LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2994/2016 proposto da:
Casa di Cura Noto Pasqualino s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Emilio Faà di Bruno n. 52, presso lo studio dell’avvocato Gianfranco Zacco, rappresentata e difesa dall’avvocato Daniele Zummo, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Monte Santo n. 2, presso lo studio dell’avvocato Fulvio Romeo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Salvatore Narbone, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1012/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 24/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 7/10/2020 dal Cons. Dott. MARULLI MARCO.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza 1012/2015 del 24.6.2015 la Corte d’Appello di Palermo, attinta in gravame dalla Casa di cura Noto Pasqualino s.r.l., ha confermato il deliberato in prima istanza con cui era stata accolta l’opposizione proposta dalla Azienda Sanitaria Provinciale di Palermo avverso il decreto ingiuntivo fattole notificare dalla Casa di cura al fine di conseguire il pagamento delle prestazioni specialistiche di ricovero effettuate in favore di assistiti dell’ASP nell’anno *****.
Rigettando il primo motivo di appello – inteso a confutare l’argomento secondo cui nella specie, trattandosi di pretese patrimoniali, era ravvisabile la giurisdizione del giudice ordinario – il giudice territoriale, richiamati gli antefatti di causa e, segnatamente, che, nell’opporre il pagamento l’ASP aveva eccepito in compensazione, a seguito della rideterminazione in sede amministrativa del valore delle prestazioni extrabudget effettivamente rimborsabili nell’anno di riferimento, un proprio controcredito di maggior ammontare, ha affermato che “appare evidente che la determinazione del saldo extrabudget attraverso gli abbattimenti previsti costituisce espressione di un potere autoritativo della P.A. nello svolgimento del rapporto concessorio, configurando le posizioni giuridiche dei soggetti destinatari come meri interessi legittimi”, sicchè “il sindacato di un tale atto, pertanto, deve ritenersi appartenere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
Per la cassazione di detta decisione la Casa di cura si vale di tre motivi di ricorso, ai quali resiste l’intimata con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta l’erroneità in punto di diritto del ragionamento decisorio sviluppato dal giudice d’appello laddove questi ha ritenuto che le delibere ASP, a mezzo delle quali era intervenuta la rideterminazione delle somme ammesse in pagamento a fronte delle prestazioni extra budget rese dalla Casa di cura, non siano sindacabili da parte del giudice ordinario, poichè rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo. Al contrario, le deliberazioni in parola “non sono affatto espressione del potere autoritativo della P.A., nè si inquadrano nello schema della concessione amministrativa di pubblico servizio, atteso che non hanno nè natura programmatoria, nè di determinazione di tetti di spesa, ma si inquadrano esattamente all’interno dei rapporti privatistici di dare/avere tra le parti, inerendo diritti patrimoniali soggettivi”.
3.1. Il motivo – al cui esame, pur involgendo la cognizione di questione riservata alla trattazione delle SS.UU., può procedere, per quanto si dirà, anche l’odierno collegio in applicazione dell’art. 374 c.p.c., comma 1, seconda parte – è fondato ed il suo accoglimento, comportando ab imo la cassazione dell’impugnata decisione, solleva dall’esame degli ulteriori motivi di ricorso.
3.2. La domanda esercitata dalla Casa di cura ricorrente a mezzo dell’opposta ingiunzione attiene al pagamento di prestazioni effettuate in regime di accreditamento oltre i tetti di spesa prefissati e la decisione della controversia, come si è chiarito altrove, implica la soluzione della questione inerente all’incidenza, nell’ambito del predetto regime, della definizione del tetto di spesa con provvedimento emanato nel corso dell’anno di riferimento.
Non si affermerà perciò cosa nuova se si osserva, sul filo di convinzioni già esternate dal giudice amministrativo circa la natura autoritativa dei provvedimenti in materia di determinazione dei tetti di spesa Cons. Stato, Sez. III, 15/06/2020, n. 3806), che l’esame della domanda involge “necessariamente un sindacato sull’incidenza dei poteri autoritativi e di controllo che l’amministrazione regionale conserva anche nella fase attuativa del rapporto in coerenza con l’esigenza che l’attività dei vari soggetti operanti nel sistema sanitario si svolga nell’ambito di una pianificazione coerente con i limiti massimi annuali di spesa sostenibile con il Fondo sanitario e i preventivi annuali delle prestazioni” (Cass., Sez. U., 9/06/2017, n. 14428).
3.3. Nel muovere in questa direzione gioverà considerare inizialmente che secondo il fermo punto di vista di questa Corte (Cass., Sez. U., 14/01/2005, n. 603), posto che i rapporti fra le AUSL e le strutture private, anche a seguito del passaggio dal regime di convenzionamento al regime dell’accreditamento, hanno conservato immutata la propria natura di concessione di pubblico servizio, che le controversie ad essi relative appartengano in forza del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 133, comma 1, lett. c), alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo ad eccezione di “quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi” che restano invece soggette alla giurisdizione del giudice ordinaria.
Più in dettaglio, si ripete che le controversie concernenti “indennità, canoni o altri corrispettivi” riservate alla giurisdizione del giudice ordinario sono quelle contrassegnate da un contenuto meramente patrimoniale, attinente al rapporto interno tra P.A. concedente e concessionario del bene o del servizio pubblico, contenuto in ordine al quale la contrapposizione tra le parti si presta ad essere schematizzata secondo il binomio “obbligo-pretesa”, senza che assuma rilievo un potere d’intervento riservato alla P.A. per la tutela d’interessi generali. Al contrario, laddove la controversia esula da tali limiti, coinvolgendo la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sull’intera economia del rapporto concessorio, il conflitto tra P.A. e concessionario si configura secondo il binomio “potere-interesse” e viene attratto nella sfera della competenza giurisdizionale del giudice amministrativo (Cass., Sez. U., 20 giugno 2012, n. 10149). Si è inoltre precisato, sulla scorta della ripartizione introdotta dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, che le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario ove non coinvolgano l’accertamento dell’esistenza o del contenuto della concessione, nè la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante, ovvero investano l’esercizio di poteri discrezionali – valutativi nella determinazione delle indennità o canoni stessi, involgendo, quindi, l’accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali sia sull'”an”, sia sul “quantum” del corrispettivo (Cass., Sez. U., 12 gennaio 2007, n. 411).
3.4. Queste postulazioni – evidente riflesso del principio secondo cui la giurisdizione si determina in base alla domanda non già in base alla prospettazione dalla parte ma in base al petitum sostanziale di essa da identificarsi in funzione della causa petendi (Cass., Sez. U., 26 giugno 2019, n. 17123) – sono alla radice dell’affermazione, ancora di recente reiterata con riferimento alla fattispecie in esame, secondo cui “in tema di attività sanitaria esercitata in regime di cd. accreditamento, la domanda di condanna della Asl al pagamento del corrispettivo per le prestazioni eccedenti il limite di spesa, proposta dalla società accreditata sul presupposto dell’annullamento in via giurisdizionale dei provvedimenti amministrativi che avevano stabilito i ccdd. “tetti di spesa” e della conseguente invalidità, inefficacia o inoperatività parziale dell’accordo stipulato tra le parti limitatamente alle clausole che prevedevano la non remunerabilità delle predette prestazioni, rientra, ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di controversia il cui “petitum” sostanziale investe unicamente la verifica dell’esatto adempimento di una obbligazione correlata ad una pretesa del privato riconducibile nell’alveo dei diritti soggettivi, senza coinvolgere il controllo di legittimità dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio” (Cass., Sez. U., 16/10/2019, n. 26200).
3.5.1. A questa affermazione – che rende la decisione impugnata distonica rispetto al delineato quadro di diritto – si contrappone dalla Corte decidente la considerazione, modulata in ragione della procedura di determinazione dei saldi contabili, che “se è vero che la Delib. n. 2014 del 2005, si è limitata ad effettuare una verifica contabile dei rapporti di dare avere tra le parti del giudizio in attuazione delle precedenti Delib. n. 1224 del 2005 e Delib. n. 1225 del 2005, lo stesso non può dirsi per la Delib. n. 1224 del 2005. Dall’esame della stessa… emerge che la ASP di Palermo determinava il valore delle prestazioni extrabudget rimborsabili (“cd saldo extrabuget”) per il 2001 sulla base di economie di aggregato realizzatesi e corrisposte proporzionalmente sul fatturato eccedente il buget 2001, in applicazione del D.A. n. 29452/99 (art. 3) che prevede gli abbattimenti tariffari progressivi… Anche la successiva Delib. n. 1225 del 2005, relativa all’anno 2002, ha il medesimo contenuto… Appare evidente che la determinazione del saldo extrabudget attraverso gli abbattimenti previsti costituisce espressione di un potere autoritativo della P.A. nello svolgimento del rapporto concessorio, configurando le posizioni giuridiche dei soggetti destinatari come meri interessi legittimi. Il sindacato di tale atto, pertanto, deve ritenersi appartenere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
3.5.2. Non si dubita, per vero, da parte di questa Corte che il controllo sull’esercizio di tale potere ed in particolare sulla legittimità del relativo provvedimento attuativo della deliberazione regionale esuli dalla giurisdizione del giudice ordinario, ancorchè tale provvedimento in concreto incida sulla debenza di tali entità (Cass., Sez. U., 2/11/2018, n. 28053). E tuttavia la fedeltà a questo principio non può prescindere dalla fedeltà al principio, già per l’innanzi ricordato, della determinazione della giurisdizione sulla base petitum sostanziale da identificarsi in funzione della causa petendi, di modo che, se nel resistere alla domanda del creditore l’ente debitore eccepisca il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sul presupposto che la pretesa creditoria per le modalità sottese alla sua esigibilità è incisa dalle deliberazioni a mezzo delle quali sono stati determinati i saldi extrabudget, ciò non sposta di per sè l’asse della decisione fuori dal quadrante della giurisdizione ordinaria, poichè la domanda del creditore resta pur sempre attratta alla giurisdizione ordinaria. Ciò, peraltro, non accade neppure allorchè il creditore, in replica all’eccezione opposta dall’ente debitore, deduca l’estraneità della propria pretesa da tali atti o di essi neghi la legittimità, poichè neppure in tal caso il petitum sostanziale della domanda è automaticamente inciso da siffatte replicationes, a meno che non si sostanzino in una richiesta di accertamento con efficacia di giudicato dell’illegittimità del provvedimento posto a fondamento dell’eccezione sollevata (Cass., Sez. U., 16/10/2019, n. 26200). Solo in quest’ultima ipotesi, infatti, poichè il petitum sostanziale investe anche l’esercizio di un potere autoritativo, il giudice ordinario deve declinare la giurisdizione sulla domanda di annullamento della deliberazione, esulando essa dalla propria sfera di cognizione per essere affidata dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, sospendendo, se del caso, il processo avanti a sè a mente dell’art. 295 c.p.c.. Ma questo esige che le replicationes, altrimenti destinate a restare irrilevanti nel ragionamento decisorio, mettano capo ad una rinnovata attività assertiva della parte, consistente nella riformulazione della domanda con la richiesta di accertare con efficacia di giudicato l’illegittimità dell’attività provvedimentale di cui la P.A. ha eccepito la rilevanza. Diversamente, “in mancanza di detta riformulazione della domanda, le replicationes alle eccezioni della p.a. circa l’efficacia del provvedimento restano soltanto fatti che il giudice ordinario deve esaminare per decidere sulla originaria domanda. Incidono sull’oggetto del processo ma non su quello della domanda” (Cass., Sez. U., 2/11/2018, n. 28053).
3.6. Anche sotto questa angolazione, dunque, la decisione impugnata, non si sottrae alla critica incarnata con il motivo. Neppure se recependo un rilievo della parte oggi controricorrente avesse voluto valorizzare il giudicato amministrativo intervenuto in merito alle delibere 1224/05 e 1225/05, elevate dal decidente a presupposto della ritenuta estraneità della lite alla propria giurisdizione, il giudicato in questione evidenziando, piuttosto, che la controversia in ordine alla legittimità dei provvedimenti amministrativi determinativi dei c.d. saldi di extrabudget è attratta alla giurisdizione del giudice amministrativo, tanto che, come si è già precisato, ove se ne faccia questione avanti al giudice ordinario e su di essa si chieda un’affermazione provvista dell’efficacia propria del giudicato, il giudice ordinario, avanti al quale si dibatta della pretesa incisa da quei provvedimenti, viene a trovarsi nella condizione indicata dall’art. 295 c.p.c. e non potrebbe che sospendere, perciò, il processo pendente davanti a sè.
3.7. Questa impostazione appare tanto più giustificata in rapporto al caso di specie ove l’AUSL, nel resistere all’ingiunzione, richiamando le determinazioni assunte con le citate Delib. n. 1224 del 2005 e Delib. n. 1225 del 2005, aveva eccepito di essere a sua volta creditrice nei confronti della casa di cura ed aveva, perciò, con la successiva Delib. n. 2014 del 2005, effettuato la compensazione tra quanto dovuto e quanto preteso, provvedendo al recupero della differenza. Il controcredito dell’AUSL, nel quadro della compensazione impropria operata dalla stessa, rappresenta una pretesa di contenuto analogo, anche se opposto, a quella fatta valere dalla casa di cura, sicchè essa, non diversamente dall’altra, si colloca sul medesimo piano teatro del rapporto interno tra concedente e concessionario, in cui la contrapposizione tra le parti, proprio per sottolinearne la sottrazione ad ogni influenza di fonte autoritativa, come si è sopra ricordato, si presta ad essere schematizzata secondo il binomio “obbligo-pretesa”.
Ancor più chiaro questo risulta considerando che la compensazione, costituendo un modo di estinzione dell’obbligazione, postula – e tanto più la postulava, quanto a quelle fatte valere dall’AUSL, nella specie in ragione dell’intervenuto giudicato amministrativo – la sostanziale intangibilità delle partite creditorie messe a confronto e quindi si traduce in un accadimento negoziale del tutto interno alla dinamica del rapporto obbligatorio. Essa, guardando al caso che ne occupa, fuoriesce dal raggio di azione della potestà autoritativa del concedente poichè, essendo opponibile quando le contrapposte pretese delle parti abbiano assunto consistenza, la sua cognizione non impone di indagare previamente la legittimità dell’azione amministrativa e non coinvolge alcuna verifica in ordine ai poteri esercitati dalla P.A.. Dunque, come si è altrove affermato proprio con riferimento all’eccezione di compensazione “la controversia non involge, dunque, la validità degli atti amministrativi che hanno condotto alla stipula della convenzione nè pone alcuna questione relativa all’esercizio di poteri autoritativi dell’ente in ordine alla determinazione dei canoni od alla debenza del rimborso” (Cass., Sez. U., 4/09/2018, n. 21597).
La lite, che n’è conseguenza, non può perciò che esaltare il contenuto patrimoniale delle pretese oppostamente azionate dalle parti e, nel far ciò, rafforza più di quanto non sia già argomentabile in linea generale, il radicamento di essa nella sfera di giurisdizione del giudice ordinario.
Anche per questo aspetto, dunque, la decisione impugnata è meritevole di cassazione.
PQM
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, dichiara la giurisdizione sulla lite del giudice ordinario, cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Palermo che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021