LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14167/2016 proposto da:
C.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzo Morrone, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Intesa Sanpaolo S.p.a., per incorporazione del Sanpaolo Imi S.p.a. in Banca Intesa S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Liberiana n. 17, presso lo studio dell’avvocato Antonio Ferraguto, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 183/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, pubblicata il 30/03/2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/10/2020 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 22 novembre 1996, il signor C.M. proponeva opposizione al decreto che gli aveva ingiunto di pagare alla Banca Commerciale Italiana (BCI – COMIT Spa) Lire 110353635 e accessori, quale scoperto del conto corrente n. ***** intrattenuto presso la Filiale di *****.
Il Tribunale di Salerno, con sentenza del 15 gennaio 2008, la accoglieva, revocava il decreto ingiuntivo e, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale del C., condannava la Banca (Intesa Gestione Crediti Spa, avendo Banca Intesa incorporato la BCI) a pagare Euro 309.911,32,00, oltre accessori, e rigettava le altre domande delle parti.
Il gravame di Intesa San Paolo veniva accolto dalla Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 30marzo 2016, che rigettava l’opposizione del C. al decreto ingiuntivo.
La Corte, in sintesi, osservava che, in data 14 settembre 1995, il C. aveva tratto in favore di sè stesso un assegno bancario non trasferibile n. ***** dell’importo di Lire 600 milioni circa sul conto corrente n. *****, intrattenuto presso la Cassa Rurale ed Artigiana di Giffoni Valle Piana; che in pari data egli aveva “cambiato” tale assegno presso la Filiale di ***** della COMIT ove, qualche giorno dopo (il 28 settembre 1995), aveva acceso il conto corrente n. ***** e, utilizzando i fondi derivanti dal cambio dell’assegno e dal contestuale versamento in contanti, aveva eseguito un bonifico mediante accredito sul conto corrente n. ***** del signor G.L. presso la COMIT; che l’operazione costituiva una prassi, consolidata in passato, di consentire a clienti noti e di comprovata solidità finanziaria il cambio in contanti di assegni bancari per effettuare bonifici sul conto di terzi; di conseguenza, ad avviso della Corte, essendo il suddetto assegno risultato insoluto, il C. era debitore del corrispondente importo che era stato riaddebitato sul suo conto corrente, avendo la Banca esercitato il diritto di ritenzione/compensazione di cui all’art. 5 del contratto di apertura di credito.
Avverso questa sentenza il C. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, resistito da Intesa San Paolo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il C. denuncia violazione e falsa interpretazione dell’art. 345 c.p.c., per avere ritenuto ammissibile la produzione delle condizioni economiche allegate al contratto di apertura del conto corrente n. *****, senza valutare la indispensabilità della produzione del nuovo documento in appello da parte della Banca.
Il motivo è infondato.
La Corte ha ammesso la produzione del suindicato documento in appello, avendolo ritenuto indispensabile ai fini della decisione, come risulta implicitamente nella sentenza impugnata che ha ritenuto “(trattarsi) di documento ritualmente acquisito agli atti (sicchè) di esso si deve tenere conto, giungendo, attraverso la sua valutazione, alla somma richiesta con il decreto ingiuntivo opposto”. Tale argomentazione non è scalfita dalla critica svolta nel motivo che si appunta sulla mancata motivazione del giudizio di indispensabilità, essendo noto che, a norma dell’art. 345 c.p.c., comma 3 (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv. con mod. nella L. n. 134 del 2012), la produzione di nuovi documenti è ammessa nel giudizio di appello a condizione che il giudice ne verifichi l’indispensabilità, ma tale requisito non richiede necessariamente un apposito provvedimento motivato di ammissione, essendo sufficiente che la giustificazione dell’ammissione sia desumibile inequivocabilmente dalla motivazione della sentenza di appello (vd. Cass., sez. II, n. 23963 del 2011). Alla luce della suddetta ratio decidendi, non è focalizzata la critica concernente la tardiva o irrituale produzione delle suddette condizioni economiche in primo grado, nel corso dell’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio, tenuto conto che nuova prova indispensabile in appello è quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (vd. Cass., sez. un., n. 10790 del 2017; sez. I, n. 24164 del 2017). Per altro verso, la questione della datazione delle suddette condizioni (che si assume avvenuta in data anteriore all’apertura del conto corrente) riguarda l’adeguatezza intrinseca delle stesse e, in generale, delle risultanze istruttorie, che è tuttavia oggetto di apprezzamenti di fatto riservati ai giudici di merito e incensurabili in sede di legittimità.
Il secondo motivo, con il quale il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., omesso esame di fatti decisivi, travisamento degli atti e delle consulenze tecniche d’ufficio, motivazione insufficiente e contraddittoria, in ordine alla valutazione di legittimità dell’addebito sul suo conto corrente, è inammissibile per difetto di specificità, risolvendosi in una critica generica e globale, mirante, in realtà, alla rivisitazione complessiva dell’esito di apprezzamenti di fatto compiuti dai giudici di merito.
Analogamente inammissibile è il terzo motivo, con il quale il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, in relazione alla L. n. 154 del 1992, art. 5, per avere confermato tassi di interessi non pattuiti e arbitrari, nonchè c.m.s. e spese di chiusura del conto non previste, e per non avere considerato il fatto che la Banca non aveva prodotto gli estratti conto da parte della Banca a dimostrazione della sussistenza del credito azionato in giudizio. Il motivo non aggredisce specifiche statuizioni della sentenza impugnata e si risolve in una impropria richiesta di nuovi accertamenti (oltre che valutazioni) di fatto in contrapposizione a quelli compiuti dai giudici di merito, a proposito del contenuto delle suddette condizioni (nelle quali, ad avviso della Banca, è stata pattuita espressamente per iscritto la misura dei tassi di interesse debitori e creditori) e della ritualità e completezza della produzione degli estratti conto nel giudizio (che la Banca sostiene avvenuta con completezza per tutta la durata del rapporto). L’astrattezza delle censure proposte è ulteriormente confermata dal fatto che il motivo non censura specificamente la statuizione dei giudici di merito secondo la quale “i consulenti di primo e secondo grado hanno confermato l’esistenza di un credito della banca (…) anche a non voler considerare le condizioni economiche di cui al documento allegato al contratto di c/c”.
Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 5200,00, di cui Euro 5000,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2020.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021
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