LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22341-2019 proposto da:
D.M.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. AVEZZANA 6, presso lo studio dell’avvocato DI MAJO ADOLFO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
COMUNE di COLLIANO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO N. 6, presso lo studio dell’avvocato NICOLA RIVELLESE, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO ALLIEGRO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1059/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 30/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
D.M.P. ha proposto ricorso, articolato in unico motivo, avverso la sentenza n. 1059/2017 resa dalla Corte d’appello di Salerno in data 30 ottobre 2017, nella “parte corretta” con ordinanza 10 giugno 2019 dalla stessa Corte d’appello Resiste con controricorso il Comune di Colliano.
Il giudizio ebbe origine con decreto ingiuntivo emesso nei confronti del Comune di Colliano dal Tribunale di Salerno nell’anno 1987 su domanda dell’architetto D.M.P. inerente a compensi professionali. A seguito della revoca del decreto ingiuntivo e della condanna del Comune di Colliano al pagamento di un minor importo rispetto a quello intimato in sede monitoria, disposte nel giudizio di opposizione, la Corte di cassazione con sentenza n. 17229/2012 cassò con rinvio la pronuncia della Corte d’appello di Salerno depositata il 21 febbraio 2006. Nel giudizio di rinvio, la stessa Corte d’appello di Salerno, con la sentenza n. 1059/2017, condannò il Comune di Colliano al pagamento in favore dell’architetto D.M.P. della somma di Euro 99.536,56, oltre interessi. Tale sentenza affermò peraltro (pagina 15) che la domanda relativa alla rivalutazione monetaria introduceva una “questione nuova e, pertanto, inammissibile”. Proposta dell’architetto D.M.P. istanza di correzione di errore materiale del dispositivo della sentenza n. 1059/2017, non avendo esso riconosciuto sull’importo liquidato la rivalutazione monetaria, la Corte d’appello di Salerno, con ordinanza del 10 giugno 2019, ha escluso che vi fosse “spazio per la procedura di correzione dell’errore materiale”, avendo la pronuncia emessa quale giudice di rinvio esaminato espressamente la questione della rivalutazione, dichiarandola inammissibile per novità.
L’unico motivo di ricorso di D.M.P. deduce l'”errore in judicando”, per l’uso anomalo del potere di correzione fatto dalla Corte d’appello di Salerno, assumendo che sia stata proprio l’ordinanza del 10 giugno 2019 a far insorgere l’interesse ad impugnare la sentenza n. 1059/2017, agli effetti dell’art. 288 c.p.c., comma 4. Secondo il ricorrente, trattandosi di debito di valore, e non di valuta, la domanda di svalutazione non poteva considerarsi domanda nuova; ove poi si qualificasse la pretesa dedotta in lite come debito di valuta, restava il fatto che era stata proposta apposita domanda a tal fine.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso proposto potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.
L’ordinanza pronunciata dalla Corte d’appello di Salerno in data 10 giugno 2019 ha rigettato l’istanza di correzione di errore materiale della sentenza n. 1059/2017, proposta dell’architetto D.M.P., evidenziando come il profilo oggetto dell’ipotizzata omissione era stato, invece, oggetto di espressa delibazione in quella sentenza, la quale statuì l’inammissibilità della richiesta di rivalutazione monetaria, in quanto “nuova”.
Secondo allora consolidato orientamento di questa Corte, in tema di procedimento di correzione di errori materiali, l’art. 288 c.p.c., comma 4, nel disporre che le sentenze possono essere impugnate relativamente alle parti corrette nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, appresta uno specifico mezzo di impugnazione, che esclude l’impugnabilità per altra via del provvedimento, ai sensi dell’art. 177 c.p.c., comma 3. Pertanto, il principio di assoluta inimpugnabilità di tale ordinanza, neppure col ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., vale anche per l’ordinanza di rigetto, in quanto il provvedimento comunque reso sull’istanza di correzione di una sentenza all’esito del procedimento regolato dall’art. 288 c.p.c. è sempre privo di natura decisoria, costituendo mera determinazione di natura amministrativa non incidente sui diritti sostanziali e processuali delle parti, in quanto funzionale all’eventuale eliminazione di errori di redazione del documento cartaceo che non può in alcun modo toccare il contenuto concettuale della decisione. Per questa ragione resta impugnabile, con lo specifico mezzo di volta in volta previsto, solo la sentenza che risulti effettivamente corretta, e ciò al fine di verificare se, mediante il surrettizio ricorso al procedimento di correzione, sia stato in realtà violato il giudicato ormai formatosi nel caso in cui la correzione stessa sia stata utilizzata per incidere, inammissibilmente, su errori di giudizio (Cass. Sez. 3, 26/07/2019, n. 20309; Cass. Sez. 2, 27/02/2019, n. 5733; Cass. Sez. 6 – 2, 27/06/2013, n. 16205; Cass. Sez. 5, 14/03/2007, n. 5950). Il ricorrente, al contrario, nella motivazione dell’ordinanza della Corte d’appello di Salerno che rigettò l’istanza di correzione dell’errore materiale, ravvisa impropriamente un nuovo esercizio di potere giurisdizionale, e ciò a fronte dell’inequivoca statuizione di contenuto negativo in essa esplicitato. L’ordinanza della Corte d’appello di Salerno resa in data 10 giugno 2019, avendo ribadito quanto già sostenuto nella sentenza circa l’inammissibilità della domanda di rivalutazione monetaria, poteva al più valere a rafforzare l’interesse del ricorrente ad impugnare la decisione di cui venne chiesta invano la correzione (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 21/04/2017, n. 10067).
Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 20 novembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2021