Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza Interlocutoria n.362 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso iscritto al n. 38285-2019 proposto da:

L.F., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE JONIO 50, presso lo studio dell’avvocato WALTER FELICIANI, rappresentata e difesa dall’avvocato RICCARDO LEONARDI;

– ricorrente –

contro

D.C.A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO CORRIDONI 15, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BONCACCIO, rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO GALVANI;

– controricorrente –

contro

T.L.;

– intimata –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza n. R.G. 2806/2013 del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 12/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/12/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GRAZIOSI CHIARA;

lette le conclusioni scritte del PUBBLICO MINISTERO in persona del SOSTITUTO PROCURATORE GENERALE DOTT. MISTRI CORRADO che conclude per l’accoglimento della presente istanza di regolamento di competenza proposta da L.F. avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta, presentata ai sensi dell’art. 297 c.p.c. di fissazione dell’udienza di prosecuzione del giudizio, pronunciata dal Tribunale di Ancona in composizione monocratica nel procedimento n. 2806/2013 e pubblicata in data 12 novembre 2019 che andrà conseguentemente cassata con rinvio per difetto della situazione pregiudiziale che giustifica la sospensione ex art. 295 c.p.c..

La Corte osserva quanto segue.

FATTO E DIRITTO

1. Il Tribunale di Ancona, nella causa n. 2806/2013 R.G., in data 12 novembre 2019 rigettava istanza, proposta da L.F., di fissazione di udienza per la prosecuzione del giudizio, escludendo l’intervenuta cessazione della pregiudizialità che ne aveva comportato la sospensione ex art. 295 c.p.c. per non essersi verificato il passaggio in giudicato della decisione relativa ai giudizi nn. 540/2012 e 2080/2012 R.G. “che deve riguardare tutte le parti coinvolte” nel giudizio sospeso, e valutando non pertinente il richiamo dell’istante all’art. 337 c.p.c. in quanto “la sentenza di primo grado non era antecedente al provvedimento di sospensione ma è intervenuta nelle more”.

2. Avverso tale provvedimento ha presentato ricorso per regolamento necessario di competenza la L., esponendo quel che ora si riassume.

La causa n. 2806/2013 R.G. era stata avviata da T.L. e T.R. notificando alla L., in data 23 aprile 2010, intimazione di sfratto per morosità, e chiedendo pure decreto ingiuntivo nei suoi confronti per il pagamento della somma di Euro 2512; la L. si era opposta, chiedendo, previo mutamento del rito ai sensi dell’art. 667 c.p.c., di chiamare in causa De.Ce.An., e, nel merito, di autorizzare il rilascio dell’immobile per non far maturare ulteriori canoni locatizi, di rigettare l’intimazione di sfratto e il ricorso monitorio, nonchè, in via riconvenzionale, di dichiarare risolto il contratto di locazione per grave inadempimento dei locatori e condannare in solido i T. e De.Ce.An. a risarcirle tutti i danni subiti.

Autorizzatane la chiamata in causa, De.Ce.An. si costituiva, chiedendo a sua volta l’autorizzazione a chiamare in causa D.C.A.M. per esserne manlevato; chiedeva altresì la riunione della causa ad altra causa promossa dai proprietari dell’immobile nei suoi confronti per il risarcimento dei danni che avrebbero subito per le medesime causali; eccepiva poi la propria carenza di legittimazione nel giudizio e, in subordine, chiedeva il rigetto di tutte le domande attoree; infine chiedeva di condannare in ogni caso D.C.A.M. a tenerlo indenne da ogni pretesa attorea e, qualora si fosse accertata la responsabilità propria e dei T. per la comproprietà dell’immobile, di ripartire i costi ai sensi dell’art. 1126 c.c., gravando comunque solo i T. di tutti i danni da ritardo nell’esecuzione dei lavori.

Autorizzata tale ulteriore chiamata in causa, si costituiva D.C.A.M., a sua volta chiedendo l’autorizzazione a chiamare in causa in garanzia Unipol Assicurazioni S.p.A., e nel merito chiedendo in tesi il rigetto di ogni domanda risarcitoria, e in subordine la manleva da parte della suddetta compagnia assicuratrice.

Unipol Assicurazioni, a sua volta poi chiamata, si costituiva chiedendo, per inoperatività della garanzia assicurativa, il rigetto di ogni domanda, e, in subordine, il rigetto di ogni domanda di De.Ce.An. nei confronti di D.C.A.M..

Essendosi costituite tutte le parti chiamate in giudizio, la difesa di De.Ce.An. chiedeva la riunione della causa n. 2806/2013 R.G. con la causa n. 540/2012 R.G. (cui era stata già in precedenza riunita la causa n. 2080/2012 R.G.), pendente anch’essa davanti al Tribunale di Ancona, che era stata promossa dai T. nei confronti di De.Ce.An. per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni derivati da infiltrazioni nell’appartamento di proprietà degli attori – concesso in locazione alla L. -, infiltrazioni che sarebbero provenute da una sovrastante terrazza di esclusiva proprietà di De.Ce.An.; anche in questo giudizio erano stati chiamati in causa D.C.A.M. e Unipol Assicurazioni.

Il giudice istruttore, riscontrato un rapporto di pregiudizialità, sospendeva ex art. 295 c.p.c. la causa n. 2806/2013 R.G. in attesa della definizione della causa n. 540/2012 R.G. quale causa pregiudiziale.

Appreso che con sentenza n. 1442/2016 il Tribunale aveva in seguito deciso la causa n. 540/2012 R.G. accogliendo le domande attoree e condannando al risarcimento dei danni De.Ce.An. e D.C.A.M., e avendo poi appreso pure che non era stato proposto appello, ottenuta una copia della suddetta sentenza munita di attestazione di irrevocabilità, la L. riassumeva il giudizio sospeso; all’udienza fissata per la sua prosecuzione in data 21 luglio 2017 le controparti però rappresentavano che in realtà la sentenza era stata impugnata e il relativo giudizio pendeva dinanzi alla Corte d’appello di Ancona come causa n. 376/2017 R.G.; il giudice istruttore, pertanto, confermava la sospensione.

Successivamente, la L. veniva a sapere che l’appello era stato proposto nei confronti di tutte le parti tranne i T., sue controparti nella causa n. 2806/2013 R.G.: circostanza, questa, che a suo avviso “faceva presumere che l’impugnazione fosse stata proposta per motivi estranei all’oggetto del “giudizio sospeso” “, il che avrebbe fatto venir meno i presupposti della sospensione. Ottenuto accesso al fascicolo d’appello, constatava che D.C.A.M. aveva in effetti proposto il gravame limitatamente all’operatività della polizza assicurativa, e che De.Ce.An. aveva proposto appello incidentale solo per il caso in cui Unipolsai avesse a sua volta proposto impugnazione incidentale anche quanto alla responsabilità dei D.C., dichiarando espressamente che tale appello incidentale sarebbe stato da considerare rinunciato nel caso in cui la compagnia assicuratrice non avesse invece contestato i relativi capi della sentenza. E la compagnia effettivamente non aveva proposto appello incidentale, costituendosi soltanto per resistere in ordine all’operatività della polizza. Pertanto, all’udienza del 15 ottobre 2019 celebrata davanti alla corte territoriale, la difesa di De.Ce.An. rinunciava all’appello incidentale.

Sulla base di tutto questo, la L. proponeva ancora nella causa n. 2806/2013 R.G. ricorso ex art. 297 c.p.c., reputando insorto il giudicato sulla “responsabilità delle parti in causa”, tanto più che “nel giudizio sospeso si discute anche sulla responsabilità dei… T. in ordine al rapporto di locazione”, questione estranea alla causa ritenuta pregiudiziale.

Senza fissare l’udienza di prosecuzione, il Tribunale rigettava l’istanza con il provvedimento del 12 novembre 2019 come sopra riportato.

3. Tanto premesso, il ricorso propone un unico motivo denunciante violazione dell’art. 295 c.p.c., ovvero della disciplina sulla sospensione necessaria.

Nell’istanza rigettata con il provvedimento qui impugnato, la L. adduce di avere richiamato giurisprudenza di questa Suprema Corte (tra cui S.U. 10027/2012), per la quale, quando tra due giudizi sussiste un rapporto di pregiudizialità e il giudizio pregiudicante viene definito con sentenza non passata in giudicato, è possibile la sospensione del giudizio pregiudicato soltanto ai sensi dell’art. 337 c.p.c., e ciò in base a una interpretazione sistematica, in cui incide pure l’art. 282 c.p.c.; ne desume che l’art. 295 c.p.c. si applica “al solo spazio temporale delimitato dalla contemporanea pendenza dei due giudizi in primo grado, senza che quello pregiudicante sia stato ancora deciso”.

Erroneo dunque sarebbe l’asserto del Tribunale nel senso della non pertinenza del richiamo all’art. 337 c.p.c. perchè la sentenza di primo grado non era anteriore alla sospensione, bensì sopravvenuta. Non pertinente sarebbe, infatti, proprio questa affermazione, in quanto la sospensione necessaria potrebbe sussistere solo finchè i due giudizi siano in primo grado pendenti, mentre, quando sopravvenga nel giudizio pregiudicante una sentenza non definitiva, la sospensione potrebbe eventualmente persistere, ma soltanto ai sensi dell’art. 337 c.p.c., comma 2, e previa revoca del provvedimento che l’aveva disposta quale sospensione necessaria in forza dell’art. 295 c.p.c.. Il Tribunale, pertanto, avrebbe dovuto semmai revocare l’ordinanza di sospensione ex art. 295 c.p.c. e poi provvedere, con “opportune motivazioni”, alla sospensione in forza dell’art. 337 c.p.c.. D’altronde, nota ad abundantiam la ricorrente, non sussisterebbero neppure gli elementi per sospendere ai sensi di quest’ultima norma.

Richiamato infine l’insegnamento di questa Suprema Corte relativo all’ammissibilità del regolamento necessario di competenza nei confronti del provvedimento che abbia respinto l’istanza di riassunzione ex art. 297 c.p.c., il ricorso conclude per l’annullamento del provvedimento impugnato.

4. Si è difeso con memoria D.C.A.M., in sintesi opponendo che, una volta sospesa la causa, tale deve rimanere fino al passaggio in giudicato della sentenza emessa nel giudizio pregiudicante.

Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso, e pertanto per la cassazione con rinvio del provvedimento del 12 novembre 2019 emesso dal Tribunale di Ancona.

5. Nel caso in esame, sussiste l’ammissibilità del regolamento di competenza in relazione al provvedimento relativo all’applicazione dell’art. 295 c.p.c.: come del tutto condivisibilmente insegna Cass. sez. 6-1, ord. 13 dicembre 2013 n. 27958, “è ammissibile il regolamento necessario di competenza nei confronti del provvedimento che abbia respinto l’istanza di riassunzione del processo sospeso, proposta ai sensi dell’art. 297 c.p.c., in quanto l’art. 42 c.p.c., pur essendo norma speciale, è suscettibile d’interpretazione estensiva a tale ipotesi, parimenti connotata dal vincolo di necessità della tempestiva riassunzione al fine di reagire contro un’abnorme quiescenza (al limite, “sine die”) del processo, non più giustificata dall’esigenza di un accertamento pregiudiziale, e che si porrebbe in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost.”.

6. Il nucleo della questione sottoposta con l’unico motivo risiede nel rapporto tra la sospensione necessaria e la sospensione facoltativa, nel senso che, ad avviso della ricorrente, la sospensione necessaria verrebbe meno, per dar luogo a un’eventuale sospensione facoltativa, qualora sia sopravvenuta nella causa pregiudicante una sentenza non ancora passata in giudicato.

Nel caso in esame, in effetti, è pacifico che la sospensione della causa pendente davanti al Tribunale di Ancona come n. 2806/2013 R.G. è stata disposta ai sensi dell’art. 295 c.p.c. anteriormente alla pronuncia di sentenza da parte dello stesso Tribunale nella causa reputata pregiudicante n. 540/2012 R.G. – cui era già stata riunita l’ulteriore causa n. 2080/2012 R.G. oggetto poi d’appello.

Il Tribunale ha rigettato l’istanza di prosecuzione ritenendo permanente la “situazione pregiudiziale sottesa all’adozione del provvedimento di sospensione” ex art. 295 c.p.c. fino al raggiungimento del giudicato nella controversia pregiudicante, e reputando applicabile l’art. 337 c.p.c. esclusivamente nel caso – qui non ricorrente – in cui sussista una sentenza non passata in giudicato che sia anteriore al provvedimento di sospensione.

E’ evidente, in tale concisa motivazione, il riferimento ai due contrapposti paradigmi qualificati sospensione necessaria e sospensione facoltativa. La divergenza tra questi viene indicata in modo apparentemente inequivoco dal dettato normativo: l’art. 295 è rubricato appunto come “Sospensione necessaria” e, prevedendo la sospensione del processo per la pregiudizialità di un’altra controversia in corso, indica come suo scopo il raggiungimento della “definizione” di quest’ultima; “definizione” che, per quanto concerne (anche) il rapporto tra cause civili – ovvero la fattispecie che qui interessa -, viene tradizionalmente intesa come tradotta/specificata in giudicato dall’art. 297 c.p.c., comma 1, che regola il riavvio del processo imponendo un termine perentorio di tre mesi decorrente “dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia”.

L’art. 337 c.p.c., “Sospensione dell’esecuzione e dei processi”, regola la sospensione dei processi nel comma 2, identificandone il presupposto nella sussistenza di una sentenza “invocata”, e non, quindi, in un rapporto soprassessorio di per sè, logicamente rendendo pertanto la sospensione l’oggetto di un potere discrezionale affidato al giudice in difetto di giudicato: “Quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata”.

7. La ricorrente, come si è visto, adduce che, anche qualora non vi fosse stata alcuna sentenza quando fu disposta la sospensione – id est, anche qualora fu disposta una sospensione “necessaria” ex art. 295 c.p.c. la sopravvenienza di una sentenza non ancora costituente giudicato venga ad elidere i presupposti della effettuata sospensione necessaria, imponendo l’accoglimento dell’istanza di riassunzione/prosecuzione, salva la discrezionalità sospensiva preservata al giudice della causa pregiudicata dall’art. 337 c.p.c., comma 2.

Questa interpretazione, per così dire, espansiva della sospensione facoltativa e, in corrispondente misura, riduttiva degli effetti della sospensione necessaria, è tratta da un intervento nomofilattico non particolarmente risalente – S.U. 19 giugno 2012 n. 10027 -, il quale conduce anche il Procuratore Generale ad aderire alla prospettazione della ricorrente.

S.U. 19 giugno 2012 n. 10027 è stata massimata come segue:

“Salvi soltanto i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica ed in modo che debba attendersi che sulla causa pregiudicante sia pronunciata sentenza passata in giudicato, quando fra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, è possibile la sospensione del giudizio pregiudicato soltanto ai sensi dell’art. 337 c.p.c., come si trae dall’interpretazione sistematica della disciplina del processo, in cui un ruolo decisivo riveste l’art. 282 c.p.c.: il diritto pronunciato dal giudice di primo grado, invero, qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario di lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado. Pertanto, allorchè penda, in grado di appello, sia il giudizio in cui è stata pronunciata una sentenza su causa di riconoscimento di paternità naturale e che l’abbia dichiarata, sia il giudizio che su tale base abbia accolto la domanda di petizione di eredità, ed entrambe le sentenze siano state impugnate, il secondo giudizio non deve di necessità essere sospeso, in attesa che nel primo si formi la cosa giudicata sulla dichiarazione di paternità naturale, ma può esserlo, ai sensi dell’art. 337 c.p.c., se il giudice del secondo giudizio non intenda riconoscere l’autorità dell’altra decisione.”

Dalla motivazione emerge con superiore chiarezza che l’interpretazione qui offerta dal giudice nomofilattico incide non solo sulla fattispecie di cui all’art. 337 c.p.c., comma 2, come attinente ad una sentenza invocata – nel senso di preesistente – in un altro giudizio, bensì innesta il paradigma di tale norma pure nei casi insorti dall’applicazione in senso positivo dell’art. 295 c.p.c..

8. La questione che era stata sottoposta alle Sezioni Unite con regolamento necessario di competenza avverso un’ordinanza di sospensione ex articolo emessa dal giudice di appello riguardava, in effetti, una fattispecie in cui era già stata pronunciata sentenza nella causa pregiudicante, per cui evidente era l’erroneità dell’applicazione dell’art. 295 c.p.c. in luogo dell’art. 337 c.p.c., comma 2 (la motivazione riassume infatti nel senso che si trattava “di stabilire se, pendendo in grado di appello sia il giudizio in cui è stata pronunciata una sentenza su causa di riconoscimento di paternità naturale e che l’abbia dichiarata, sia il giudizio che su tale base ha accolto domanda di petizione di eredità, impugnate dai convenuti entrambe le sentenze, il secondo giudizio debba essere sospeso in attesa che nel primo si formi la cosa giudicata sulla dichiarazione di paternità naturale o invece possa proseguire ovvero non debba essere sospeso necessariamente, ma solo possa esserlo se il giudice del secondo giudizio non intenda riconoscere l’autorità dell’altra decisione”).

Le Sezioni Unite hanno preso le mosse da quello che hanno definito “consolidato orientamento della giurisprudenza della Corte che le ipotesi di contemporanea pendenza davanti a due diversi giudici del giudizio sul se dovuto e di quello sul quanto dovuto non comporta che il secondo debba rimanere sospeso in attesa della decisione del primo e che, per converso, quante volte nel primo sia pronunciata una sentenza che afferma esistente il diritto, il giudice del secondo giudizio possa porre a base della propria decisione ciò che è già stato deciso, ancorchè la sentenza sia stata impugnata, l’alternativa essendo per contro quella di sospendere il giudizio di liquidazione”. Con siffatta decisione S.U. ord. 27 luglio 2004 n. 14060 “ha così assegnato questa relazione tra processi all’area di applicazione dell’art. 337 c.p.c. dicendola per contro sottratta all’area dell’art. 295…”; e ciò “facendo propri in larga misura gli argomenti svolti in precedenza nella sentenza 25.5.1996 n. 4844 incentrati su una lettura restrittiva dell’istituto della sospensione necessaria”: questa infatti “determina l’arresto del processo dipendente per un tempo indeterminato e certamente non breve, poichè la paralisi del processo è destinata a protrarsi fino al passaggio in giudicato della decisione sulla causa pregiudiziale (art. 297 c.p.c., comma 1), onde evitare il rischio di conflitto tra giudicati”, ma in tal modo, per realizzare il “valore processuale dell’armonia” di essi, giungendo a sacrificare “il valore processuale della sollecita definizione dei giudizi”. Questo precedente arresto – rimarca ancora la pronuncia del 2012 aveva altresì messo in rilievo “una serie di interventi normativi – tra gli altri il ridimensionamento in senso restrittivo della pregiudizialità penale (espunto dallo stesso precedente testo dell’art. 295 c.p.c.) e la modifica dell’art. 42 c.p.c. (con l’estensione del regolamento necessario di competenza all’intera area dei provvedimenti applicativi della sospensione del processo)” che “stava a dimostrare l’emanazione di una linea di tendenza sfavorevole alla sospensione”, reputando altresì che la sopravvenuta novellazione dell’art. 111 Cost. “doveva essere considerata determinante nel senso di imporre una lettura restrittiva dell’art. 295 c.p.c.”.

Osserva quindi l’intervento nomofilattico del 2012 che nel suddetto caso le Sezioni Unite “non avevano avuto ragione di porre in discussione l’ambito di applicazione dell’art. 295 c.p.c. sino ad allora riconosciuto, ambito costituito dai casi di cosiddetta pregiudizialità tecnica, in cui, per legge o volontà delle parti che ne chiedono l’accertamento in via principale, un certo fatto o rapporto, che va dunque accertato con efficacia di giudicato, si pone a sua volta come fatto costitutivo o per conto impeditivo di un diritto sostanziale o processuale controverso od esercitato in altro giudizio. Situazione processuale in cui il giudizio dipendente – secondo tale orientamento – sarebbe stato destinato a restare sospeso sino al sopravvenire del passaggio in giudicato della sentenza destinata a giudicare dal rapporto pregiudicante”; orientamento non modificatosi “almeno nei termini generali” neanche nel tempo intercorso tra l’ordinanza n. 14060/2004 e la sentenza n. 10027/2012.

9. Le Sezioni Unite del 2012, allora, invocano il “ruolo decisivo” della “interpretazione sistematica della disciplina del processo” nel vigente testo dell’art. 282 c.p.c.:

“Col riconoscere provvisoria esecutività tra le parti alla sentenza di primo grado il legislatore ha determinato una cesura tra la posizione delle parti in controversia tra loro nel giudizio di primo grado – che è tendenzialmente paritaria e solo provvisoriamente alterabile da misure anticipatorie o cautelari e la situazione in cui le stesse parti vengono poste dalla decisione del giudice di primo grado, che, conosciuta la controversia, dichiara lo stato del diritto tra loro.

L’ordinamento, anche allo scopo di scoraggiare il protrarsi della lite, che al contrario risulterebbe favorito, se all’impugnazione si attribuisse l’effetto d’un ripristino delle posizioni di partenza, proclama il valore del modo di composizione della controversia, che è dichiarato conforme al diritto dal giudice, terzo ed imparziale (art. 111 Cost., comma 2).

Il diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario di lite e giustifica sia l’esecuzione provvisoria, quando a quel diritto si tratti di adeguare la realtà materiale, sia l’autorità della sentenza di primo grado nell’ambito della relazione tra lite sulla causa pregiudiziale e lite sulla causa pregiudicata.

Salvo che l’ordinamento non esprima in casi specifici una valutazione diversa, imponendo che la composizione della lite pregiudicata debba attendere il giudicato sull’elemento di connessione tra le situazioni giuridiche collegate e controversie, è da intendere che sia ancora al giudice che l’ordinamento rimetta, graduandolo in vario modo, il compito di valutare, tenuto conto degli elementi in base ai quali la controversia è riaperta attraverso l’impugnazione, se l’efficacia della sentenza pronunciata sulla lite pregiudicante debba essere sospesa (art. 283 c.p.c.) o se la sua autorità debba essere provvisoriamente rifiutata (art. 337 c.p.c., comma 2) in questo caso attribuendo al giudice del giudizio sulla lite pregiudicata il potere di sospenderlo…”.

Richiamata poi la sentenza n. 182/1996 della Consulta che aveva rilevato il “disfavore verso il fenomeno sospensivo in quanto tale, espresso dal legislatore, con la riforma del 1990, soffermandosi sugli orientamenti restrittivi che s’erano manifestati nella giurisprudenza di legittimità al riguardo della precedente interpretazione dell’art. 295 c.p.c.”, il giudice nomofilattico perviene a quella che qualifica “una considerazione conclusiva”:

“Da un punto di vista logico l’istituto processuale della sospensione necessaria è costruito su questi presupposti: la rilevazione del rapporto di dipendenza che si effettua ponendo a raffronto gli elementi fondanti delle due cause, quella pregiudicante e quella in tesi pregiudicata; la conseguente necessità che i fatti siano conosciuti e giudicati secondo diritto nello stesso modo; lo stato di incertezza in cui il giudizio su quei fatti versa, perchè controversi tra le parti.

L’idoneità della decisione sulla causa pregiudicante a condizionare quella della causa che ne dipende giustifica allora che questa causa resti sospesa a prescindere dal segno che potrà avere la decisione sull’altra.

Lo impone prima di tutto l’esigenza che il sistema giudiziario non sia gravato dalla duplicazione dell’attività di cognizione nei due processi pendenti.

Ma quando nel processo sulla causa pregiudicante la decisione è sopravvenuta, quello sulla causa pregiudicata è in grado di riprendere il suo corso, perchè ormai il sistema giudiziario è in grado di pervenire al giudizio sulla causa pregiudicata fondandolo sull’accertamento che sulla questione comune alle due cause si è potuto raggiungere nell’altro processo tra le stesse parti, attraverso l’esercizio della giurisdizione.

Non dipende più da esigenze di ordine logico che il processo sulla causa dipendente resti sospeso.

La duplice connessa circostanza che la decisione del primo giudice giustifichi a questo punto il passaggio alla sua esecuzione coattiva se pur provvisoria e il correlativo progressivo restringersi degli elementi di novità suscettibili di essere introdotti nel giudizio di impugnazione consente di ritenere che l’ordinamento si appaghi ora in linea generale del risparmio di attività istruttoria e preferisca all’attesa del giudicato la possibilità che il processo sulla causa dipendente riprenda assumendo a suo fondamento la decisione, ancorchè suscettibile di impugnazione, che si è avuta sulla causa pregiudicante, perchè, come si è detto, essendo il risultato di un accertamento in contraddittorio e provenendo dal giudice, giustifica la presunzione di conformità a diritto.

L’istituto della sospensione necessaria ha così esaurito i suoi effetti.

Il rapporto di dipendenza tra le cause però resta e se la controversia si riaccende nei gradi di impugnazione, spetterà ora alla valutazione del giudice della causa dipendente decidere se mantenere in stato di sospensione il processo di cui una delle parti abbia sollecitato la ripresa.

E la valutazione andrà fatta sulla base della plausibile controvertibilità che il confronto tra la decisione intervenuta e la critica che ne è stata svolta abbia fatto emergere.”

10. E’ a questo punto che la pronuncia del 2012 si raffronta con quella che può agevolmente definirsi norma integrativa dell’art. 295 c.p.c., ovvero l’art. 297 c.p.c., che menziona espressamente il giudicato, così esprimendosi:

“Questa impostazione non trova ostacolo nella lettera della disposizione ora contenuta nell’art. 295c c.p.c., che, mentre attribuisce al giudice della causa pregiudicata il potere di sospenderne il giudizio, perchè la sua decisione dipende da quella di altra causa, pendente davanti ad altro giudice od anche davanti a sè, tuttavia non indica quale sia il termine ultimo della sospensione che è così da ordinare.

Nè trova ostacolo nella disposizione dell’art. 297 c.p.c., che dal canto suo sopporta un’interpretazione – del resto formulata in dottrina – per cui il passaggio in giudicato della sentenza resa sulla causa pregiudicante segna non già il termine di durata della sospensione, ma solo quello di inizio della decorrenza del termine ultimo oltre il quale il giudizio sulla causa pregiudicata si estingue (art. 307 c.p.c., comma 3), se nessuna delle parti abbia assunto l’iniziativa richiesta per farlo proseguire.

La sopravvenienza della decisione di primo grado sulla lite pregiudiziale, pur suscettibile di impugnazione od impugnata, può giustificare che le parti ne attendano la decisione definitiva, ma non impedisce che chi ne rivendichi l’autorità solleciti la prosecuzione del processo, anche se il giudice potrà di nuovo farsi a sospenderlo, ma ora sulla base di una specifica valutazione”.

11. Premesso che questa pronuncia è stata oggetto di particolare attenzione dottrinale – e anche in senso critico -, deve invece darsi atto del suo mancato “assorbimento” nella giurisprudenza di legittimità successiva in riferimento agli effetti della sospensione necessaria, mentre è stata ben inserita in quella consolidata – relativa alla sospensione facoltativa.

In particolare, è proseguita la linea agevolmente evincibile dall’art. 337 c.p.c., comma 2, nel senso che qualora la pregiudizialità venga prospettata rispetto ad una causa in cui sia già stata antecedentemente pronunciata una sentenza il giudice può sospendere come facoltà prevista da tale norma, ma illegittima è l’applicazione dell’art. 295 c.p.c. (tra gli arresti massimati, v. Cass. sez. L, ord. 4 gennaio 2019 n. 80 – che riporta ampiamente in motivazione gli argomenti di S.U. 10027/2012, ma tratta un caso di pregiudizialità esclusivamente logica, e quindi privo dei presupposti di cui all’art. 295 c.p.c. -, Cass. sez. 6 – 2, ord. 2018 n. 17936 – invocata anche dal Procuratore Generale ma in realtà relativa a un caso di sospensione disposta per la prima volta a sentenza già sussistente della causa presupposta, ovvero di sospensione ab origine facoltativa – nonchè le conformi Cass. sez. 6-1, ord. 3 novembre 2017 n. 26251, Cass. sez. 6-1, ord. 7 luglio 2016 n. 13823, Cass. sez. 6-L, ord. 20 gennaio 2015 n. 798, Cass. sez. 6-1, ord. 18 marzo 2014 n. 6207, Cass. sez. 6-3, ord. 15 gennaio 2014 n. 674, Cass. sez. 6-3, ord. 19 settembre 2013 n. 21505, Cass. sez. 6-3, ord. 24 maggio 2013 n. 13035 e Cass. sez. 6-3, ord.9 gennaio 2013 n. 375).

12. Parimenti, è proseguita in netta maggioranza anche la linea tradizionale relativa alla sospensione necessaria.

Unica, tra le pronunce massimate, ad applicare lo scioglimento dall’attesa del giudicato nella fattispecie di sospensione, ab origine correttamente disposta, ex art. 295 c.p.c. appare Cass. sez. 6-2, 18 novembre 2013 n. 25890: “In tema di sospensione necessaria del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per spese condominiali, quando relativamente alla causa pregiudicante sia intervenuta la sentenza di primo grado, dichiarativa della nullità della delibera in forza del quale il decreto sia stato emesso, non può disporsi – a fronte dell’istanza di prosecuzione della parte opponente – il mantenimento della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., ferma la possibilità per il giudice di sospendere il processo dipendente ai sensi dell’art. 337 c.p.c., sulla base di una valutazione della plausibile controvertibilità che il confronto tra la decisione intervenuta e la critica svolta con l’atto di appello abbia fatto emergere.”

Varie altre pronunce, pur senza interpretare esplicitamente S.U. 10027/2012, hanno invece proseguito come reputandolo contenente un obiter dictum quanto alla fattispecie ex art. 295 c.p.c., e quindi hanno aderito alla tradizionale finalizzazione della sospensione necessaria ad ottenere il giudicato della causa pregiudicante, così da impedire il conflitto dei giudicati.

Tra le massimate si vedano, per esempio: Cass. sez.6-1, ord. 25 agosto 2020 n. 17623 (“La sospensione del processo ex art. 337 c.p.c., comma 2, è solo facoltativa, perchè può essere disposta in presenza di un rapporto di pregiudizialità in senso lato tra la causa pregiudicante e quella pregiudicata, senza che la statuizione assunta nella prima abbia effetto di giudicato nella seconda, nè richiede che le parti dei due giudizi siano identiche, mentre quella disciplinata dall’art. 295 c.p.c. è sempre necessaria, essendo finalizzata ad evitare il contrasto tra giudicati nei casi di pregiudizialità in senso stretto e presuppone altresì l’identità delle parti dei procedimenti.”); Cass. sez. 3, ord. 24 gennaio 2020 n. 1580 (“Durante la sospensione del processo non possono essere compiuti, ai sensi dell’art. 298 c.p.c., comma 1, atti del procedimento, con la conseguenza che è inefficace, poichè funzionalmente inidonea a provocare la riattivazione del giudizio e motivo di nullità per derivazione di tutti gli eventuali atti successivi, l’istanza di riassunzione proposta prima della cessazione della causa di sospensione, ovvero anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza che abbia definito la controversia pregiudiziale, senza che rilevi, al fine del superamento di detta sanzione, il sopravvenuto venire meno della medesima causa.” – conforme a Cass. sez. 2, 14 febbraio 2013 n. 3718 -); Cass. sez. 6-3, ord. 26 settembre 2019 n. 23989 – la quale rimarca che anche d’ufficio deve essere disposta sospensione necessaria quando sussista nella decisione della causa pregiudicante “portata pregiudiziale in senso stretto, e cioè vincolante, con effetto di giudicato, all’interno della causa pregiudicata” – così in motivazione -, in tal modo, come recita poi la massima, “rispondendo all’esigenza, di ordine pubblico, di evitare il conflitto di giudicati”; aveva espresso tale portata vincolante nel senso di giudicato pure Cass. sez.6-3, ord. 6 novembre 2015 n. 22784 (la quale, a sua volta confermando Cass. sez. 6-3, ord.9 dicembre 2011 n. 26469, anteriore all’intervento delle Sezioni Unite del 2012, afferma che la sospensione ex art. 295 c.p.c. presuppone una necessaria pregiudizialità, sussistente se nel giudizio tra le medesime parti della causa pregiudicata deve emettersi una pronuncia di portata vincolante, ovvero destinata a spiegare efficacia di giudicato, all’interno della causa pregiudicata) -; Cass. sez. 1, 15 maggio 2019 n. 12999 (“La sospensione necessaria del giudizio, ex art. 295 c.p.c., ha lo scopo di evitare il conflitto di giudicati, sicchè può trovare applicazione solo quando in altro giudizio debba essere decisa con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale in senso tecnico-giuridico, non anche qualora oggetto dell’altra controversia sia una questione pregiudiziale soltanto in senso logico, soccorrendo in tal caso la previsione dell’art. 336 c.p.c., comma 2, sul cd. effetto espansivo esterno della riforma o della cassazione di una sentenza sugli atti e i provvedimenti (comprese le sentenze) dipendenti dalla sentenza riformata o cassata.”); Cass. sez. L, 16 marzo 2016 n. 5229 (“La sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. presuppone che tra due cause, pendenti dinanzi allo stesso giudice o a due giudici diversi, esista un nesso di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico e non già in senso meramente logico, atteso che la “ratio” dell’istituto è quella di evitare il rischio di un conflitto tra giudicati.”); Cass. sez. 6-3, ord. 20 marzo 2014 n. 4038 (che esclude il rapporto di pregiudizialità ai fini della sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. qualora non sia effettuabile accertamento con efficacia di giudicato); Cass. sez. 6-1, ord. 24 settembre 2013 n. 21794 (“La sospensione necessaria del processo può essere disposta, a norma dell’art. 295 c.p.c., quando la decisione del medesimodipenda dall’esito di altra causa, nel senso che questo abbia portata pregiudiziale in senso stretto, e cioè vincolante, con effetto di giudicato, all’interno della causa pregiudicata, ovvero che una situazione sostanziale rappresenti fatto costitutivo, o comunque elemento fondante della fattispecie di altra situazione sostanziale, sicchè occorra garantire uniformità di giudicati, essendo la decisione del processo principale idonea a definire, in tutto o in parte, il “thema decidendum” del processo pregiudicato.”); Cass. sez. 6-1, ord. 7 settembre 2012 n. 15053 (“La sospensione necessaria del processo civile, a norma dell’art. 295 c.p.c., può disporsi solo se imposta da un’esplicita norma di legge, ovvero quando la definizione di una controversia costituisca l’indispensabile antecedente logico e giuridico dell’altra, di cui sia richiesto l’accertamento con efficacia di giudicato.”).

Appare agevolmente sostenibile che per tale mainstream l’effetto della sospensione è l’attesa del giudicato, e non di un giudicato potenziale, id est di una mera sentenza, come invece pare prospettare S.U. 10027/2012.

13. L’attuale interpretazione giurisprudenziale, dunque, non ravvisa nel sistema uno sfavore verso la sospensione che la intenda come un elemento rallentatore del processo, e dunque non conforme al novellato art. 111 Cost., o comunque un simile sfavore di livello tale da sovrastare il tradizionale valore dell’armonia dei giudicati creando una presunzione di giusto accertamento non appena viene emessa una pronuncia non ancora qualificabile giudicato (ciò che, appunto, S.U. 10027/2012 definisce “presunzione di conformità a diritto”). Al contrario, vi ravvisa proprio uno strumento di – per così dire – risparmio processuale, che quindi ha effetti semplificatori.

Il fondamento dell’interpretazione dell’arresto del 2012 per “disinnescare” poi il blocco del processo quando arriva una sentenza, a ben guardare, non viene rinvenuto nell’art. 295 c.p.c., bensì nell’art. 297 c.p.c., comma 1, poichè è questa la norma che inserisce l’espresso riferimento al giudicato, tradizionalmente attribuendone lo spessore alla “definizione” indicata dall’art. 295 c.p.c.. Peraltro, l’arresto si è limitato ad affermare che l’art. 297 c.p.c. “sopporta un’interpretazione – del resto formulata in dottrina – per cui il passaggio in giudicato della sentenza resa sulla causa pregiudicante segna non già il termine di durata della sospensione, ma solo quello di inizio della decorrenza del termine ultimo oltre il quale il giudizio sulla causa pregiudicata si estingue (art. 307 c.p.c., comma 3), se nessuna delle parti abbia assunto l’iniziativa richiesta per farlo proseguire.”.

Un approfondimento sarebbe qui auspicabile, per chiarire perchè proprio questa interpretazione che la norma “sopporta” – vale a dire, una delle interpretazioni possibili – debba essere eletta, ed al contrario debba ritenersi erronea l’interpretazione che non vi legge esclusivamente una misura temporale, tra l’altro potenzialmente assai varia. E ciò anche in riferimento a quanto l’arresto prospetta nell’immediato prosieguo: “La sopravvenienza della decisione di primo grado sulla lite pregiudiziale, pur suscettibile di impugnazione od impugnata, può giustificare che le parti ne attendano la decisione definitiva, ma non impedisce che chi ne rivendichi l’autorità solleciti la prosecuzione del processo, anche se il giudice potrà di nuovo farsi a sospenderlo, ma ora sulla base di una specifica valutazione”.

Invero, interpretando il riferimento al giudicato presente nell’art. 297 c.p.c., comma 1, solo come indice temporale – e non più “contenutistico” – ai fini della riassunzione si introduce un potere dispositivo delle parti non distante proprio da a quello anteriore alla riforma del 1990: le parti infatti potranno decidere di attendere il giudicato, o di attenderlo per una certa misura temporale, o comunque anche mutare per sopravvenute ragioni la loro volontà di attesa. Evitare il conflitto di giudicati a questo punto si trasforma in una scelta delle parti – che possono tra loro concordare l’attesa -, la valutazione affidata poi al giudice ai sensi dell’art. 337 c.p.c., comma 2, potendosi qualificare una mera eventualità, in quanto richiedente come presupposto una scelta di riassunzione. L’impulso processuale condiziona così il paradigma del giudicato nella pregiudizialità.

Potrebbe anche sostenersi che proprio il non essere stata condotta ad una reale completezza l’interpretazione in riferimento all’art. 297 c.p.c., comma 1, abbia – nonostante l’ampiezza delle precedenti considerazioni, di natura peraltro generale – portato le successive pronunce delle sezioni semplici a percepire questo settore motivazionale di S.U. 10027/2012 come un obiter dictum. Comunque, considerata appunto pure la permanenza, già evidenziata, della lettura dell’art. 297 c.p.c. da parte delle sezioni semplici come statuente un obbligo (e quindi non un potere dispositivo delle parti, nè una discrezionalità del giudice) di attesa del giudicato in caso di sospensione necessaria, questo collegio ritiene che nell’interpretazione della endiadi composta dagli artt. 295 e 297 c.p.c. sussista quantomeno una questione di massima di particolare importanza, che giustifichi, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., la rimessione al Primo Presidente di questa Suprema Corte per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

P.Q.M.

Rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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