LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12931/2019 R.G. proposto da:
GENERALI ITALIA SPA, impresa designata dal FGVS, in persona del procuratore speciale e rappresentante legale p.t., S.G., rappresentata e difesa dall’Avv. ANNAPAOLA MORMINO, con domicilio eletto in Roma, via Pinturicchio, n. 204, presso il suo Studio;
– ricorrente –
contro
H.M.A., G.G.C., G.R., G.G., GA.GI., G.M.;
– intimati –
contro
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA;
– intimata –
contro
ZURITEL SPA;
– intimata –
contro
D.E.;
– intimato –
contro
T.A.;
– intimato –
contro
S.A.;
– intimato –
per la cassazione della sentenza n. 6794/2018 della Corte d’Appello di ROMA, pubblicata il 25 ottobre 2018;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28 aprile 2021 dal Consigliere Dott. Marilena Gorgoni;
Lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, formulate ai sensi e con le modalità previste dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, che ha concluso chiedendo chiedendo l’inammissibilità del primo motivo, l’accoglimento del secondo e del terzo, l’assorbimento del quarto.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. H.M.A. e G.G.C., R., G., quest’ultimo anche quale genitore di Gi. e M., adivano il Tribunale di Roma, per vedere accertato il loro diritto al risarcimento dei danni subiti per il decesso di G.R., in conseguenza del sinistro avvenuto in *****, per responsabilità di T.A. e di S.A., con chiamata in giudizio della Milano Assicurazioni SPA, assicuratrice di S.A. e di Ina Assitalia SPA, quale società designata dal FGVS, in quanto l’auto di T.A. risultava priva di copertura assicurativa.
T.A., risultato positivo all’assunzione di sostanze alcoliche e stupefacenti, procedendo contromano con la sua Fiat Panda sul GRA, urtava violentemente la Panda guidata da G.R., di proprietà della moglie, H.M.A.; a seguito dell’impatto le due auto si disponevano trasversalmente rispetto alla carreggiata, l’una sulla corsia di destra, l’altra sulla corsia di emergenza; S.A., risultato positivo all’alcool test, sopraggiungendo a forte velocità, urtava, dapprima, la parte posteriore della Marea in sosta, da cui era sceso il proprietario- conducente D.E. per prestare soccorso, quindi, la Panda di G.R. e successivamente quella di T.A.; G.R., trasportato d’urgenza in ospedale, vi giungeva senza vita.
Il procedimento penale a carico di T.A. e S.A. si concludeva, rispettivamente, con sentenza di patteggiamento avanti al GIP e con sentenza di non luogo a procedere per il reato di omicidio colposo.
T.A., costituitosi in giudizio, chiedeva che la sua responsabilità fosse valutata in concorso con quella di S.A. e contestava il quantum debeatur.
Ina Assitalia, ora Generali Italia Spa, eccepiva l’improponibilità della domanda di risarcimento dei danni alla vettura di sua proprietà formulata da H.M.A., perché non aveva dichiarato di agire in proprio, chiedeva l’accertamento della corresponsabilità di S.A. e contestava la richiesta risarcitoria in ordine al quantum.
S.A., anche facendo leva sulla sentenza di proscioglimento in sede penale, chiedeva il rigetto della domanda nei suoi confronti e domandava, in ogni caso, di essere tenuto indenne dalla Milano Assicurazioni, sua assicuratrice. Quest’ultima, respinto ogni addebito nei confronti del proprio assicurato, chiedeva ed otteneva la chiamata in giudizio di D.E., del quale deduceva, in via subordinata, la responsabilità, perché, fermandosi per prestare soccorso nel mezzo della carreggiata, avrebbe contribuito, intralciando la circolazione, al verificarsi del danno.
D.E. non solo resisteva alla domanda nei suoi confronti, ma, in via riconvenzionale, chiedeva che la Milano Assicurazioni e S.A. fossero condannati in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non a sua volta subiti e, in aggiunta, chiedeva di essere manlevato e garantito dalla propria compagnia di assicurazioni, Zuritel SPA.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 989/2014, dichiarava la responsabilità esclusiva di T.A. nella causazione del sinistro mortale e per l’effetto condannava Generali Italia SPA al pagamento, all’attualità ed al netto degli interessi, di Euro 207.400,00 in favore di H.M.A., di Euro 199.265,00 in favore di G.G.C., di Euro 142.125,00 ciascuno in favore di G.R. e G. e di Euro 79.990,00 ciascuno in favore di Ga.Gi. e M.; dichiarava il diritto di rivalsa di Generali Italia nei confronti di T.A., dichiarava la responsabilità esclusiva di S.A. nella causazione dei danni riportati da D.E. e lo condannava a corrispondergli a tale titolo la somma di Euro 4.216,00; regolava le spese di lite.
L’odierna ricorrente impugnava detta decisione, con atto di citazione notificato il 19 marzo 2014, dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, lamentando l’erronea liquidazione del danno ultramassimale e la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’arbitraria ed erronea interpretazione delle risultanze istruttorie;
H.M.A. e gli altri congiunti di G.R., con separata citazione, notificata in data 28 aprile 2014, impugnavano la decisione del Tribunale di Roma, lamentando l’omessa condanna di T.A., in solido con l’impresa designata, il mancato riconoscimento della corresponsabilità di S.A. e la omessa pronuncia per mala gestio, oltre alla inadeguatezza della liquidazione delle spese di lite.
In entrambi i giudizi si costituivano Unipolsai Assicurazioni, Zuritel Spa e S.A., chiedendo il rigetto degli appelli.
D.E. e T.A. restavano contumaci.
Corte La d’Appello di Roma, con la sentenza n. 6794/2018, oggetto dell’odierno ricorso, accoglieva parzialmente il gravame di H.M.A. e dei congiunti di G.R. e, in riforma della sentenza impugnata, condannava in solido con Generali Italia Spa T.A., rigettava gli altri motivi di impugnazione e regolava le spese di lite.
Per quanto ancora di interesse, la decisione sul primo motivo di appello di Generali Italia SPA e sul terzo motivo dei congiunti di G.R., esaminati congiuntamente, ha ribadito il principio secondo cui l’assicuratore della responsabilità civile derivante dalla circolazione di veicoli, ove ritardi colposamente il pagamento di quanto dovuto a titolo risarcitorio al terzo danneggiato, incorre nella c.d. mala gestio impropria ed è tenuto alla corresponsione degli interessi sul massimale ed eventualmente al maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, ed applicandolo alla fattispecie in giudizio ha ritenuto l’impresa designata responsabile di mala gestio impropria perché aveva adempiuto con ritardo ai suoi obblighi, cioè solo dopo i provvedimenti emessi dal giudice di prime cure, ingiustificatamente, a fronte delle emergenze iniziali – indagini della Polstrada, elementi emersi dall’autopsia e dalle perizia cinematica, l’esito degli esami tossicologici eseguiti su T.A. dell’evento dannoso cagionato sicuramente se non in via esclusiva quantomeno in concorso dal soggetto risultato sprovvisto di copertura assicurativa; tanto più in considerazione che l’impresa designata era stata chiamata in giudizio nel procedimento penale a carico di T.A. e S.A., senza formulare alcuna proposta transattiva o anticipare alcuna somma agli eredi di G.R., non potendosi giustificare l’atteggiamento attendista con la circostanza del possibile coinvolgimento di più soggetti nella causazione del sinistro.
Generali Italia Spa propone ricorso avverso detta decisione formulando quattro motivi.
Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in Camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito in L. 18 dicembre 2020, n. 176, non avendo alcuna delle parti né il Procuratore Generale fatto richiesta di trattazione orale.
2. Con il primo motivo la ricorrente deduce “Violazione/falsa applicazione degli artt. 1218 e 1254 c.c., nonché per aver erroneamente ritenuto la Corte d’Appello la sussistenza di un comportamento colposo, in capo all’odierna ricorrente, verso danneggiati (c.d. male gestio impropria), con riferimento all’obbligazione di pagamento dell’indennizzo/risarcimento, posto che, immediatamente dopo il sinistro, non era dato sapere se vi fosse stata – ed in quale grado – la responsabilità del conducente del veicolo privo di assicurazione obbligatoria (art. 360 c.p.c., n. 3)”.
Secondo la ricorrente, potendosi parlare di colposo ritardo nell’adempimento solo nel caso in cui l’obbligazione sia sorta e dovendosi considerare che la stessa, nel caso di specie, era sorta solo con la pronuncia del giudice di prime cure o al più al momento in cui era stata accolta, dopo l’espletamento dell’attività istruttoria, la richiesta di concessione della provvisionale, la Corte territoriale l’avrebbe erroneamente condannata al pagamento ultramassimale. Avrebbe dovuto, invece, considerare che nell’incidente erano stati coinvolti più soggetti, che le emergenze istruttorie iniziali non consentivano di formulare un’offerta, che il Tribunale aveva concesso la provvisionale solo dopo tre anni dalla pendenza del giudizio, a ridosso dell’udienza di precisazione delle conclusioni, che il procedimento penale si era concluso nei confronti del conducente del veicolo non assicurato con una sentenza di patteggiamento che, non contenendo un accertamento circa la responsabilità del fatto di reato, non avrebbe potuto fare stato nel giudizio civile, che il procedimento penale si era aperto anche a carico di S.A., che la CTU cinematica aveva ritenuto che il primo urto cagionato dalla Fiat Panda condotta da T.A. aveva prodotto i maggiori danni, senza escludere che l’urto dell’auto condotta da S.A. avesse aggravato le lesioni subite da G.R. nella prima fase dell’incidente, che anche gli attori avevano impugnato la sentenza di prime cure per non aver riconosciuto la corresponsabilità di S.A., che la stessa Corte territoriale aveva accolto l’inibitoria e sospeso l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado per la parte eccedente il massimale di polizza, dimostrando che non vi era certezza sulla condotta dei conducenti dei veicoli coinvolti.
Il motivo non può essere accolto.
Nella sostanza, infatti, le censure mosse alla sentenza impugnata si risolvono nella sollecitazione ad una diversa valutazione delle circostanze di fatto che hanno indotto la Corte territoriale a considerare colposo e non giustificato il comportamento attendista dell’odierna ricorrente. Stabilire se davvero la impresa si assicurazioni sia in grado oppure no di ritenere ricorrente la responsabilità del proprio assicurato e di stimare il danno conseguente è valutazione di puro fatto, riservata al giudice di merito ed insindacabile in questa sede (Cass. 08/11/2019, n. 28881).
Le critiche della ricorrente non contengono, a dispetto della categoria logica cui è stato ricondotto il vizio cassatorio, alcuna deduzione di un error in iudicando, neanche quanto alla erronea assunzione della fattispecie concreta giudicata alla fattispecie astratta della mala gestio impropria.
La condanna per mala gestio impropria trova, infatti, fondamento nel comportamento ingiustificatamente dilatorio mantenuto dall’assicuratore in ordine alla prestazione risarcitoria in favore del danneggiato, che ricorre ove l’assicuratore, cui sia richiesta la prestazione, ometta di pagare o di mettere a disposizione del danneggiato il massimale nonostante che i dati obiettivi conosciuti consentano di desumere l’esistenza della responsabilità dell’assicurato e la ragionevolezza delle pretese del danneggiato.
Sin dal momento in cui il terzo danneggiato chieda all’assicuratore il risarcimento del danno, l’assicuratore assume l’obbligo di attivarsi con diligenza ex art. 1176 c.c., comma 2, per accertare le responsabilità, stimare il danno, formulare l’offerta, pagare l’indennizzo e dell’inadempimento e/o del ritardo nell’inadempimento di tale obbligo egli è chiamato a rispondere (Cass. 26-042017, n. 10221; Cass. 13/06/2014, n. 13537); a differenza di quanto sostenuto dall’assicuratore, affinché possa configurarsi una responsabilità dell’assicuratore che superi i limiti del massimale per “mala gestio” “non è necessario che questi ometta il pagamento dell’indennizzo quando il debito dell’assicurato verso il terzo danneggiato sia stato accertato e quantificato con sentenza passata in giudicato ovvero per effetto di accordo negoziale” (così Cass. 24/10/2017, n. 25091; Cass. 13/05/2008, n. 11908), bastano l’omesso pagamento in presenza di elementi idonei a ritenere l’assicurato responsabile e giustificare le pretese del terzo danneggiato (Cass. 11/02/1994, n. 1376) o l’ingiustificata sottovalutazione dell’entità delle lesioni rispetto a quella che poi venga accertata (Cass. 29/11/2011, n. 25222).
La tesi del ricorrente, infatti, aveva trovato eco in un orientamento giurisprudenziale risalente e superato che partiva dall’assunto che l’assicuratore della responsabilità civile non potesse mai essere costituito in mora prima che il debito verso il danneggiato fosse divenuto liquido ed esigibile, per contratto o per sentenza (per Cass. 11/11/1975 n. 3802, “nell’assicurazione della responsabilità civile, l’assicurato, finché non sia stata accertata giudizialmente o negozialmente la sua responsabilità e l’ammontare della somma da lui dovuta al terzo danneggiato, non può pretendere l’indennizzo da parte dello assicuratore. Fino a quel momento, dunque, anche se l’assicurato abbia provveduto a chiamare in causa l’assicuratore, a norma dell’art. 1917 c.c., u.c., non si può parlare di inadempimento e di costituzione in mora, né di esistenza, a favore dello stesso assicurato, di un credito liquido ed esigibile, produttivo di interessi corrispettivi a norma dell’art. 1282 c.c.”).
La soluzione corretta e che qui va ribadita è quella secondo cui affinché a carico dell’assicuratore si producano gli effetti della mora è necessario che questi sia in colpa, ciò che si verifica allorché gli sia stata data la possibilità di attivarsi per procedere alla quantificazione del proprio debito ed egli ingiustificatamente ritardi l’adempimento. L’obbligazione dell’assicuratore sorge al momento in cui l’assicurato cagiona un danno a terzi, ma l’assicuratore è in mora quando vi sia stato un atto idoneo a costituirlo in mora ed egli lasci decorrere il tempo ordinariamente necessario, alla stregua della diligenza professionale cui l’assicuratore è tenuto, ex art. 1176 c.c., comma 2, per accertare la sussistenza della responsabilità dell’assicurato e liquidare il danno.
Incombono sull’assicuratore la controdeduzione e la prova di una eventuale causa non imputabile (art. 1218 c.c.) del ritardo o la ricorrenza in concreto di particolari situazioni di fatto che giustifichino il suo ritardo (Cass. 18/07/2008, n. 19919): oneri che nel caso di specie sono rimasti insoddisfatti, perché l’odierna ricorrente si è limitata a confutare la sentenza impugnata che correttamente ha ritenuto ricorrente la mala gestio impropria sulla scorta di un’attenta valutazione delle circostanze di fatto, già esposte in narrativa, avanzando la tesi che l’obbligo di soddisfare la richiesta del terzo danneggiato sorga solo con la sentenza che accerti la responsabilità o con l’ordinanza che accolga la richiesta di provvisionale.
Tantomeno risulta che, in ossequio alle prescrizioni di cui all’art. 148 cod. ass., il ricorrente abbia indicato i motivi per cui a fronte della richiesta risarcitoria del terzo danneggiato abbia ritenuto di non formulare alcuna offerta.
3. Con il secondo motivo, in subordine, la ricorrente lamenta “Violazione/falsa applicazione dell’art. 1224 c.c., dell’art. 283cod. ass. oltre che, mediatamente – dell’art. 101 Cost., comma 2 – per aver erroneamente liquidato la Corte d’Appello l’indennizzo/risarcimento ultramassimale di legge non solo per il maggior danno e per gli interessi, ma illegittimamente – anche per il capitale (art. 360 c.p.c., n. 3)”.
Secondo la ricorrente, anche considerando ricorrente la mala gestio impropria, la Corte territoriale non avrebbe dovuto condannarla al pagamento ultramassimale quanto alla somma capitale, ma avrebbe dovuto contenere la condanna ultramassimale nei limiti degli interessi ed eventualmente del maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2.
4. Con il terzo motivo, sempre in subordine, la ricorrente lamenta “Violazione/falsa applicazione dell’art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), risultando la motivazione della sentenza impugnata talmente contraddittoria da costituire un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” – se non addirittura, una mancanza della motivazione stessa – con riferimento alla liquidazione dell’indennizzo/risarcimento ultramassimale di legge non solo per il maggior danno e per gli interessi, ma – illegittimamente – anche per il capitale (art. 360 c.p.c., n. 3)”, per avere la sentenza impugnata riconosciuto che la condanna ultramassimale per mela gestio impropria può riguardare solo gli interessi ed il maggior danno, ma non anche il capitale, rispetto al quale il limite del massimale è insuperabile, e ciononostante averla condannata a pagare complessivamente l’importo di Euro 848.895,00 per capitale, oltre ad interessi e spese di soccombenza.
I motivi secondo e terzo vanno trattati congiuntamente, perché involgono da prospettive diverse, error in iudicando il primo, errori motivazionali, il secondo, la stessa statuizione.
Entrambe le censure sono inammissibili, perché difettano di specificità.
La Corte territoriale, dopo aver richiamato il principio di diritto invocato dalla ricorrente, quando all’impossibilità che la condanna ultramassimale riguardi la somma capitale, si è limitata a confermare la sentenza di prime cure, di cui la ricorrente ha riportato esclusivamente il dispositivo, il quale permette di evincere solamente che la somma complessivamente riconosciuta a H.M.A. e ai congiunti di G.R. all’attualità era superiore al massimale di legge all’epoca fissato in Euro 774.685,34, ma non anche di conoscere i criteri di calcolo seguiti dal Tribunale per addivenire alla liquidazione all’attualità di quelle somme (in violazione della prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6), ingenerando il dubbio che la differenza rispetto al massimale sia stata determinata dalla rivalutazione degli importi dovuti; e ciò considerando il lasso di tempo intercorso tra l’incidente, 11 maggio 2008, e la sentenza di prime cure emessa il 15 gennaio 2014, e che l’assicuratore, ritenuto responsabile di mala gestio impropria, essendo in mora nell’adempimento della propria obbligazione, è esposto ai relativi effetti, i quali non sono contenuti entro il limite del massimale, perché tale limite concerne quanto l’assicuratore è tenuto a versare per fatto altrui, mentre invece la mora è un fatto proprio dell’assicuratore di cui egli è chiamato a rispondere anche in misura eccedente il massimale, quando, ipotesi che potrebbe essersi verificata nel caso di specie, risulti che il massimale assicurativo capiente all’epoca dell’illecito sia divenuto incapiente al momento del pagamento dell’indennizzo per effetto del deprezzamento del denaro. In altri termini, se l’assicuratore avesse tempestivamente adempiuto al proprio obbligo il danno subito dal terzo danneggiato sarebbe risultato interamente coperto dall’assicurazione, perciò la mora dell’assicuratore non può incidere sul diritto dell’assicurato a che l’assicuratore copra integralmente il danno cagionato al terzo, anche se ciò implichi il superamento del massimale di polizza. Solo nell’ipotesi in cui il massimale fosse già incapiente al momento del verificarsi dell’illecito, l’assicuratore in mora dovrebbe essere condannato a risarcire solo gli interessi ed eventualmente il maggior danno sul massimale, in ragione del fatto che il debito dell’assicuratore è un debito di valuta e, quindi, insuscettibile di cumulo di rivalutazione ed interessi (sul punto cfr. amplius Cass. 08/11/2019, n. 28811 cit.). Merita di essere confermato, infatti, l’orientamento secondo cui l’obbligazione dell’assicuratore nei confronti della vittima di un sinistro stradale ha natura di debito di valuta, come tale assoggettato al principio nominalistico e destinato, pertanto, a determinarsi entro il limite del massimale di polizza, senza che ciò escluda che la somma liquidata possa superare il massimale in relazione agli interessi e alla rivalutazione monetaria dovuti dall’assicuratore – che ritardi ingiustificatamente il pagamento – secondo le condizioni previste dell’art. 1224 c.c., commi 1 e 2, ferma restando, peraltro, la necessità che in tale operazione si abbia sempre riguardo al massimale convenuto dalle parti o a quello minimo di legge vigente alla data del sinistro, essendo irrilevanti eventuali variazioni successive (Cass. 21/02/2018 n. 4138; Cass. 15/06/2018, n. 15752; Cass. 23/06/2014, n. 14199; Cass. 19/04 2011, n. 8988).
5. Con il quarto motivo la ricorrente rimprovera alla sentenza impugnata “Violazione/falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché error in procedendo per non essersi la Corte d’Appello di Roma pronunciata sulla richiesta di limitare la condanna entro il limite del massimale (art. 370 c.p.c., nn. 3) e 4). Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in particolare l’eccepito limite del massimale di polizza (art. 360 c.p.c., n. 5). Nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all’art. 122 c.p.c. e per violazione del principio “tantum devolutum quantum appellatum”, di cui all’art. 342 c.p.c., per non avere la Corte di Appello circoscritto la condanna al massimale residuo di polizza (vizio di infrapetizione) (art. 360 c.p.c., n. 4). Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., per non essersi pronunciata la Corte d’Appello sulla intera domanda svolta da Generali Italia (art. 360 c.p.c., n. 3). Nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all’art. 112 c.p.c. e per violazione del principio “tantum devolutum quantum appellatum”, di cui all’art. 342 c.p.c., per avere la Corte d’Appello condannato ultramassimale anche sul capitale nonostante i danneggiati avessero richiesto solo la mala gestio impropria (vizio di ultrapetizione) (art. 360 c.p.c., n. 4)”.
Secondo la ricorrente la Corte d’Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di limitare la condanna risarcitoria nei limiti del massimale di legge alla data del sinistro ed invece si sarebbe pronunciata su una domanda di mala gestio propria che non era mai stata formulata, avendo gli istanti chiesto la condanna al pagamento di interessi e rivalutazione: ipotesi, ricorrendo la quale la giurisprudenza ritiene implicitamente formulata una richiesta di condanna per mala gestio impropria, mentre, invece, chi invoca la responsabilità ultramassimale del proprio assicuratore è tenuto a formulare in modo esplicito la relativa domanda.
Innanzitutto, deve escludersi che la alla sentenza possa rimproverarsi di non essersi pronunciata sul motivo di appello concernente la richiesta di contenere la condanna dell’impresa assicuratrice entro i limiti del massimale. A p. 13 la sentenza si occupa inequivocabilmente del motivo di appello con cui la odierna ricorrente lamentava di essere stata condannata, come impresa designata, al pagamento di una somma che superava il massimale di legge, ritenendolo infondato, perché la Generali Italia aveva colposamente ritardato il pagamento della somma dovuta a titolo risarcitorio a favore del terzo danneggiato e quindi era tenuta alla corresponsione degli interessi sul massimale ed eventualmente al maggior danno anche per svalutazione monetaria. Del resto, è la stessa ricorrente ad aver lamentato, con i due motivi precedenti, che la Corte territoriale avesse male applicato in concreto il principio di diritto correttamente richiamato.
Quanto alla denuncia di ultrapetizione essa deriva da un travisamento della ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale non ha affatto condannato Generali Italia per mala gestio propria, ma si è limitata ad applicare la giurisprudenza di questa Corte quanto alle conseguenze derivanti dalla mora debendi dell’assicuratore.
Il motivo, pertanto, non può essere accolto.
6. In definitiva, il ricorso è infondato.
7. Nulla deve essere liquidato per le spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.
8. Seguendo l’insegnamento di S.U. 20/02/2020 n. 4315, si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, dalla Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021
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