda. Questa ultima aveva infatti eccepito il difetto di giurisdizione – con la comparsa di appello- quanto alla questione della individuazione del soggetto passivamente legittimato, ossia aveva eccepito che la questione della legittimazione passiva fosse una questione da devolvere al giudice amministrativo; invece, a fronte di tale specifica censura sulla giurisdizione, la corte di appello ha dichiarato il difetto di giurisdizione per una ragione diversa, vale a dire per essere la domanda relativa alla contestazione dei limiti di spesa, e dunque alla contestazione del potere autoritativo di fissarli.

Più precisamente, si osserva, l’eccezione di cui si discute era rivolta a far valere il difetto di legittimazione passiva dell’Azienda, piuttosto che quello di difetto di giurisdizione.

Il motivo è infondato.

Dalla parte del motivo di appello sopra riportato si deduce chiaramente che la Azienda ha eccepito il difetto di giurisdizione sul presupposto che la ricorrente ha chiesto (o ha presupposto) un sindacato sul provvedimento regionale, e dunque un sindacato sul potere amministrativo (“laddove poi l’appellante afferma che il badget fosse provvisorio e che l’omessa determinazione di un badget definitivo avrebbe dovuto indurre il giudice a riconoscere il corrispettivo per tutte le prestazioni erogate oltre il badget, esclude che la controversia resti nell’ambito del giudice ordinario dovendo essere devoluta a quella del giudice amministrativo” ed inoltre “poiché la pretesa di conseguire l’extra budget.. involge il sindacato sia sul potere di autodeterminazione ed autorganizzazione della Pa sia sul suo potere autoritativo… è sottratta alla cognizione del giudice ordinario e dovrà essere devoluta alla giurisdizione amministrativa, segnatamente del TAR del Lazio”, p. 8-9).

8. – Il quinto motivo denuncia oltre che violazione dell’art. 112 c.p.c., soprattutto violazione dell’art. 133 del codice amministrativo in materia di riparto di giurisdizione.

In sostanza, secondo la tesi della ricorrente la giurisdizione del giudice amministrativo viene in essere solo quando sia contestato il provvedimento amministrativo che fissa il tetto di spesa, ossia che costituisce titolo della pretesa di pagamento, poiché in quel caso si contesta l’esercizio del potere amministrativo, mentre la giurisdizione è del giudice ordinario se la pretesa fatta valere è di solo contenuto patrimoniale, prescinde, ossia dalla contestazione del titolo (del provvedimento che fissa il tetto di spesa). Nella fattispecie, la domanda della ricorrente mirava a far valer il suo diritto al pagamento, anche oltre il tetto di spesa, sul presupposto che quest’ultimo era stato fissato con provvedimento normativo provvisorio che aveva bisogno di una successiva determinazione mai però attuata.

Il motivo è infondato.

Vale quanto detto ai motivi precedenti.

Se, come risulta obiettivamente, la pretesa della creditrice era fondata sulla contestazione del titolo, ossia sulla contestazione della efficacia del provvedimento regionale, di cui si assumeva l’avvenuta caducazione per mancata attuazione, allora evidentemente la contestazione investiva l’esercizio del potere amministrativo.

In sostanza, il diritto patrimoniale rivendicato dalla società ricorrente è basato sulla contestazione del limite che il provvedimento regionale impone ai rimborsi: la ricorrente infatti assume innanzitutto che il provvedimento che fissa quel limite, non avendo avuto attuazione, diventato inefficace; cosi che contesta in realtà proprio l’esercizio del potere di gestione amministrativa della spesa sanitaria.

La rivendicazione della somma di denaro, in altri termini, presuppone che venga risolta la questione della efficacia dell’atto regionale, e del relativo esercizio del potere sottostante, ed implica quindi sindacato su tale potere.

Il che, e non è messo in discussione, comporta giurisdizione del giudice amministrativo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 16200,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021

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