Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.365 del 13/01/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 8623/2016 proposto da:

DEUTSCHE BANK s.p.a., in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic. presso l’avv. Stefano D’Ercole, il quale la rappres. e difende con procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

S.G., elett.te domic. presso l’avv. Stefano Greco, rappres. e difeso dagli avv.ti Angelo Castelli, e Antonio Fargiorgio, con procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1395/15 emessa dalla Corte d’appello di Roma, depositata il 27.2.15;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 07/07/2020 dal Consigliere rel., Dott. CAIAZZO ROSARIO.

RILEVATO

Che:

S.G. convenne innanzi al Tribunale di Roma la Deutsche Bank e la Consob e, premesso di aver investito, per il tramite della banca convenuta, la somma di Euro 78.097,40 in obbligazioni della Repubblica Argentina e di aver subito danni per l’insolvenza dello stato estero, chiedeva accertarsi la nullità o pronunciarsi l’annullamento del contratto d’investimento per vizio della volontà con conseguente condanna dei convenuti al risarcimento dei danni. Con sentenza del 2008 il Tribunale di Roma condannò la banca al pagamento della somma di Euro 103.547,01, rigettando le altre domande.

Avverso tale decisione propose appello la banca; si costituì l’appellato, eccependo l’inammissibilità dell’appello per la mancata adozione del rito societario.

Con sentenza del 27.2.15 la Corte d’appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello, riformando la sentenza di primo grado, condannò la banca al pagamento della somma di Euro 58.573,05 oltre rivalutazione, osservando che: era infondata la critica afferente alla mancata adozione del rito societario; era infondata l’eccezione di difetto di legittimazione del S. – in quanto le obbligazioni acquistate risultavano depositate sul dossier cointestato con O.N. – poichè essendo applicabile l’art. 1854 c.c., il saldo del conto non poteva costituire credito contratto nell’interesse esclusivo di alcuno dei contitolari del credito stesso, ai sensi dell’art. 1298 c.c., comma 1, poichè ciò contrasterebbe con la funzione del contratto di conto corrente bancario il quale è finalizzato all’espletamento del servizio di cassa nell’interesse di tutti i contitolari che dunque possono liberamente disporne dal lato attivo; nel caso concreto tali principi erano altresì di indubbia applicazione, anche considerando che il contitolare del conto aveva esercitato un’azione risarcitoria che non avrebbe potuto pregiudicare i diritti dell’altro cointestatario; la banca aveva violato i propri obblighi in quanto il dovere informativo non poteva dirsi integrato dalla consegna del documento sui rischi connessi, in via generale, all’acquisto dei titoli di Stato di paesi emergenti, non sovrapponibile al diverso e più specifico obbligo d’informazione sulle caratteristiche della singola operazione al fine di consentire una scelta d’investimento consapevole; la condotta omissiva della banca era contraria ai doveri normativi e regolamentari, posto che la situazione economica dell’Argentina avrebbe potuto essere desunta dalla cd. circular offering del 31.12.99 e, soprattutto, dalla nota integrativa ex art. 57, comma 2, del reg. Consob 11971/99 di tal che l’intermediario appellante avrebbe potuto e dovuto informare l’appellato dell’elevato rischio segnalato dall’organo di vigilanza; l’operazione di acquisto dei titoli era inadeguata, essendo al riguardo irrilevante la dichiarazione ricevuta dall’investitore sulla sua propensione al rischio poichè i relativi moduli erano stati sottoscritti, l’uno dopo l’acquisto dei titoli e l’altro dopo il default dello Stato argentino, e considerato che la non adeguatezza degli investimenti deve essere comunque segnalata dagli intermediari i quali devono fornire chiare informazioni anche delle ragioni per cui non è opportuno procedere all’esecuzione degli investimenti cui è possibile dare corso solo sulla base di un ordine impartito per iscritto; era invece fondato il motivo d’appello riguardante la liquidazione del danno in quanto era fatto notorio che le obbligazioni in questione avessero conservato un valore effettivo pari al 25% di quello nominale e non era contestato l’accredito delle cedole per Euro 7000,00.

La Deutsche Bank ricorre in cassazione con tre motivi, illustrati con memoria.

Resiste S.G. con controricorso.

RITENUTO

Che:

Preliminarmente, il collegio ritiene di adottare la forma semplificata di motivazione.

Con il primo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1298 e 1854 c.c., avendo la Corte d’appello erroneamente ritenuto che il S. fosse legittimato all’azione per l’intera somma investita in obbligazioni, invece che per la quota del 50%, essendo gli intestatari del conto creditori e debitori in solido dei saldi del conto che si presume dunque appartenente in parti uguali ai due cointestatari.

Il motivo è infondato, quantunque occorra adottare una motivazione diversa da quella formulata dal giudice d’appello. L’art. 1854 c.c., prevede la solidarietà attiva e passiva quanto al saldo del conto corrente; nella specie, invece, l’azione non aveva ad oggetto il saldo del conto deposito-titoli, bensì la responsabilità della banca intermediaria per violazione degli obblighi informativi, tradottasi in una perdita dell’investimento. Tale azione è dunque diversa dalla pretesa relativa al saldo (o al giusto saldo) del conto corrente, e dunque non è disciplinata dall’art. 1854 c.c.. La legittimazione all’esercizio della stessa trova base nel principio secondo cui legittimato all’azione di responsabilità è il soggetto danneggiato; dunque, nel caso di danno derivante dalla sottoscrizione di un investimento finanziario, il soggetto che lo ha sottoscritto. Nella specie, la stessa banca ricorrente afferma (a pagina 9 del ricorso) che unico sottoscrittore del contratto d’investimento era l’attore, al quale dunque spetta la piena legittimazione ad agire per far valere la responsabilità dell’intermediaria.

Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 2697 c.c., D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, lett. a) e b), artt. 28 e 29 reg. Consob n. 11522/98, avendo la Corte d’appello ritenuto che la banca non avesse osservato gli obblighi informativi gravanti sugli intermediari. Al riguardo, il ricorrente si duole che: 1) la Corte territoriale abbia ritenuto la conoscenza, o conoscibilità, da parte della banca convenuta, dell’inaffidabilità dei titoli acquistati sulla base dell’esame di alcuni documenti (la cd. circular offering e la nota integrativa ex art. 57, comma 2, reg. Consob n. 11971/1999) che non erano stati prodotti in giudizio, la cui allegazione sarebbe stata onere del S., e la cui cognizione non poteva rientrare nel fatto notorio, come invece affermato dal giudice di secondo grado; a giugno del 2000 il default dell’Argentina non era prevedibile, considerando altresì che fino ai primi mesi del 2001 le principali agenzie internazionali di rating avevano classificato i relativi titoli di Stato nell’ambito dell’investment grade – con rating BB-, mentre un primo parziale declassamento si registrò nella primavera del 2001, cui ne seguirono ulteriori, nei mesi di luglio e ottobre dello stesso anno; era dunque da escludere che, all’atto dell’investimento in esame, la banca disponesse di dati attendibili da cui desumere una elevata affidabilità dei titoli acquistati; la Corte d’appello non abbia tenuto conto del fatto che il S. fu informato dei rischi inerenti alle obbligazioni e che tale punto era stato oggetto dei capitoli di prova testimoniali non ammessi perchè generici; era mancata la motivazione sul rilievo che le carenze informative avrebbero avuto sulle scelte d’investimento dell’attore, sulle pregresse scelte e sull’esperienza maturata da quest’ultimo in ambito finanziario; la Corte d’appello aveva ritenuto che l’investimento fosse inadeguato in relazione allo specifico profilo di rischio del cliente, senza considerare il portafoglio-titoli del cliente e la sua pregressa esperienza finanziaria da cui si desumeva che l’acquisto delle obbligazioni argentine era avvenuto con l’impiego di somme disinvestite da un fondo più speculativo; la motivazione è contraddittoria nella parte in cui da atto che i bond argentini costituivano solo una ridotta percentuale del portafoglio rientrando in un’ottica di diversificazione.

Il motivo è fondato, in ordine alla doglianza relativa all’omessa produzione dei documenti dimostrativi della critica situazione economica dello Stato argentino al momento dell’acquisto dei titoli, atteso che la sentenza impugnata non precisa se i documenti predetti (la cd. circular offering e la nota integrativa ex art. 57, comma 2, reg. Consob n. 11971/1999) – e sui quali si basa in maniera decisiva, anzi pressochè esclusiva, la motivazione sul punto della sentenza impugnata – siano stati acquisiti agli atti, nè li qualifica come notori, e nello stesso controricorso non viene smentita l’affermazione della ricorrente secondo cui essi non erano stati prodotti agli atti di causa. Nell’accoglimento di tale primo profilo di censura sono da considerare assorbiti i restanti profili di censura articolati con il medesimo mezzo, e cioè: la deduzione che all’epoca dell’acquisto delle obbligazioni argentine non era nota la rischiosità dei titoli; la deduzione del puntuale assolvimento degli obblighi informativi verso l’investitore da parte della banca; la contestazione della affermata (dalla Corte d’appello) inidoneità dei capitoli di prova dedotti dalla banca; la contestazione della inadeguatezza dell’investimento al profilo di rischio dell’investitore.

Con il terzo motivo si deduce che la sentenza impugnata abbia erroneamente accertato, in via presuntiva, il nesso di causalità tra il preteso inadempimento dell’intermediario e l’evento di danno all’investitore, derivato dall’inosservanza degli obblighi informativi, ex artt. 28 e 29 reg. Consob, mentre il relativo onere gravava sull’investitore il quale non aveva però dimostrato che, qualora specificamente informato del rischio dell’investimento, si sarebbe astenuto dall’acquisto. Inoltre, il ricorrente lamenta che: quantunque si ritenesse provato il rapporto di causalità tra l’inadempimento dell’intermediario e il danno subito dal cliente, esso sarebbe stato reciso dalla condotta dello stesso investitore il quale aveva dato esecuzione al contratto, percependo le cedole per quasi due anni prima di promuovere il giudizio; la Corte d’appello aveva omesso di considerare, in tema di entità del danno risarcibile, il rilievo assunto dalla condotta serbata dal cliente il quale, una volta percepita la rischiosità del titolo, non li ha venduti tempestivamente; la Corte territoriale aveva quantificato il valore residuo dei titoli affidandosi ad un dato storico senza disporre una c.t.u., non tenendo conto dell’effettivo valore di mercato (90% del valore nominale); il maggior danno da svalutazione non poteva presumersi, non risultando che nel periodo in esame il saggio medio di rendimento dei titoli di Stato, con scadenza non superiore a 12 mesi, avesse superato il tasso d’interesse legale, nè era stato provato che il S., una volta disposto della somma, l’avrebbe investita in titoli di Stato.

Tale motivo deve ritenersi assorbito dall’accoglimento del secondo, considerato il suo carattere logicamente preliminare rispetto alle doglianze in esame.

Per quanto esposto, in accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma, anche per le spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, infondato il primo ed assorbito il terzo.

Rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472