Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.34824 del 17/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13528/2016 proposto da:

P.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA ELENA 140, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PETRULLO, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIANO EUGENIO MARIO PETRULLO;

– ricorrente –

S.G., M.A., P.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 222/2015 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 25/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/04/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto.

FATTI DI CAUSA

P.A.P. e P.R., proponevano denuncia di nuova opera dinanzi al Pretore di Potenza, lamentando che S.V. e S.G., proprietari di un fabbricato vicino, nell’eseguire opere di riadattamento del medesimo, avevano aperto, sulla facciata prospicente il cortile degli attori, tre finestre, modificando la situazione quo ante, caratterizzata solo dalla presenza di alcune luci. Il Pretore rigettava la domanda e rimetteva le parti dinanzi al Tribunale di Potenza per la causa di merito.

Il Tribunale, nel contraddittorio con i convenuti, rilevava che le aperture oggetto di denuncia non costituivano vedute, ma luci; quindi ne ordinava la regolarizzazione in quanto non conformi alle prescrizioni dell’art. 901 c.c..

La Corte d’appello di Potenza, adita da S.G. e M.A., quest’ultima quale erede di S.V., riformava la sentenza. Secondo i giudici d’appello, il Tribunale aveva solamente supposto che le aperture esistenti prima del riadattamento non avessero i requisiti per potersi considerare luci. Infatti, sulla base delle planimetrie prodotte dal P. che raffiguravano lo stato dei luoghi prima dell’intervento, non era possibile sapere quale fosse la precedente altezza delle aperture dal pavimento.

Per la cassazione della sentenza P.D., quale erede degli originati attori, ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

S.G. e M.A. (erede di S.V.) e P.F. (erede degli attori originari) sono rimasti intimati.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso per cassazione non è stato notificato a S.L., chiamato nel giudizio d’appello nella qualità di erede di S.V., che è stato poi estromesso dal processo con la sentenza impugnata in base al riscontro della rinuncia all’eredità. Con riferimento all’estromissione di una parte operata in grado d’appello, è stato chiarito che, a meno che la decisione non sia stata impugnata sul punto della estromissione, il ricorso per cassazione deve essere notificato alla parte estromessa ai sensi dell’art. 332 c.p.c. (Cass. n. 15734/2007). Tale notificazione è stata omessa, tuttavia il Collegio non deve ordinare che il ricorso sia notificato a S.L., essendo la stessa parte estromessa decaduta dalla facoltà di proporre impugnazione per decorso del termine di cui all’art. 327 c.p.c. (Cass. n. 11835/2018).

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 901 e 902 c.c.. Si evidenzia che il Tribunale non aveva condannato i convenuti al ripristino della situazione quo ante, ma alla regolarizzazione delle luci, avendone riscontrato l’irregolarità sotto svariati profili. “A prescindere da ogni considerazione sulle modifiche apportate dai resistenti sullo status quo ante, rimane indiscutibile che le aperture sono state ritenute luci e che le stesse non hanno i requisiti di cui al Codice civile articoli citati” (pag. 4 del ricorso).

Il motivo è fondato. A norma dell’art. 902 c.c. l’apertura che non abbia i caratteri di veduta o di prospetto è considerata come luce pur se priva dei requisiti a tale scopo prescritti dalla legge, non ammettendo questa un tedium genus fra le due predette categorie (Cass. n. 20577/2007). Le aperture non aventi il carattere di vedute debbono essere valutate, perciò, come luci e sottoposte alle relative prescrizioni legali: in tal caso, il proprietario del fondo vicino può sempre pretenderne la regolarizzazione (Cass. n. 233/2011; n. 512/2003). Infatti, il possesso di luci irregolari, sprovvisto di titolo e fondato sulla mera tolleranza del vicino, non può condurre all’acquisto, per usucapione, della corrispondente servitù (Cass. n. 8930/2000; n. 71/2002; n. 11343/2004; S.U., n. 1085/1996), che può acquistarsi solo per titolo (Cass. n. 171/1993; n. 4404/1997; n. 12125/1997).

E’ stato anche precisato che, in tema di luci e vedute, viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice di merito che, adito allo scopo di sentir dichiarare l’illegittimità di alcune vedute aperte in una costruzione eretta in sopraelevazione, ne abbia imposto la regolarizzazione invece come “luci”. Diversi sono, infatti, i presupposti per l’una e l’altra disciplina, riguardando l’art. 905 c.c., le aperture che consentono di inspicere e di prospicere, cioè di vedere ed affacciarsi verso il fondo del vicino, ed invece gli artt. 901 e 902 c.c., il diritto di praticare aperture in direzione di quello per attingere luce ed aria; così come diversi sono i rimedi, poiché l’inosservanza delle distanze dettate dall’art. 905 c.c., può essere eliminata soltanto dall’arretramento o chiusura delle vedute, mentre le prescrizioni sulle luci possono farsi rispettare attraverso la loro semplice regolarizzazione (Cass. n. 2558/2009).

La Corte d’appello ha negato che nella specie il primo giudice fosse incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c., “dal momento che nella domanda di eliminazione della finestra deve considerarsi compresa quella di regolarizzazione, ove fosse risultata avere le caratteristiche di una luce illegittima” (pag. 6 sentenza impugnata). In linea di principio l’affermazione è discutibile, ma l’eventuale errore in diritto commesso dalla corte territoriale non ha costituito oggetto di censura. Si deve aggiungere che la stessa corte di merito ha evidenziato che, nell’atto di riassunzione, gli attori chiesero, in via subordinata, la regolarizzazione delle luci.

Ciò posto la ratio della decisione impugnata risiede nel rimprovero, mosso al primo giudice, di avere ordinato la regolarizzazione delle luci, nonostante che dai documenti prodotti non risultasse quale fosse l’altezza delle luci dal piano del pavimento prima della ristrutturazione. Tale carenza, secondo la Corte d’appello, non consentiva di verificare se ci fosse stata difformità rispetto alla situazione quo ante.

Senonché, la Corte d’appello non ha considerato che, una volta riconosciuta l’ammissibilità dell’istanza di regolarizzazione delle luci, la materia del contendere non riguardava se ci fosse stata o meno una modifica rispetto alla situazione precedente. Ciò che occorreva accertare è se il vicino avesse il diritto di ottenerne la regolarizzazione, avuto riguardo alle caratteristiche attuali delle aperture. In relazione a tale accertamento, la circostanza che i vicini, nel riproporre l’apertura, avessero mantenute inalterate le caratteristiche precedenti non costituiva circostanza sufficiente a giustificare il rigetto della domanda di regolarizzazione delle luci. Secondo i principi sopra richiamati, infatti, il proprietario del fondo vicino può sempre pretendere la regolarizzazione delle aperture prive dei requisiti prescritti per le luci (art. 902 c.c., comma 2).

Sono assorbiti il secondo motivo (con il quale si censura la sentenza per non avere la corte territoriale considerato che il primo giudice aveva ordinato la regolarizzazione delle luci e non il ripristino della situazione quo ante) e il terzo motivo, con il quale è censurata la decisione nella parte in cui la Corte d’appello non ha considerato gli elementi di fatto sui quali il primo giudice aveva fondato la decisione.

La sentenza, pertanto, deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Potenza in diversa composizione, la quale provvederà a nuovo esame attenendosi a quanto sopra e liquiderà le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo; dichiara assorbiti i restanti motivi; rinvia alla Corte d’appello di Potenza in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 novembre 2021

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