Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.366 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23697/2018 proposto da:

***** s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, C.R., D.A.R., elettivamente domiciliati in Roma, piazza Barberini n. 12, presso lo studio dell’avvocato Gianvito Giannelli, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Francesco Fimmanò, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Fallimento della ***** s.r.l. e la ***** s.n.c. nonchè del socio illimitatamente responsabile, ***** s.n.c. e dei soci illimitatamente responsabili C.R., D.A.R., in persona del curatore prof. avv. Giampiero Balena, elettivamente domiciliati in Roma, via Giuseppe Mazzini n. 73, presso lo studio dell’avvocato Michele Castellano, che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

contro

Acciaieria Arvedi s.p.a.; Foamglas Italia s.r.l.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 332/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 21/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/09/2020 dal Cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NARDECCHIA Giovanni Battista, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso in quanto tardivo ovvero in subordine il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1.- Con istanza L. Fall., ex art. 147, comma 5, il curatore del Fallimento della s.r.l. ***** ha chiesto al Tribunale di Bari di dichiarare il fallimento della società di fatto corrente tra la società già fallita e la s.n.c. *****, nonchè di quest’ultima e dei suoi soci illimitatamente responsabili, C.R. e D.A.R..

Con sentenza depositata nel marzo 2015, il Tribunale ha accolto le richieste formulate dal curatore di *****.

2.- La s.n.c. ***** e i suoi soci illimitatamente responsabili hanno presentato reclamo L. Fall., ex art. 18, avanti alla Corte di Appello di Bari. Che lo ha rigettato con sentenza depositata in data 21 febbraio 2018.

3.- Nello svolgere la propria motivazione, la Corte territoriale ha respinto, prima di tutto, il rilievo dei reclamanti per cui nella specie l’assunzione di responsabilità illimitata da parte della ***** s.r.l. restava esclusa dalla mancata autorizzazione da parte dell’assemblea dei soci, come prevista dalla norma dell’art. 2361 c.c..

Tale norma – ha osservato la sentenza – non si applica alle s.r.l.; comunque, la Delibera assembleare è funzionale solo all’esonero da responsabilità sociale degli amministratori, senza incidere sulla “validità ed efficacia” della partecipazione societaria; la sottrazione dal fallimento per causa di omissione costituirebbe, del resto, un privilegio del tutto irragionevole.

4.- Proseguendo nell’indagine, la sentenza ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte in punto di applicabilità della norma della L. Fall., art. 147, comma 5, anche alle ipotesi in cui la (prima) dichiarazione di fallimento riguardi (non un imprenditore persona fisica, ma) una società.

L'”interpretazione estensiva” della citata disposizione risponde – si è segnalato – alla necessità di adottare una sua lettura “costituzionalmente adeguata”, come anche indicato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza n. 255/2017; e quindi di dire riscontro effettivo al “principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.”.

5.- Passando all’esame degli “indici rivelatori della sussistenza del vincolo sociale”, la Corte pugliese ha sostenuto che la mancanza della prova scritta di un contratto sociale non impedisce l'”accertamento aliunde” del vincolo, che può avvenire “mediante ogni mezzo di prova previsto dall’ordinamento”.

Nella specie concreta, la sussistenza di una unitaria struttura associativa e produttiva è rivelata “dalla medesima sede sociale, dal medesimo recapito telefonico, dall’essere C.R. socio di maggioranza all’80% della ***** s.r.l. e D.A.R. socia al 20%, laddove lo stesso C.R. era socio al 99% della ***** s.n.c. e D.R. socia all’1%. C.R. era altresì l’amministratore unico di entrambe le società e non vi era alcuna separazione, neppure rudimentale, tra i rispettivi impianti, materia prime, semilavorati, etc.”.

D’altro canto, la “differenza nelle attività esercitate dalle due società (l’una produttiva e l’altra commerciale) dedotta dai reclamanti non emerge in modo chiaro in virtù del realizzarsi di vere e proprie sovrapposizioni e interdipendenze reciproche”. Oltre alla condivisione di locali, sedi e attrezzature – ha notato la pronuncia -, si manifesta particolarmente rilevante il “contratto del 18 aprile 2013”, col quale i rapporti correnti tra le due società “culminano in un finanziamento della s.n.c. all’attività di impresa della s.r.l. con compensazione finale dei reciproci debiti e crediti e con l’estinzione dei debiti della s.r.l. per i corrispettivi del godimento degli immobili della s.n.c. per un periodo di tempo ininterrotto di circa 10 anni”.

6.- Quanto poi alla rilevazione dello “stato di insolvenza della società di fatto, nonchè di entrambe le partecipanti”, la decisione ha, da un lato, sottolineato l'”ingente esposizione debitoria” riconducibile alla società di fatto “a fronte della scarsa liquidità” della medesima; ciò porta a ritenere – ne ha dedotto – l'”impossibilità della società di fatto di fare fronte alle obbligazioni assunte con l’attività commerciale”. Dall’altro, ha ritenuto che non essere “inoltre necessaria la prova dell’insolvenza di ogni singola società partecipata alla società di fatto, perchè tale presupposto è il medesimo già valutato rispetto alla società fallita”.

“Tanto accertato” – ha concluso la pronuncia -, “i soci possono essere dichiarati falliti per estensione, ai sensi della L. Fall., art. 147 comma 1”.

7.- Avverso questo provvedimento ricorrono per cassazione la s.n.c. *****, C.R. e D.A.R., sviluppando quattro motivi.

Resiste con controricorso il Fallimento della società di fatto tra la s.r.l. ***** e la s.n.c. *****, nonchè del socio illimitatamente responsabile s.n.c. ***** e dei soci illimitatamente responsabili di quest’ultima, anche proponendo, in via preliminare, eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso.

Non hanno svolto difese la s.p.a. Acciaieria Arvedi e la s.r.l. Foamglas Italia, che, quali creditori della s.r.l. *****, ne avevano chiesto il fallimento.

8.- Le parti costituite hanno anche depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

9.- I motivi di ricorso sono stati intestati nei termini che qui di seguito vengono riportati.

Primo motivo: “violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 147, comma 5, in combinato disposto con la L. Fall., art. 147, comma 1”.

Secondo motivo: “violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., artt. 1 e 5, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c.”.

Terzo motivo: “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2361 c.c., comma 2”.

Quarto motivo: “violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 147, comma 1”.

10.- L’eccezione preliminare d’inammissibilità per tardività del ricorso, formulata dal controricorrente, richiama la norma della L. Fall., art. 18, comma 14. Per assumere, in sequenza, che la “sentenza della Corte territoriale è stata comunicata ai reclamanti/ricorrenti il 22 febbraio 2018 (all. E)” via pec; il termine per il ricorso per cassazione scadeva il 24 marzo 2018; nei fatti, il ricorso è stato notificato l’1 di agosto.

11.- L’eccezione dev’essere disattesa.

Solo la notifica del testo integrale della sentenza reiettiva del reclamo avverso la sentenza dichiarativa è idonea a fare correre il termine breve di cui dell’art. 18, comma 14, come anche precisato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., 19 settembre 2019, n. 23443). Ciò che, nella specie, non risulta sia stato dimostrato, il documento prodotto al riguardo dal controricorrente non indicando l’oggetto dell’intervenuta comunicazione.

12.- Il primo motivo di ricorso si muove in consapevole dissenso con l’orientamento assunto dalla giurisprudenza di questa Corte, che ammette, nel ricorrere di dati presupposti, il fallimento della c.d. supersocietà di fatto, quale fattispecie specificamente costituita da una società irregolare a cui partecipano più società, come pure eventualmente anche delle persone fisiche, e che viene a emergere in un momento successivo alla dichiarazione di fallimento di una delle società così coinvolte.

Riscontrato che detto orientamento gravita attorno alla norma della L. Fall., art. 147, comma 5 e sottolineato il carattere eccezionale di questa disposizione (che si ferma al caso di preesistente fallimento di “imprenditore individuale”), il ricorrente svolge in proposito un’articolata serie di contestazioni.

12.1.- L’eventualità di fare leva su un’interpretazione estensiva della L. Fall., art. 147, comma 5 – così si assume – “trova un argine impenetrabile nella diversità di sistema delle due situazioni giuridiche. Non è sufficiente il richiamo “al paradigma costituzionale dell’uguaglianza, stante l’identità di ratio, quale affermata con la pronuncia n. 10507 del 20 maggio 2016, e all'”insegna del principio di effettività”. Vero è che della L. Fall., art. 147, comma 5, “inquadra un più ampio fenomeno di accertamento della reale impresa, definito anche, in dottrina, come subornazione dell’imprenditore palese da parte dell’imprenditore occulto”, ma nei limiti della invulnerabilità quasi sacra della personalità giuridica”.

12.2.- Nei fatti, comunque quella praticata da questa Corte – si prosegue – non risponde al canone dell’interpretazione estensiva. “La riforma rafforza il criterio formale di imputazione alla stregua della spendita del nome che permane quale impregiudicata regola generale. Cosicchè la disposizione di cui dell’art. 147 c.c., comma 5 – cui è sotteso l’opposto criterio sostanziale di imputazione alla stregua della spendita dell’interesse – è norma che “fa eccezione alla regola generale””.

12.3.- In realtà, il ricorso, da parte di questa Corte, alla norma della L. Fall., art. 147, comma 5 – si aggiunge ancora – altro non è che una “scorciatoia” per sanzionare il fenomeno della eterodirezione (nel concreto, peraltro, non sussistente): “i presunti gestori/eterodirettori (i coniugi C.) sono falliti quali soci illimitatamente responsabili della s.n.c. socia della presunta supersocietà di fatto sebbene, seguendo proprio le conclusioni cui è giunta la Corte, la curatela avrebbe dovuto azionare un autonomo giudizio al fine di verificare l’eventuale sussistenza di condotte ingeneranti responsabilità ex art. 2497 c.c.”.

13.- Il primo motivo di ricorso non risulta fondato in nessuna delle articolazioni che lo vengono a comporre.

14.- Quanto al rilievo basato sulla “invulnerabilità della persona giuridica”, si deve osservare come lo stesso possegga tratto di sostanza metagiuridica; risulti, cioè, non determinato rispetto al canone del diritto positivo.

Al pari di qualunque altro soggetto dell’ordinamento, la persona giuridica risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri delle obbligazioni che la concernono (art. 2740 c.c.) e dunque illimitatamente.

D’altra parte, la specie concreta, per quanto qui in interesse, si sostanzia (atteso il fallimento già in via autonoma della s.r.l. *****) nell'”estensione fallimentare” a una società in nome collettivo, che tipologicamente non gode, ex artt. 2291 e 2304 c.c., di un’autonomia patrimoniale perfetta. Solo la legge – per altro verso va ancora notato – può ammettere delle limitazioni della responsabilità patrimoniale (art. 2740 c.c., comma 2): tra le ipotesi così consentite in ogni caso non v’è quella della partecipazione di una società di persone a un’altra società di persone (regolare o irregolare che sia).

15.- Neppure può ritenersi corretto l’assunto del ricorrente, per cui la lettura da questa Corte data alla norma della L. Fall., art. 147, comma 5, esorbita dai limiti intrinseci all’interpretazione estensiva.

Il focus, che sta a connotare tale disposizione, non appare propriamente diretto verso una o altra forma di esercizio dell’attività di impresa (individuale o, per contro, collettiva). Si volge, piuttosto, verso l’ipotesi in cui – una volta dichiarato il fallimento di un (singolo) imprenditore – successivamente emerga che, invece, si tratta di “impresa… riferibile a una società”.

La norma risulta cioè completare la previsione del precedente comma 4 (secondo quanto suggerisce, del resto, lo stesso incipit del comma 5). Il comma 4, riguarda il caso di successiva emersione di soci occulti di società palese; il comma 5, si concentra sul caso della successiva emersione di una società dapprima occulta e distinta dal soggetto già dichiarato fallito.

Come ha puntualmente riscontrato la sentenza di Cass., 20 maggio 2016, n. 10507, “non v’è alcuna ragione che, nell’ipotesi disciplinata dal ridetto comma 5 – in cui l’esistenza della società emerga in data successiva al fallimento autonomamente dichiarato di uno solo dei soci -, possa giustificare un differenziato trattamento normativo, ammettendone o escludendone la fallibilità a seconda che il socio già fallito sia un imprenditore individuale o collettivo”.

16.- La terza censura formula, poi, un rilevo che si palesa astratto dalla fattispecie concreta e del tutto ipotetico: nel senso che ascrive alla Corte territoriale un percorso argomentativo di ordine subliminale. Nei fatti, la sentenza impugnata non ha imputato alla “famiglia C.” alcuna eterodirezione, più o meno abusiva.

Per contro, ha riscontrato – sul piano oggettivo – la sussistenza di una società di fatto corrente tra la s.r.l. ***** e la s.n.c. *****, nel concreto venendo a sottolineare la presenza di “numerosi elementi dai quali desumere legestioie di un’unica attività imprenditoriale da parte delle due società, un disegno imprenditoriale unitario e il perseguimento di interessi riferibili a un’unica società di fatto, partecipata dalle due”.

17.- Il secondo motivo di ricorso assume che la Corte di Appello ha errato perchè non ha accertato lo stato di insolvenza autonomo della supersocietà di fatto.

Secondo il ricorrente, la sentenza ha tenuto conto solo della “presunta ingente esposizione debitoria” delle due società e alla “scarsa liquidità” di ciascuna di esse. Ma – si obietta – l'”insolvenza personale di uno dei soci non determina l’insolvenza della società”; nè l'”insolvenza dalla società di fatto può essere dichiarata sulla scorta dei debiti dei singoli soci”. “Evidentemente” – si aggiunge – “la Corte di Appello si è sostanzialmente adeguata all’errata statuizione del Tribunale il quale, in modo ancora più eclatante, ha riferito che l’insolvenza e la fallibilità non vanno riscontrati per estensione per ogni singola società partecipante”.

18.- Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente non indica, infatti, se, e nel caso come, abbia dedotto il vizio così allegato nell’ambito del giudizio di reclamo. Sì che lo stesso deve ritenersi nuovo e di conseguenza precluso all’esame di questa Corte.

19.- Col terzo motivo, il ricorrente censura la decisione della Corte di Appello, per non avere dato peso alla circostanza che, nella specie, mancava l’autorizzazione assembleare che, ai sensi dell’art. 2361 c.c., era invece necessaria perchè la ***** s.r.l. potesse assumere delle partecipazioni in società con responsabilità illimitata.

Secondo l’avviso del ricorrente, la norma dell’art. 2361, pur scritta per le s.p.a., è senz’altro applicabile in via di analogia alle s.r.l.. D’altra parte, l'”assenza della necessaria Delibera assembleare rende “inefficace” la partecipazione”: la “violazione del precetto preclude la riferibilità o imputabilità giuridica, non dei singoli atti compiuto, ma dell’attività di impresa unitariamente considerata… ed effettivamente svolta dagli amministratori”.

20.- Il motivo non è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte si è infatti consolidata nell’escludere che l’eventuale difetto di autorizzazione assembleare all’assunzione di partecipazioni comportanti la responsabilità illimitata possa mai comportare l’inefficacia, o invalidità, della partecipazione che comunque (nonostante tale difetto, appunto) sia stata in concreto assunta.

In questa prospettiva si è osservato che la norma dell’art. 2361 c.c., comma 2, attiene unicamente ai rapporti tra i soci e gli amministratori dell’ente, non anche ai rapporti tra quest’ultimo e i terzi; a pensare altrimenti, d’altronde, la ridetta norma consentirebbe ai soci un troppo comodo modo per esonerarsi dalle conseguenze negative eventualmente derivanti dall’assunzione di partecipazioni in altri enti.

Con rilievo di ordine diverso – e più radicale -, si è anche precisato che in ogni caso, trattandosi di “ente collettivo, per il quale vale il principio di effettività dell’attività di impresa”, la patologia, che eventualmente venga ad affliggere la società di fatto, “si converte in causa di scioglimento”: la “società di fatto nulla continua dunque a esistere sino alla definizione dei rapporti giuridici pendenti”.

Per questi aspetti si vedano, in particolare, le pronunce di Cass., n. 10507/2016 (da cui sono tratte le frasi appena sopra trascritte); Cass. 21 gennaio 2016, n. 1095; Cass., 30 marzo 2017, n. 12962; Cass., 30 gennaio 2018, n. 9572.

21.- Col quarto motivo, il ricorrente censura la decisione della Corte territoriale di “potere dichiarare automaticamente e in estensione il fallimento dei soci illimitatamente responsabili di un socio illimitatamente responsabile di una (presunta) società di fatto”.

Nella specie – si sottolinea -, al fallimento della società di fatto ha fatto seguito quello per estensione della s.n.c. *****; e a questo ha fatto poi seguito pure quello, per ulteriore estensione, dei soci illimitatamente responsabili di questa s.n.c. Ma “il fallimento a catena non trova giustificazione” – si assume – “nella ratio sottesa alla L. Fall., art. 147, comma 1”.

“Non si vede la ragione per cui non si debba arrestare il fallimento a catena al primo livello, in quanto questo, e solo questo, ha caratterizzato l’assetto e la contrattazione da parte dei terzi”. Del resto, il fallimento per estensione (nella specie della s.n.c.) non è un vero e proprio fallimento, ma solo un'”esecuzione collettiva necessaria ad attuare la peculiare responsabilità patrimoniale delle s.n.c., s.a.s. e s.a.p.a. (nonchè delle s.b.f.)”.

Dunque, per dichiarare il fallimento dei soci illimitatamente responsabili della s.n.c. ***** – si conclude – sarebbe occorso dimostrare l’insolvenza dei patrimoni personali di questi ultimi soggetti.

22.- Il motivo non merita di essere accolto.

Il ricorrente trascura anche qui (cfr. già sopra, nel n. 14, a proposito del primo motivo di ricorso) che la struttura del soggetto di diritto formato da una società in nome collettivo risponde tipologicamente alle prescrizioni normative degli artt. 2291 e 2304 c.c.: responsabilità della società e responsabilità dei soci stanno cioè a costituire un plesso unitario. Trascura, altresì, che – secondo l’inequivoco disposto della L. Fall., art. 147, comma 1 – la dichiarazione di fallimento di una società in nome collettivo comporta in ogni caso il fallimento dei suoi soci illimitatamente responsabili.

23.- In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.

Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 5.100.00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a noma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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