LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23819/2015 proposto da:
T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio degli avvocati BRUNO COSSU, SAVINA BOMBOI, che lo rappresentano e difendono unitamente all’avvocato PAOLO GALLI;
– ricorrente principale –
ANSALDO ENERGIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
contro
T.G.;
– ricorrente principale – controricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 78/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 31/03/2015 R.G.N. 522/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/09/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per accoglimento del terzo motivo del ricorso principale, respinti gli altri motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale;
udito l’Avvocato BRUNO COSSU;
udito l’Avvocato CAMILLA NANNETTI per delega verbale Avvocato ENZO MORRICO.
FATTI DI CAUSA
1. T.G. convenne in giudizio la Ansaldo Energia s.p.a. esponendo di aver lavorato alle dipendenze di quest’ultima dal 1.1.1974 al 31.12.2002 effettuando prolungate trasferte all’estero. Espose che in un precedente giudizio tra le parti era stato accertato che la società aveva effettuato versamenti contributivi inadeguati. Nel giudizio, quindi, chiedeva il ricalcolo di alcune voci retributive e del t.f.r. in ragione della maggiore retribuzione globale di fatto nel tempo corrisposta e nei limiti dell’intervenuta prescrizione quinquennale; il ricalcolo del danno pensionistico, già riconosciuto nella prima causa, da incrementare in ragione del riconoscimento degli ulteriori emolumenti maturati e non corrisposti.
2. Il Tribunale di Genova riconobbe la somma di Euro 136.522,29 a titolo di differenze in relazione alla retribuzione per ferie godute, all’indennità per ferie non godute, alla tredicesima mensilità ed al t.f.r. Inoltre, condannò la società al pagamento della somma di Euro 141.576,81 a titolo danno pensionistico.
3. La Corte di appello di Genova, pronunciando sul ricorso principale di T.G. e su quello incidentale della Ansaldo Energia s.p.a., ha accertato che il ricorso introduttivo del giudizio era sufficientemente specifico e che i permessi annui retribuiti (p.a.r.) erano inclusi nei conteggi originariamente depositati. Conseguentemente, ha ritenuto che il contraddittorio si fosse ritualmente instaurato anche su tale domanda. Inoltre, il giudice di secondo grado ha accertato che le somme da riconoscere per le trasferte avevano carattere retributivo e non indennitario e che, con riguardo all’indennità c.d. di disagio, la natura retributiva del compenso, previsto alla lettera b) del contratto individuale, era stata definitivamente accertata con sentenza, resa inter-partes dalla stessa Corte di appello, passata in giudicato. Quanto all’indennità estero la Corte di merito ne ha confermata la natura retributiva dopo aver verificato che si trattava di compenso erogato continuativamente, sebbene le trasferte fossero intervallate da cospicui periodi trascorsi in sede, e che ne era esplicitamente prevista l’inclusione nel t.f.r.. Ha ritenuto poi che tutte le richiamate indennità ed i compensi per gli straordinari dovessero essere computati sul compenso dovuto per le ferie e sull’indennità per le ferie non godute, in ragione della continuità dell’erogazione. Quanto alle somme spettanti per riposi, r.o.l. e p.a.r. goduti e non goduti, il giudice di appello ha ritenuto che, in mancanza di dati certi nel c.c.n.l. e con applicazione analogica rispetto a quanto stabilito per le ferie, le maggiori somme erogate incidessero anche su tali voci retributive. Inoltre, ha ritenuto che la continuità nella loro erogazione ne confermava la computabilità nel t.f.r., con la accertata limitazione temporale al 1994 per la retribuzione globale di fatto. Per l’effetto ha confermato gli importi calcolati dal consulente nominato ritenendo che la prescrizione quinquennale era maturata per tutte le voci richieste nel corso del rapporto, stante il regime di stabilità da cui lo stesso era assistito, eccezion fatta per l’indennità di ferie non godute e per l’indennità sostitutiva dei p.a.r. (permessi orari non goduti). La prima in quanto il termine era iniziato a decorrere solo alla data di cessazione del rapporto quando il diritto era maturato, la seconda poiché il termine era quello ordinario non trattandosi di compenso avente natura retributiva. Con riguardo al danno pensionistico, fatto valere nel precedente giudizio e conseguente all’insufficiente valutazione delle retribuzioni percepite, la Corte di merito, in mancanza di una espressa riserva di agire per gli ulteriori importi, lo ha ritenuto coperto dal giudicato. In definitiva il giudice di secondo grado ha condannato la società a corrispondere al T. la minor somma di Euro 102.774,31 rigettando la domanda di restituzione avanzata dalla società sul rilievo che non era stata offerta la prova dell’avvenuto pagamento delle somme indicate dal giudice di primo grado.
4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso T.G. articolando cinque motivi ai quali ha opposto difese la Ansaldo Energia s.p.a. la quale ha proposto contestuale ricorso incidentale affidato a quattro motivi. T.G. ha resistito con controricorso. Rimessa sul ruolo per la decisione in pubblica udienza, la causa è stata decisa in esito al deposito di conclusioni scritte da parte del P.G., depositate ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, e di memoria da parte della Ansaldo Energia s.p.a.. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Il ricorso principale.
5.1. Con il primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 6 disciplina speciale parte terza e dell’art. 5 disciplina generale sezione terza (che disciplinano i permessi annui retribuiti) del c.c.n.l. addetti industria metalmeccanica privata e all’installazione di impianti in data 8.6.1999 nonché degli artt. 12 disciplina speciale parte terza (che riguarda le ferie) e dell’art. 13 (recante la disciplina della tredicesima mensilità) del c.c.n.l. 14.12.1990 nonché delle corrispondenti norme di quelli successivi dell’8 giugno 1999 del 7.5.2003 e del 20.1.2008 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Sostiene il ricorrente che per il computo degli importi dovuti per i permessi annui retribuiti, sostitutivi delle festività abolite, era necessario avere riguardo alla retribuzione mensile del mese di riferimento in ragione del richiamo contenuto nell’art. 6 del c.c.n.l. del 1999 all’art. 5 dello stesso contratto. Con riguardo alle ferie osserva che il riferimento contenuto nell’art. 12 del c.c.n.l. alla retribuzione giornaliera esclude che, invece, si possa avere riguardo, nel calcolo degli importi dovuti, alla media annua. Per la tredicesima mensilità, poi, ad avviso del ricorrente il richiamo contenuto, nell’art. 13, all’intera retribuzione di fatto percepita sarebbe indicativo della volontà delle parti collettive di riconoscere una retribuzione parametrata a quella in atto percepita e non alla media annuale come avviene per i cottimisti.
5.2. Con il secondo motivo di ricorso si deduce che la sentenza sarebbe nulla in quanto avrebbe omesso di pronunciare, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sullo specifico profilo di censura mosso alla sentenza di primo grado ed avente ad oggetto i criteri di computo delle differenze di retribuzione. Sostiene il ricorrente che la Corte di merito avrebbe trascurato di considerare che era stato specificatamente eccepito che il calcolo elaborato dal c.t.u. era basato su criteri di riferimento in contrasto con le prassi adottate dalla società.
5.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c., con riferimento ai limiti oggettivi del giudicato. Nel premettere che nel primo giudizio era stata formulata una espressa riserva di agire per le altre domande, il ricorrente sottolinea che, comunque, sia il petitum che la causa petendi del primo giudizio erano diversi rispetto a quelli del secondo giudizio, così come non erano del tutto coincidenti i soggetti che ne erano parti. Nel primo giudizio era stato denunciato il mancato versamento dei contributi su somme effettivamente erogate e la domanda proposta nei riguardi del datore di lavoro aveva ad oggetto il versamento dei contributi non prescritti ed il risarcimento del danno per quelli prescritti. La domanda nei confronti dell’Inps, poi, era di ricostituzione della posizione previdenziale del lavoratore e di pagamento delle differenze maturate successivamente. Nel secondo giudizio, invece, si era chiesto il pagamento di retribuzioni non corrisposte ed il risarcimento del danno conseguente al mancato versamento dei contributi, oramai prescritti, dovuti sulle somme mai prima erogate ed accertate come dovute solo in questa controversia. Sostiene allora il ricorrente che il giudicato formatosi sulla domanda di risarcimento del danno conseguente alla prescrizione dei contributi mai versati su somme effettivamente corrisposte non poteva estendersi alla diversa domanda di risarcimento del danno conseguente al mancato versamento dei contributi eventualmente spettanti sulle somme mai corrisposte e la cui spettanza era oggetto del secondo giudizio.
5.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce che il giudice di appello, nell’interpretare la riserva espressa di agire in separato giudizio, sarebbe incorso nella violazione degli artt. 1362 e 1369 c.c.. Sostiene infatti che nell’escludere il diritto (conseguente) al risarcimento del danno contributivo si è interpretata la riserva (“ad ogni azione meglio vista” “in ordine” “alle differenze retributive”) senza considerare la reale volontà della parte, trascurando la finalità perseguita e comunque senza tenere conto, in violazione dell’art. 1369 c.c., dell’interpretazione più conveniente alla natura dell’oggetto.
5.5. Con l’ultimo motivo di ricorso, infine, è denunciata la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte territoriale violato i principi in materia di non frazionabilità della domanda. Sostiene il ricorrente che la sentenza non tiene conto del fatto che nella specie sussistevano oggettive ragioni che giustificavano il frazionamento delle domande con riguardo a voci di credito caratterizzate da autonomi elementi costitutivi, sia pure nella cornice di un rapporto unitario.
6. Il ricorso incidentale 6.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c., n. 5, e si deduce che erroneamente la Corte avrebbe respinto l’eccezione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio il quale, invece, era carente nelle allegazioni dei fatti costitutivi del diritto fatto valere e, conseguentemente, avrebbe dovuto essere rigettato per carenza di prova. La società ricorrente sostiene infatti che nella specie non si verterebbe nell’ipotesi, cui ha riferimento la sentenza, di mancata allegazione di conteggi analitici al ricorso introduttivo ovvero di omessa notifica degli stessi ma, piuttosto, della carente allegazione di fatti costitutivi del diritto azionato.
6.2. Con il secondo motivo la società deduce poi che il giudice di appello, in violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c., avrebbe riconosciuto natura retributiva agli emolumenti erogati quale corrispettivo delle trasferte sebbene da tutti i contratti collettivi nel tempo succedutisi se ne evincesse quella risarcitoria.
6.3. Il terzo motivo di ricorso ha ad oggetto la denuncia della violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., con riguardo alla prova, gravante sul lavoratore, dell’abitualità delle trasferte per il conseguimento del diritto a percepire la relativa indennità che si deduce essere stata erogata in relazione alle missioni ed alle trasferte brevi effettuate. Inoltre, si sostiene che il lavoratore non avrebbe offerto la prova dell’erogazione dell’indennità di trasferta in misura fissa e continuativa, tale da poter essere computata, quale retribuzione normale, sugli istituti di retribuzione ulteriore e differita.
6.4. Con il quarto ed ultimo motivo di ricorso incidentale, infine, la società deduce che la sentenza, in violazione degli artt. 414 e 437 c.p.c., avrebbe ritenuto che nelle richieste svolte con il ricorso vi sarebbe anche il ricalcolo dei c.d. permessi annui retribuiti (p.a.r.) trascurando di considerare che, invece, la relativa domanda era stata formulata, inammissibilmente, solo con l’atto di appello.
7. Ragioni di priorità logica impongono di esaminare con precedenza i motivi del ricorso incidentale che, per le ragioni di seguito esposte, non possono trovare accoglimento.
7.1. Quanto alla nullità del ricorso introduttivo, oggetto del primo motivo del ricorso incidentale, va rilevato che la Corte territoriale ha ritenuto che la documentazione allegata al ricorso ex art. 414 c.p.c., ed in particolare i conteggi, integrassero il contenuto rendendolo specifico. Va rammentato che se è vero che il giudice di legittimità – quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, che si sostanzi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, tuttavia resta pur sempre necessario che la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito, ed in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (cfr. Cass. sez. u. 22/05/2012 n. 8077). Nel caso in esame la censura non supera, allora il vaglio di ammissibilità atteso che riproduce solo il ricorso introduttivo e non anche i conteggi ad esso allegati né, più in generale la documentazione insieme ad esso prodotta e non consente al Collegio di verificare, dalla lettura del ricorso in cassazione, se ne risulti intaccata la ricostruzione operata dal giudice di appello che ha accertato che nell’atto era indicato il periodo lavorato, era chiarito che nel calcolo delle mensilità aggiuntive si doveva tenere conto di tutti gli emolumenti spettanti ed inoltre erano allegati conteggi a cui si rinviava. Sulla base di tali presupposti di fatto, non idoneamente scardinati dalla censura in questa sede mossa alla sentenza, risulta coerente la scelta del giudice di appello di ritenere valido il ricorso rammentando, in adesione a quanto ripetutamente affermato da questa Corte di legittimità, che per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado per mancata determinazione dell’oggetto della domanda o per mancata esposizione degli elementi di fatto e delle ragioni di diritto su cui si fonda la domanda stessa, non è sufficiente l’omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è necessario che attraverso l’esame complessivo dell’atto – che compete al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione – sia impossibile l’individuazione esatta della pretesa dell’attore e il convenuto non possa apprestare una compiuta difesa (cfr. tra le tante Cass. 08/02/2011 n. 3126 ed anche Cass. 04/09/2015 n. 17615 e 17761/2017).
7.2. Del pari è inammissibile il secondo motivo di ricorso incidentale, con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c., per avere la Corte riconosciuto natura retributiva agli emolumenti erogati quale corrispettivo delle trasferte sebbene da tutti i contratti collettivi nel tempo succedutisi se ne evinca la natura risarcitoria. La censura, infatti, non chiarisce in che sede tale specifica questione, data per pacifica e sostanzialmente presupposta dai giudici di merito, era stata sollevata. Peraltro, va rammentato che compete al giudice del merito l’accertamento della natura retributiva o risarcitoria di un emolumento attribuito al lavoratore che operi all’estero e questi vi provvede sulla base delle allegazioni e delle prove offerte dal lavoratore. Nella specie la Corte ha chiarito le ragioni in base alle quali ha ritenuto provata la natura retributiva dei compensi (nello specifico le trasferte all’estero) sottolineando, anche richiamando la sentenza intervenuta tra le stesse parti e passata in giudicato, che si trattava di corrispettivi collegati alla diversa situazione organizzativa ed ambientale ed alle particolari modalità di svolgimento del rapporto in località diversa dalla normale sede italiana, erogati in maniera continuativa nonostante le trasferte non fossero sempre continue, e perciò utili anche per il calcolo del t.f.r..
7.3. Ne’ per effetto di tale accertamento la Corte è incorsa nella violazione dell’art. 2697 c.c., oggetto del terzo motivo di ricorso incidentale. Va qui sottolineato che la censura, pur veicolata come una violazione di legge, si traduce piuttosto nella sollecitazione di un diverso apprezzamento dei fatti acquisiti al giudizio e compiutamente valutati, con apprezzamento di merito a lei riservato, dalla Corte territoriale.
7.4. E’ infine infondata l’ultima censura del ricorso incidentale, con la quale si denuncia la violazione degli artt. 414 e 437 c.p.c., sul rilievo che la domanda avente ad oggetto il ricalcolo dei c.d. permessi annui retribuiti (p.a.r.) sarebbe stata formulata, inammissibilmente, solo con l’atto di appello. Il giudice del merito, al quale è riservata l’interpretazione degli atti del giudizio, ha verificato che il contraddittorio si era instaurato anche sui c.d. p.a.r. evidenziando, in esito all’esame degli atti, che di essi vi era menzione nei conteggi allegati in primo grado tanto che degli stessi si teneva conto nelle difese presentate dalla società. Va allora ribadito che nel giudizio di legittimità va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito. Nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c., e si pone un problema di natura processuale, per la soluzione del quale la S.C. ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta. Nel secondo caso, invece, poiché l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (cfr. Cass. 21/12/2017 n. 30684 ed anche Cass. sez. u. 18/05/2012 n. 7932 cit.). In definitiva l’interpretazione operata dal giudice di appello riguardo al contenuto e all’ampiezza della domanda giudiziale è assoggettabile al controllo di legittimità limitatamente alla valutazione della logicità e congruità della motivazione e, a tal riguardo, il sindacato della Corte di cassazione comporta l’identificazione della volontà della parte in relazione alle finalità dalla medesima perseguite, in un ambito in cui, in vista del predetto controllo, tale volontà si ricostruisce in base a criteri ermeneutici assimilabili a quelli propri del negozio, diversamente dall’interpretazione riferibile ad atti processuali provenienti dal giudice, ove la volontà dell’autore è irrilevante e l’unico criterio esegetico applicabile è quello della funzione obiettivamente assunta dall’atto giudiziale. (cfr. Cass.08/08/2006 n. 17947).
7.5. In conclusione, il ricorso incidentale deve essere rigettato.
8. Venendo all’esame del ricorso principale ritiene il Collegio che possa trovare accoglimento il terzo motivo, restandone assorbito l’esame del quarto e del quinto, mentre vanno rigettati il primo ed il secondo motivo.
8.1. Il primo motivo investe l’interpretazione data dal giudice di appello alla disciplina collettiva dei permessi annuali retribuiti, delle ferie e della tredicesima mensilità con particolare riguardo alla nozione di retribuzione da utilizzare come parametro per il calcolo dell’indennità da corrispondere in caso di mancato godimento dei p.a.r., per il compenso da erogare durante le ferie e quale parametro per liquidare la tredicesima mensilità.
8.1.1. Con riguardo all’indennità sostitutiva del permessi annui retribuiti va rilevato che l’art. 5 del c.c.n.l. 8.6.1999 – nella parte in cui reca la disciplina dei permessi annui retribuiti riconosciuti “in ragione di anno di servizio” e fruibili secondo regole specificatamente indicate dalla norma collettiva – prevede che quelli eventualmente non fruiti nell’anno di maturazione confluiscano in un Conto ore individuale per ulteriori ventiquattro mesi e che, al termine di tale periodo, le ore ancora accantonate siano “liquidate con la retribuzione in atto al momento della scadenza”. In sostanza l’indennità sostitutiva può essere liquidata solo al termine di un periodo di latenza, di due anni dalla scadenza dell’anno di maturazione del diritto al permesso, quando viene meno il diritto del lavoratore a goderne. Ritiene il Collegio che la genericità del riferimento alla retribuzione in atto al momento della scadenza comporti che una interpretazione letterale di tale espressione, che ponga quale parametro per la liquidazione dell’indennità la retribuzione del mese in cui va a scadere il diritto a godere del permesso, possa dar luogo ad ingiustificate disparità. Non sarebbe consentito, infatti, di tenere conto di compensi che, pur continuativamente erogati, siano corrisposti con cadenze non coincidenti con il mese da prendere in considerazione (si pensi ad un compenso erogato trimestralmente). Un’interpretazione sistematica della norma, invece, non può trascurare che la cornice entro la quale matura il diritto è “l’anno di servizio” (cfr. art. 5, commi 1, 3, 6 del c.c.n.l.) ed è tale parametro medio che appare corretto prendere a riferimento per individuare la retribuzione da utilizzare per liquidare l’indennità spettante al lavoratore che non possa più materialmente beneficiare del permesso, essendo scaduto il termine entro il quale viene computato nel Conto ore individuale (art. 5, comma 14 c.c.n.l.). Conseguentemente appare coerente con tale ricostruzione il riferimento, operato dalla Corte territoriale nell’interpretare la disposizione, alla media annua della retribuzione globale di fatto percepita, nozione in cui confluiscono tutte le voci retributive percepite nell’arco temporale di maturazione del diritto.
8.1.2. Analogo ragionamento vale per la retribuzione da corrispondere durante le ferie anche in considerazione dell’interpretazione datane dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. E’ noto che ai sensi dell’art. 7 n. 1 della direttiva n. 88 del 2003 con l’espressione “ferie annuali retribuite” si intende fare riferimento al fatto che, per la durata delle ferie annuali, “deve essere mantenuta” la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo. Durante il periodo feriale deve essere assicurata una situazione che, a livello retributivo, sia sostanzialmente equiparabile a quella in atto nei periodi di lavoro (cfr. CGUE 20 gennaio 2009 in C-350/06 e C- 520/06, Schultz-Hoff e altri, punti 58 e 60 e CGUE 16 marzo 2006, cause riunite C-131/04 e C-257/04 Robinson-Steele e altri, punto 58). In sostanza la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, in linea di principio, in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore posto che una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie e sarebbe perciò in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione (cfr. CGUE C- 520/06 del 15 settembre 2011, Williams e altri, punto 21). Secondo la Corte di giustizia dunque devono essere mantenuti quegli elementi della retribuzione “correlati allo status personale e professionale” del lavoratore mentre non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell’importo da versare durante le ferie annuali “gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell’espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro” (cfr. CGUE Williams cit.). E’ in questo quadro che si muove l’interpretazione della norma collettiva che, specificatamente, per le ferie fa riferimento alla “retribuzione globale di fatto” (art. 12 comma 4 c.c.n.l. 14.12.1990). L’interpretazione della nozione di retribuzione da corrispondere durante le ferie dettata dalla disciplina collettiva non può prescindere dalla valutazione del rapporto di funzionalità, vale a dire del nesso intrinseco che intercorre tra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva del lavoratore e le mansioni ad esso affidate in ossequio al suo contratto di lavoro. Vi deve essere una corrispondenza con quella fissata, con carattere imperativo ed incondizionato, dall’art. 7 della direttiva 2003/88/CE. Nella prospettiva di una nozione di retribuzione che sia anche rispettosa dei principi enucleati in sede sovranazionale – la cui finalità è quella di apprestare un compenso il più possibile coincidente con la retribuzione ordinaria – e pur restando fermo il principio che, in mancanza di una previsione nelle fonti legali interne (art. 36 Cost., comma 3, art. 2109 c.c. e lo stesso D.Lgs. n. 66 del 2003, art. 10) di criteri utili per il calcolo della retribuzione da corrispondere durante il periodo feriale, la determinazione della nozione di retribuzione di riferimento è rimessa alla contrattazione collettiva (che non deve necessariamente avere riguardo ad una nozione onnicomprensiva inclusiva di tutte le voci corrisposte durante il periodo di attività: cfr. Cass. 02/02/2004 n. 1823 e 22/11/ 2002n. 16510) si deve procedere ad una interpretazione della norma collettiva che assicuri la congruità del trattamento da erogare e verifichi che al lavoratore sia garantita “almeno la normale o media retribuzione” secondo quanto disposto dalla Convenzione O.I.L. n. 132 del 24 giugno 1970 (ratificata e resa esecutiva con L. 10 aprile 1981, n. 157). Una verifica sul rapporto di funzionalità (quel nesso intrinseco individuato dalla sentenza Williams del 2011 al punto 26) tra i vari elementi che complessivamente la compongono tenendo conto delle mansioni svolte e del contratto. In questa prospettiva è corretto allora il riferimento ad una retribuzione globale di fatto da prendere a riferimento con riguardo alla misura media annuale. Ancora una volta il parametro è l’arco temporale entro il quale matura il diritto e nell’ambito del quale vengono in rilievo le varie componenti della retribuzione erogate poi su base mensile o anche con cadenza diversa. Ne’ in senso contrario rileva il fatto che per l’indennità sostitutiva delle ferie non godute si sia fatto riferimento alla “retribuzione giornaliera globale di fatto” (art. 12 comma 12 c.c.n.l.). Tale espressione non è priva di ambiguità ove si consideri che la stessa è suscettibile di generare, se rigidamente applicata, situazioni di disparità che si possono risolvere in una irragionevole utilizzazione di un parametro non corrispondente a quella nozione di retribuzione raccomandata per una applicazione uniforme dei principi Eurounitari sopra ricordati.
8.1.3. Analoghe le considerazioni da svolgere con riguardo alla retribuzione da prendere a parametro per la tredicesima mensilità dove il riferimento della norma collettiva (l’art. 13 del c.c.n.l. del 1990) è “all’intera retribuzione di fatto percepita”.
8.1.4. In conclusione, il primo motivo di ricorso deve essere rigettato.
9. Del pari non può essere accolto il secondo motivo con il quale è lamentata la nullità della sentenza, in relazione all’art. 112 c.p.c., per non avere deciso su uno specifico profilo di relativo alla violazione della prassi/uso aziendale di seguita dalla società di utilizzare per la quantificazione delle ferie e della tredicesima mensilità la retribuzione goduta nel mese di riferimento. Ritiene il Collegio che – in disparte i profili di inammissibilità della censura non essendo con chiarezza evidenziato da quali specifici elementi era possibile ritenere dimostrata tale prassi – dalla lettura del motivo di appello riportato nel ricorso per cassazione (cfr. pagg. 9-11 in nota) si evince che non si era trattato di una autonoma domanda di accertamento di una prassi disattesa ma piuttosto di un argomento utilizzato per l’interpretazione della norma collettiva di tal che non si può configurare la nullità denunciata.
10. Deve essere accolto, invece, il terzo motivo di ricorso con il quale si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione dell’art. 2909 c.c., con riferimento ai limiti oggettivi del giudicato.
10.1. Va premesso in via generale che è ben possibile che domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possano essere proposte in separati processi. Tuttavia ove le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, così da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (cfr. Cass. s.u. 16/02/2017 n. 4090). Un frazionamento delle obbligazioni operato dal creditore per sua esclusiva utilità, con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti sia durante l’esecuzione del contratto sia nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento e si pone in contrasto con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale (cfr. Cass. s.u. 15/11/2007 n. 23726). In sostanza le domande relative a diritti di credito analoghi per oggetto e per titolo, benché fondati su differenti fatti costitutivi, non possono essere proposte in giudizi diversi, quando i menzionati fatti costitutivi si inscrivano in una relazione unitaria tra le parti, anche di mero fatto, caratterizzante la concreta vicenda da cui deriva la controversia, salvo che l’attore abbia un interesse oggettivo – il cui accertamento compete al giudice di merito – ad azionare in giudizio solo uno ovvero alcuni dei crediti sorti nell’ambito della suddetta relazione unitaria (cfr. Cass. 24/05/2021 n. 14143). Corollario di tali principi è l’osservazione che il giudicato copre, in tali condizioni, sia il dedotto che il deducibile con ciò intendendosi non soltanto le ragioni giuridiche fatte espressamente valere, in via di azione o in via di eccezione, nel medesimo giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte quelle altre che, se pure non specificamente dedotte o enunciate, costituiscano, tuttavia, premesse necessarie della pretesa e dell’accertamento relativo, in quanto si pongono come precedenti logici essenziali e indefettibili della decisione (giudicato implicito). Pertanto, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su punto decisivo comune ad entrambe le cause o costituenti indispensabile premessa logica della statuizione contenuta nella sentenza passata in giudicato, precludono il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo ed il “petitum” del primo (cfr. Cass. 26/02/2019 n. 5486).
10.2. Tuttavia, laddove il nuovo giudizio – pur instaurato tra le stesse parti e attinente al medesimo rapporto – si fondi su una causa petendi diversa rispetto a quella fatta valere nella controversia nella quale è intervenuta una sentenza passata in giudicato ed abbia ad oggetto un diverso petitum in relazione al quale l’accertamento non insiste nel medesimo ambito oggettivo del giudicato e richiede comunque differenti attività istruttorie allora il giudicato non è preclusivo dell’ulteriore azione (cfr. Cass. 04/12/2017 n. 28963 che con riferimento ad un caso di plurime obbligazioni pecuniarie relative al medesimo rapporto contrattuale di durata – domanda di ricalcolo del tfr seguita da successiva domanda per il pagamento del premio di risultato – ha escluso che sussista un abusivo frazionamento della domanda evidenziando che diverso era il titolo costitutivo delle due pretese creditorie).
10.3. Tanto premesso va rilevato che nel caso in esame mentre nel primo giudizio la causa petendi era la violazione dell’obbligo di versamento dei contributi rispetto a somme a titolo retributivo effettivamente corrisposte, nel presente giudizio si era doluti del mancato computo di alcuni compensi correlati al lavoro all’estero nella retribuzione da prendere a base per il pagamento di istituti di retribuzione indiretta o differita stante il carattere fisso e continuativo di detti compensi. Inoltre, e con riguardo al petitum, nel primo giudizio era stata chiesta la condanna della datrice di lavoro al versamento dei contributi non prescritti all’Inps ed all’Istituto la ricostituzione della posizione contributiva, oltre che la condanna della società al risarcimento del danno previdenziale per la parte prescritta. Nel presente giudizio, invece accanto alla condanna della datrice di lavoro al pagamento delle somme spettanti per differenze retributive è stata chiesta la condanna al risarcimento del danno previdenziale in relazione all’intervenuta prescrizione dell’obbligazione contributiva che è connessa alla spettanza di tale maggiori somme. Ne segue che il giudicato formatosi nel primo giudizio non può in nessun modo interferire sulla seconda domanda fondata su titoli diversi ed autonomi che richiede accertamenti istruttori in nessun modo sovrapponibili.
10.4. Ne segue l’accoglimento del motivo e la cassazione della sentenza sul punto.
11. Quanto al quarto motivo di ricorso principale, con il quale si deduce che il giudice di appello, nell’interpretare la riserva espressa di agire in separato giudizio, sarebbe incorso nella violazione degli artt. 1362 e 1369 c.c., il suo esame resta assorbito dall’accoglimento del precedente motivo così come assorbito è l’esame dell’ultimo motivo del ricorso principale che ha ad oggetto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dei principi in materia di infrazionabilità della domanda.
12. In conclusione, per le ragioni esposte devono essere rigettati i primi due motivi del ricorso principale oltre che il ricorso incidentale. Va accolto il terzo motivo del ricorso principale, assorbito l’esame del quarto e del quinto motivo, e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, alla quale è demandata anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato D.P.R., se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso principale; accoglie il terzo, assorbiti il quarto ed il quinto. Rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2021
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