Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.355 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 00989/2017 R.G. proposto da:

Curatela del Fallimento “***** S.p.A.”, in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, P.zza Giovanni Randaccio n. 1, presso lo studio dell’avv. Leonardo Musa, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1985/2016 della Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Lecce, depositata in data 25 luglio 2016;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 novembre 2020 dal Consigliere Paolo Fraulini.

RILEVATO

Che:

1. La Commissione tributaria regionale per la Puglia in Lecce ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto l’opposizione della allora ***** S.p.A. in liquidazione avverso l’atto n. ***** contenente recupero a tassazione del credito di imposta per investimenti in aree svantaggiate ex L. n. 388 del 2000, utilizzato dalla contribuente in compensazione in relazione all’anno imposta 2004.

2. La CTR, dopo aver respinto eccezioni formali (carenza contraddittorio endoprocedimentale e decadenza dal potere di contestazione) ha rilevato nel merito che dalle prove in atti emergeva che la contribuente non aveva mai utilizzato il compendio immobiliare per cui aveva ricevuto il finanziamento pubblico, ma che lo stesso era stato ristrutturato e poi gestito in via esclusiva dalla società Clarihotel s.r.l., con cui la contribuente aveva stipulato un contratto che andava qualificato come locazione di immobile e non affitto di azienda; tanto determinava la decadenza dal finanziamento e la conseguente insussistenza di alcun credito di imposta compensabile.

3. Per la cassazione della citata sentenza la curatela dell’intervenuto fallimento della ***** S.p.A. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi; l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

4. Con atto del 21 novembre 2019, la curatela fallimentare ha depositato istanza di fissazione di udienza.

5. Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Stefano Visonà, ha concluso per il rigetto del ricorso.

6. La ricorrente ha altresì depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c..

CONSIDERATO

Che:

1. Il ricorso lamenta:

a. Primo motivo: “Violazione e malgoverno di norme di legge anche processuale (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, commi 4 e 5 e della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, commi 2 e 5, nonchè artt. 112 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4). Omesso esame di una domanda decisiva della controversia (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” deducendo l’illegittimità della sentenza impugnata per aver respinto l’eccezione di nullità dell’atto di recupero per violazione delle regole del coinvolgimento partecipativo del contribuente nella fase precontenziosa, avendo l’amministrazione finanziaria contestato alla società contribuente specifici comportamenti elusivi che avrebbero necessitato di specifica contestazione e di provocazione sul punto di specifico contraddittorio.

b. Secondo motivo: “Violazione e malgoverno di norme di legge (D.L. 29 novembre 2008, n. 185, art. 27, comma 16, conv. in L. 28 gennaio 2009, n. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” deducendo l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha disatteso la doglianza con cui si deduceva l’illegittimità della proroga a otto anni del termine per effettuare la contestazione, concesso all’Amministrazione finanziaria; invero, la proroga sarebbe applicabile ai soli casi in cui il credito sia originariamente inesistente e non già in fattispecie come quella oggetto di lite, ove la questione verte sulla regolarità della compensazione di un credito esistente.

c. Terzo motivo: “Violazione e/o falsa applicazione di legge (L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, nonchè artt. 1362,1363 e art. 2555 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” deducendo l’erroneità della pronuncia impugnata per aver eluso ogni accertamento circa l’effettiva sussistenza di un’azienda condotta dalla contribuente alla data della stipula del contratto con la Clarihotel s.r.l., dovendo ritenersi che la mera improduttività non equivalga a insussistenza di organizzazione dei beni in funzione dell’esercizio aziendale, e comunque che le prove all’uopo fornite dalla contribuente (ivi compresi i contratti stipulati per la gestione aziendale) siano state mal interpretate dal giudice di secondo grado.

d. Quarto motivo: “Violazione e/o falsa applicazione di legge (D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 7, comma 1 bis, conv. in L. 2 dicembre 2005, n. 248, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)” deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per aver ritenuto inapplicabile alla fattispecie la normativa denunciata come lesa, laddove essa introduce nel novero delle attività agevolabili anche quelle derivanti da locazione di immobili strumentali all’esercizio dell’impresa.

e. Quinto motivo: “Violazione e/o falsa applicazione di legge anche processuale (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, nonchè artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4). Omesso esame della domanda subordinata di appello di esonero dalle sanzioni (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5)” deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per aver respinto la richiesta di esonero dalle sanzioni con motivazione omessa e del tutto apparente.

2. L’Agenzia delle Entrate argomenta nel controricorso l’infondatezza del ricorso avversario, che chiede di respingere.

3. Il ricorso va respinto.

4. Il primo motivo è infondato. La CTR, con motivazione piana e perfettamente intellegibile, ha respinto l’eccezione formale di nullità dell’atto impositivo qualificando la contestazione come basata non già sull’applicazione automatica della disciplina antielusiva prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, con conseguente onere di stimolo del contraddittorio preventivo endoprocedimentale, bensì sull’insussistenza del credito di imposta, in quanto carente dei presupposti per l’applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 8, ai fini dell’insorgenza di un credito compensabile. A tanto il giudice di appello è pervenuto nel suo potere/dovere di valutazione del materiale probatorio versato in atti, espressamente citato in parte motiva dalla sentenza oggi impugnata. Tanto consente a questa Corte di respingere la doglianza di nullità della sentenza, dovendo ritenersi pienamente assolto l’onere motivazionale nel caso di specie, con esclusione di qualsivoglia violazione delle regole redazionali della sentenza; nè si ravvisa alcuna mancanza di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nei sensi previsti dall’art. 112 c.p.c.. Nè, tantomeno, sussiste violazione di legge, posto che la CTR ha spiegato le ragioni della scelta ermeneutica effettuata nell’analisi dell’atto di contestazione oggetto del contendere, che l’ha condotta a ritenere inapplicabile la disciplina di garanzia della normativa antielusiva, dovendo ritenersi che la mera citazione di essa nel contesto motivazione dell’atto di contestazione non vincoli in alcun modo il giudice di merito nel doveroso momento di sussunzione della fattispecie nella corretta cornice normativa applicabile. Quanto, infine, alla censura inerente al vizio di motivazione, va rilevato che alla presente controversia, essendo la sentenza impugnata stata depositata in data 22 ottobre 2012, si applica l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione introdotta a seguito dell’entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134. Ciò comporta che il vizio di motivazione è denunciabile in cassazione ai sensi del citato articolo solo per anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). L’irrilevanza delle risultanze processuali ai fini dell’applicazione del sindacato sulla motivazione è stata ulteriormente precisata nel senso che il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame di un fatto storico – da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018), principale o secondario, rilevante ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018), nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive. Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018): ciò che si attaglia perfettamente al caso di specie.

5. Il secondo motivo è infondato. Come questa Corte ha avuto modo di evidenziare (Sez. 5, Ordinanza n. 19237 del 02/08/2017), con argomentazioni che integralmente si condividono e che vanno ribadite, del D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009, nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti d’imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l'”inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico-giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l’investimento che ha generato il credito d’imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per il comune avviso di accertamento. La motivazione resa dalla CTR sul punto (pagg. 5 e 6) è conforme a tale ricostruzione ermeneutica e si sottrae pertanto alle critiche mosse nella censura in esame.

6. Il terzo motivo è infondato nella parte in cui denuncia la falsa applicazione della disciplina dell’azienda, prevista dall’art. 2555 c.c.. Invero, la ratio decidendi della sentenza impugnata si individua con chiarezza nell’avere la CTR accertato che la contribuente non aveva incluso il compendio oggetto di causa nel suo complesso aziendale. A tanto il giudice di appello è pervenuto sulla base delle prove acquisite agli atti del processo, espressamente indicate in parte motiva. Di talchè, sotto diverso e concorrente profilo, la censura in esame si palesa inammissibile nella parte in cui, nel proporre una diversa valutazione delle prove, sollecita a una revisione del materiale probatorio che non rientra tra i poteri di questa Corte regolatrice, una volta che sia esclusa ogni illegittimità del ragionamento probatorio che appartiene all’esclusiva competenza del giudice di merito.

7. Il quarto motivo è infondato. Come già detto a commento del secondo motivo di ricorso, la sentenza impugnata si fonda sulla negazione del diritto all’insorgenza del credito compensabile, siccome il compendio interessato non è mai entrato nel vincolo aziendale dell’impresa gestita dalla società ricorrente. E’ ben vero che, nel corpo della motivazione, la CTR accenna (pag. 9) anche alla questione dell’agevolabilità del contratto di locazione di beni costituenti un complesso polifunzionale ai sensi del D.L. n. 203 del 2005, art. 7, comma 1-bis, (su vedi Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3114 del 2014). Ma tale parte di motivazione è evidentemente alternativa alla precedente e, quindi, la sua confutazione non sarebbe comunque idonea a determinare la cassazione della pronuncia impugnata.

8. Il quinto motivo è infondato. La CTR non ha affatto omesso di pronunciare in relazione alle sanzioni; come si evince dalla lettura della sentenza impugnata (pag. 9, ultimo alinea), vi è stata espressa pronuncia sul punto, sicchè deve escludersi il vizio di infrapetizione; quanto, poi, alla pretesa falsa applicazione della normativa applicabile, va rilevato che la sentenza ha respinto la domanda giudicando che non ricorressero nella specie nè obiettive condizioni di incertezza, nè le cause di inapplicabilità delle sanzioni previste dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2. Tanto esclude che vi sia stato errore nella identificazione della norma applicabile, mentre il giudizio di sussunzione rispetto alla fattispecie in base alle prove acquisite in giudizio appartiene alla esclusiva competenza del giudice del merito ed è insindacabile in questa sede.

9. La soccombenza regola spese e determina l’obbligo per la ricorrente di versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la Curatela del Fallimento “***** S.p.A.” a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese della presente fase di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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