Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.377 del 13/01/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15943/2019 r.g. proposto da:

S.O.N., (cod. fisc. *****), anche in nome e per conto del figlio minorenne R.C., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Dante de Marco, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla via Bevagna n. 14.

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO ***** S.N.C., (cod. fisc. *****) E DEL SOCIO R.P. (cod. fisc. *****), in persona del curatore Avv. V.A.M. rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Carla Beltrando, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla via Marcantonio Colonna n. 7.

– controricorrente –

e R.P., (cod. fisc. *****), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Michelino Luise, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla via Gomenizza n. 3.

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata il giorno 06/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del giorno 20/10/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 28 aprile 2016, n. 853, il Tribunale di Tivoli, accogliendo le corrispondenti domande della curatela del Fallimento ***** s.n.c. *****, nonchè del R. in proprio (d’ora in avanti, breviter, Fallimento), nei confronti dei coniugi separati S.N.O. (costituitasi anche in nome e per conto del figlio minorenne R.C.) e R.P.: a) accertò e dichiarò l’inefficacia, L. Fall., ex art. 64, nei confronti del Fallimento, dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale del 12.8.2009, a rogito del Notaio C., rep. n. *****, avente ad oggetto l’immobile sito in *****, identificato al catasto a f. *****, part. *****; b) accertò e dichiarò l’inefficacia, L. Fall., ex art. 44, dell’atto del 30.6.2011, a rogito del Notaio P., rep. n. *****, con il quale R.P. aveva ceduto a S.N.O. l’immobile predetto. Sottolineò, in particolare, che tale cessione risultava trascritta presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Roma il 5 luglio 2011, successivamente all’annotazione della sentenza di fallimento del R. (quale socio illimitatamente responsabile della ***** s.n.c. *****, parimenti fallita) nel Registro delle Imprese avvenuta l’1 luglio 2011; c) per l’effetto, condannò S.N.O. alla restituzione del medesimo immobile in favore del Fallimento, ed entrambi i coniugi al pagamento delle spese processuali.

2. La Corte di appello di Roma, adita con gravami, principale ed incidentale, rispettivamente, da S.N.O., anche in nome e per conto del figlio minorenne R.C., e da R.P., con sentenza del 23 gennaio/6 marzo 2019, li ha respinti entrambi.

2.1. Essa ha preso atto, innanzitutto, della mancata impugnazione del capo della sentenza riguardante la declaratoria di inefficacia, L. Fall., ex art. 64, dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale del 12.8.2009, con conseguente formazione del giudicato interno in parte qua, nel senso che il fondo patrimoniale comunque non sarebbe stato opponibile al Fallimento.

2.1.1. Successivamente, circoscritto il thema decidendum essenziale “…alla efficacia erga omnes dell’atto di cessione del 30.6.2011 (a beneficio della moglie) ed alla sua opponibilità, o meno, al fallimento, una volta esclusa, per le ragioni che di seguito si illustrano, l’esistenza di una pretesa situazione giuridica pro S., quale assegnataria della casa coniugale, cristallizzatasi e consolidatasi prima della dichiarazione di fallimento del marito…”, quel giudice ha ritenuto, per quanto qui ancora di interesse, che: i) “Anche in questo grado di giudizio, l’appellante S. ha (…) erroneamente continuato ad insistere sul fatto che non fosse necessaria la trascrizione della convenzione di separazione (che aveva, (…), efficacia meramente obbligatoria) per rendere opponibile detto atto al fallimento del quale, da ultimo, veniva, da essa interessata, unilateralmente esclusa la terzietà..”. Ha aggiunto, poi, che, “…ferma restando la natura meramente obbligatoria dell’accordo di mantenimento,…. non sembra dubitabile che tali patti, ricadenti su un bene immobile, anche se con data certa, siano inopponibili alla massa dei creditori ai sensi della L. Fall., art. 45 e art. 2645 c.c.”; ii) “non si ravvisa alcuna violazione o errata interpretazione della L. Fall., art. 72, da parte del primo Giudice, come ipotizzato dalla S….. Al riguardo si è detto che la norma da applicare alla fattispecie è unicamente la L. Fall., art. 44 e non la L. Fall., art. 72, avendo il curatore legittimamente chiesto non già di sciogliersi dalla promessa di vendita immobiliare di cui all’accordo (non trascritto) del 23.5.2011, ma di dichiarare tout court l’inefficacia, L. Fall., ex art. 44, dell’atto di cessione del 30.6.2011 eseguito e trascritto post fallimento”. Affatto inconferenti e privi di rilievo, dunque, erano i riferimenti della S. alle disposizioni della L. Fall., art. 72, commi 7-8, in quanto entrambi “disciplinano espressamente fattispecie di contratto preliminare di vendita trascritto e che, all’evidenza, esulano dal caso di cui si discute”; iii) stante l’impossibilità di opporre, per mancata trascrizione dei patti di separazione, la promessa di trasferimento, “…non sussiste alcun credito della S. per il mancato adempimento della promessa di trasferire il bene, ripetesi non trascritta e, dunque, non opponibile al fallimento, la cui curatela, quindi, neanche aveva l’onere di formulare domanda di revocatoria (ordinaria o fallimentare) dell’accordo patrimoniale contenuto nel verbale di separazione e di fatto assorbito e superato nella successiva cessione dell’appartamento”; iv) parimenti infondata era l’ulteriore censura volta a contrastare la riconsegna immediata dell’immobile non essendo ancora decorso il novennio dalla separazione. Infatti, se è vero che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6 (come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 11), il provvedimento di assegnazione della casa al coniuge è opponibile, ove non trascritto, nei limiti del novennio, “…è altrettanto indubbio che, nel presente giudizio, la S., da mera assegnataria della casa coniugale (v. verbale di separazione), si è trasformata essa stessa, a seguito del successivo atto di cessione impugnato dalla curatela, in proprietaria dell’immobile. Pertanto, l’appellante principale non può sottrarsi alle conseguenze della declaratoria di inefficacia, L. Fall., ex art. 44, richiesta ed ottenuta dal Fallimento e, al contempo, invocare la reviviscenza del provvedimento interinale di assegnazione per tentare di paralizzare, almeno per un novennio, il rilascio dell’immobile diventato di sua proprietà. L’atto di cessione del 30.6.2011, infatti, non è nullo, ma inefficace nei confronti dei creditori del fallimento, e, quindi, non può rinascere retroattivamente, come ipotizzato dalla S., il provvedimento di assegnazione della casa coniugale di cui la stessa è ormai diventata proprietaria”.

3. Contro questa sentenza, notificatale l’11 marzo 2019, promuove tempestivo ricorso la S., anche in nome e per conto del figlio minorenne, affidandosi a tre motivi. Resiste, con controricorso, il Fallimento. Pure R.P. deposita un proprio “controricorso”, sostanzialmente adesivo al ricorso della S., proponendo, inoltre, ricorso incidentale recante due motivi.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Le censure formulate dalla S., ricorrente principale, anche in nome e per conto del figlio minorenne, prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., artt. 42,44 e 45”. Si assume che l’errore in cui la corte distrettuale sarebbe incorsa “…non è quello di ritenere tamquam non esset il trasferimento avvenuto dopo la dichiarazione di fallimento, ma quello di ritenere che residui all’inefficacia una qualche efficienza per la massa di quello stesso atto (il trasferimento di cui sopra) che ad esso fallimento è per legge inopponibile e per essa massa, appunto, tamquam non esset”. La contraddizione nell’interpretazione della norma (e l’errore di fondo che ne è derivato) ha viziato l’intero argomentare della corte, posto che, “se si afferma che, L. Fall., ex art. 44, l’atto di trasferimento dell’immobile è inopponibile al fallimento (che addirittura chiede che questa inopponibilità sia dichiarata anche dal Giudice), non si comprende come quello stesso atto, tamquam non esset per il fallimento che ne è ex lege insensibile, possa poi essere invocato per affermare il venir meno dei patti “obbligatori” preesistenti alla sentenza per essere stati definiti proprio in virtù di quello stesso atto del quale si chiede (ed è anche dichiarata) la declaratoria di inefficacia L. Fall.,. ex art. 44. Se si afferma, in conformità della legge (L. Fall., art. 44), che gli atti che trasferiscono un bene dopo la dichiarazione di fallimento sono tamquam non esset per la procedura concorsuale, si afferma, di necessità, che tutto l’atto non modifica e non può modificare, per la procedura (per l’incapacità, sia pur relativa, del fallito di modificarla), la situazione giuridica fotografata al momento della sentenza di fallimento. Rispetto ai creditori concorsuali, quindi, proprio per la disposizione della L. Fall., artt. 42 e 44, si realizza una sorta di fictio giuridica che fa retroagire la situazione giuridica dei rapporti del fallito con il terzo a quella esistente al momento del fallimento e cioè: il fallito proprietario dello immobile; il terzo mero promissario acquirente di quello stesso immobile”;

M “Violazione e/o falsa applicazione della L. Fall., art. 72, anche con riferimento alla L. Fall., artt. 42,44 e 45; violazione degli artt. 99 e 101 c.p.c.”. Si deduce che, “…nel momento in cui si assume che l’impegno assunto dal R. al trasferimento della casa di abitazione alla moglie abbia natura “obbligatoria” (in questo senso la decisione tanto del Giudice di primo grado che di quello di Appello), non può negarsi l’applicazione, alla fattispecie, della L. Fall., art. 72 (che regola appunto il preliminare ed è, comunque, pacificamente di applicazione generale a tutti i rapporti pendenti)..”, le cui disposizioni operano in un ambito autonomo rispetto a quelle contenute nella L. Fall., artt. 44 e 45. Si afferma, inoltre, che “la errata e falsa applicazione della L. Fall., art. 72, comporta, “a cascata”, anche l’erroneità della decisione in ordine alla statuizione relativa al credito del promissario acquirente”, laddove si rammenti che il preliminare “è sempre opponibile al fallimento, nei limiti della L. Fall., art. 72, anche ove non trascritto, per il fatto che…la sua trascrizione non ha finalità di renderlo opponibile alla massa, ma, semmai, solo quello di attribuire all’acquirente non fallito il privilegio di cui all’art. 2775-bis c.c., nella restituzione di quanto da lui corrisposto e/o, ove detto atto riguardi un immobile destinato ad abitazione principale del promissario acquirente, ad escludere la possibilità per il curatore di sciogliersi dall’atto. Il riferimento alla inoperatività, al caso, di quanto previsto dalla L. Fall., art. 72, per la mancata sua trascrizione è, quindi, del tutto inconferente e privo di qualsivoglia pregio”. Nemmeno, infine, potrebbe affermarsi che “…l’azione esperita L. Fall., ex art. 45, equivalga ad una dichiarazione di scioglimento dal vincolo contrattuale ad oggi ancora esistente e meramente “sospeso”…”, attesa “…la sostanziale differenza ed alterità dei fatti costitutivi (e, quindi, delle azioni) che la presuppongono e per la diversità degli effetti che a ciascuna conseguono…”;

III) “Violazione della L. n. 898 del 1970, art. 6, dell’art. 337-sexies c.c. e della L. Fall., art. 80”. Si sostiene che la S. detiene l’immobile di cui si discute sulla base di due titoli concorrenti: per esserle stato attribuito il possesso in ragione dell’atto impugnato dal Fallimento L. Fall., ex art. 44 e perchè trattavasi della casa coniugale assegnatale in sede di separazione dal coniuge R.P., in quanto “sede della famiglia” al momento della separazione predetta e dimora del figlio minorenne che, nonostante l’affidamento congiunto, vive principalmente con la madre. Tale atto di assegnazione, del tutto indipendente dal successivo trasferimento della sua proprietà, trova titolo non in quest’ultimo ma direttamente nella legge ed è sempre opponibile ai terzi perchè crea un vincolo di destinazione del bene collegato all’interesse superiore della prole a conservare il proprio “habitat”. Nella specie, infine, il curatore, nè entro l’anno dalla dichiarazione di fallimento, nè dopo, si è avvalso della facoltà di sciogliersi dall’assegnazione suddetta e neppure ha offerto alcuna indennità. Il giudice, pertanto,non avrebbe potuto ordinare il rilascio per il sopraggiungere dell’inopponibile trasferimento della proprietà per le ragioni già sopra espresse nel primo motivo.

1.1. Il ricorso incidentale di R.P. denuncia, invece:

1) “Vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella parte in cui la Corte di appello di Roma ha omesso di considerare la posizione del minore di co-assegnatario della casa, che non è mutata per il fatto che la madre da assegnataria si sia trasformata in proprietaria dell’immobile”;

2) ” Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., sempre in relazione alla posizione del minore”.

2. I primi due motivi del ricorso principale, scrutinabili congiuntamente perchè evidentemente connessi, si rivelano infondati.

2.1. Giova immediatamente osservare che, in relazione a quanto ancora oggetto di controversia, risultano assolutamente pacifiche, in fatto, le seguenti circostanze: i) in sede di separazione personale, i coniugi S.N.O. e R.P., all’udienza presidenziale di comparizione del 23 maggio 2011, convennero, tra l’altro, l’assegnazione della casa coniugale, ubicata in *****, alla prima, contestualmente, stabilendosi che il R. avrebbe a quest’ultima trasferito la proprietà di tale immobile entro due anni dall’omologazione della separazione. Questa pattuizione non venne trascritta; ii) omologata la separazione, appena divenutone disponibile il relativo provvedimento, il R., con atto per notar P. del 30 giugno 2011, realizzò quel trasferimento immobiliare, che venne, però, trascritto, presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Roma, solo il 5 luglio 2011, successivamente all’annotazione della sentenza di fallimento del R. (quale socio illimitatamente responsabile della ***** s.n.c. *****, parimenti dichiarata fallita) nel Registro delle Imprese, avvenuta il 1 luglio 2011.

2.2. Va rilevato, inoltre, che, come agevolmente emerge dalla sentenza oggi impugnata, il Fallimento ha inteso agire giudizialmente, nei confronti della S. e del R., esclusivamente al fine di ottenere (oltre alla declaratoria di inefficacia nei suoi confronti, L. Fall., ex art. 64, dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale del 12.8.2009, a rogito del Notaio C., rep. n. *****, avente ad oggetto il cespite predetto, sulla cui corrispondente statuizione positiva dell’adito Tribunale di Tivoli si è formato il giudicato non essendo la stessa stata sottoposta a gravame) la declaratoria di inefficacia, L. Fall., ex art. 44, dell’indicato rogito del 30 giugno 2011 e, per l’effetto, la restituzione di quell’immobile.

2.2.1. Pertanto, le argomentazioni tutte rinvenibili nel secondo motivo del ricorso principale, quanto alla ivi asserita applicabilità, nella specie, di quanto previsto dalla L. Fall., art. 72, in tema di rapporti pendenti al momento del fallimento, si rivelano, da un lato, affatto ultronee, avendo specificato, espressamente, la corte distrettuale che il Fallimento aveva inteso agire, tout court, L. Fall., ex art. 44 e non già chiedendo di sciogliersi dalla promessa di vendita immobiliare, non trascritto, di cui alla pattuizione del 23 maggio 2011 (pretesa chiaramente differente, per petitum e causa petendi dalla prima); dall’altro, ed in ogni caso, infondate, posto che fra le parti il patto di cui alla promessa suddetta comunque aveva avuto esecuzione, sicchè il curatore non avrebbe potuto e dovuto fare altro che invocare l’inefficacia del trasferimento. Il tutto, peraltro, non senza dimenticare che il preteso preliminare, per poter essere opponibile al fallimento, avrebbe dovuto essere trascritto.

2.3. Orbene, come recentemente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. n. 3086 del 2018), la L. Fall., art. 44, ai commi 1 e 2, prevedendo, tra l’altro, l’inefficacia, rispetto ai creditori, degli atti compiuti dal fallito e dei pagamenti da lui eseguiti, nonchè di quelli da lui ricevuti, dopo la dichiarazione di suo fallimento, costituisce un logico corollario della perdita della disponibilità dei beni acquisiti al fallimento stesso, di cui al precedente della L. Fall., art. 42, assicurando la par condicio creditorum. Tale inefficacia trova la sua ratio nella perdita, coeva al fallimento stesso, del diritto di disporre da parte del debitore, piuttosto che nel pregiudizio sofferto dai creditori, distinguendosi, pertanto, da quella accertabile con l’azione revocatoria, per cui la relativa azione è diretta a far dichiarare un’inefficacia che si verifica di pieno diritto nei confronti del fallimento e dei creditori (cfr. Cass. n. 1979/1970. A conclusioni sostanzialmente analoghe pervengono, in motivazione, Cass. n. 6737 del 2005 e Cass. n. 3086 del 2018): principio, questo, finalizzato, nella sua assolutezza, ad una efficace e diretta tutela della massa dei creditori. Pertanto, sotto il profilo giuridico, è affatto irrilevante l’eventuale buona fede del terzo, posto che la inefficacia predetta non è fondata su una presunzione di conoscenza della perdita, da parte del fallito, del potere di disporre del proprio patrimonio, ma costituisce una sanzione di carattere obiettivo, che prescinde dalla effettiva conoscenza, da parte dell’altro contraente, della intervenuta dichiarazione di fallimento della sua controparte: trattasi, all’evidenza, di una scelta del legislatore non manifestamente irragionevole e, perciò stesso, non censurabile sul piano della legittimità costituzionale (cfr. C. Cost. 23.6.1998, n. 234).

2.4. E’ indubbia, allora, nella specie, la correttezza della pronunciata declaratoria di inefficacia, nei confronti del Fallimento odierno controricorrente, del già descritto rogito notarile di trasferimento immobiliare del 30 giugno 2011, con cui R.P., dichiarato fallito il 29 giugno 2011, quale socio illimitatamente responsabile della ***** s.n.c. *****, ebbe a trasferire alla S. l’immobile in esso indicato. Quell’atto, inoltre, venne trascritto, presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Roma, solo il 5 luglio 2011, successivamente all’annotazione della sentenza di fallimento del R. nel Registro delle Imprese avvenuta 11 luglio 2011.

3. Il terzo motivo del ricorso principale, invece, è fondato alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.

3.1. E’ innegabile la natura meramente obbligatoria (e non già immediatamente traslativa) della pattuizione intercorsa, nel giudizio di loro separazione personale, tra la S. ed il R., il 23 maggio 2011, in sede di comparizione davanti al presidente del tribunale: convenzione, pacificamente non trascritta dalle parti (nè oggetto di qualsivoglia specifica impugnazione in questo giudizio da parte del Fallimento), con cui, come si è già detto, il R. si era impegnato a trasferire alla S., entro due anni dall’omologa della separazione, la proprietà del medesimo immobile, già costituente casa coniugale, contestualmente assegnata alla odierna ricorrente sul presupposto (pure rimasto incontroverso in questo giudizio) dell’essere la dimora del loro figlio minorenne che, nonostante l’affidamento congiunto, viveva principalmente con la madre.

3.2. Occorre, dunque, chiedersi, se, una volta ritenuto inefficace, nei confronti del Fallimento, il trasferimento immobiliare suddetto, fosse opponibile, o meno, nei confronti del medesimo Fallimento, il diritto della S., evidentemente diverso da quello di proprietà trasferitole, di mantenere la detenzione della casa coniugale quale sua assegnataria perchè ivi abitante con il figlio minorenne.

3.3. Su questo specifico punto, la corte capitolina ha optato per la soluzione negativa assumendo che la S., da mera assegnataria della casa coniugale, si è trasformata ella stessa, a seguito del successivo atto di cessione impugnato dalla curatela, in proprietaria dell’immobile. Pertanto ha proseguito – “…l’appellante principale non può sottrarsi alle conseguenze della declaratoria di inefficacia, L. Fall., ex art. 44, richiesta ed ottenuta dal Fallimento e, al contempo, invocare la reviviscenza del provvedimento interinale di assegnazione per tentare di paralizzare, almeno per un novennio, il rilascio dell’immobile diventato di sua proprietà. L’atto di cessione del 30.6.2011, infatti, non è nullo, ma inefficace nei confronti dei creditori del fallimento, e, quindi, non può rinascere retroattivamente, come ipotizzato dalla S., il provvedimento di assegnazione della casa coniugale di cui la stessa è ormai diventata proprietaria” (cfr. pag. 10-11 della sentenza impugnata).

3.4. Si tratta, però, di un’affermazione che non persuade.

3.4.1. Infatti, non viene certo qui in discussione l’effetto che quel rogito notarile del 30 giugno 2011 ha prodotto tra le parti (trasferimento alla S., già assegnataria della casa coniugale perchè ivi dimorante con il figlio minorenne, del diritto di proprietà sul medesimo appartamento), ma, esclusivamente, la sua inopponibilità alla massa dei creditori. In altri termini, posta la mera inefficacia (rectius: la inoperatività degli effetti traslativi di quell’atto, così da poter considerare il cespite che ne costituiva l’oggetto mai uscito dal patrimonio giuridico del fallito), L. Fall., ex art. 44, di detto trasferimento immobiliare, nei confronti del Fallimento non poteva che continuare a valere, in relazione al medesimo cespite, la concreta situazione giuridica ad esso preesistente: vale a dire la (certa, oltre che rimasta incontroversa in questa sede) esistenza, sullo stesso, del diritto al suo godimento, da parte della S., quale sua assegnataria in sede di separazione personale.

3.5. E’ noto, poi, che: i) per effetto della L. 19 maggio 1975, n. 151, l’assegnazione della casa nel giudizio di separazione personale è stata regolata dall’art. 155 c.c., comma 4, che ha disposto che l’abitazione in essa “spetta, di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”, comma dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte Cost. n. 454 del 27/7/1989 nella parte in cui non prevede la trascrizione del provvedimento ai fini dell’opponibilità ai terzi; ii) nel diverso ambito dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, della L. n. 898 del 1970, art. 6, nel testo novellato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, sancisce che “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.”; iii) la L. 8 febbraio 2006, n. 54, in materia di separazione dei genitori ed affidamento condiviso, ha introdotto l’art. 155-quater c.c., secondo il quale, tra l’altro – nella logica di un’adozione prevalente del nuovo modulo dell’affidamento dei figli ad entrambi i genitori – “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643” e ha esteso, con l’art. 4, il procedimento anche per la pronuncia dei provvedimenti che disciplinano le condizioni relative ai figli di genitori non coniugati; iv) successivamente, il D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154, in tema di revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ha abrogato l’art. 155-quater e ha trasferito il relativo contenuto disciplinare nell’art. 337-sexies c.c., il quale, giusta quanto disposto dall’art. 337-bis c.c., si applica anche ai casi di “separazione, scioglimento e cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori dal matrimonio”, benchè per lo scioglimento sopravviva comunque anche della L. n. 878 del 1970, art. 6.

3.6. Il quadro normativo ratione temporis vigente allorquando è intervenuta (nel maggio 2011) la separazione personale dei coniugi S. – R., con assegnazione della casa coniugale alla S., deve individuarsi in quello fissato dal già riportato art. 155-quater c.c., che, però, laddove aveva sancito che “Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’art. 2643”, altro non aveva fatto che recepire la disciplina del precedente art. 155 c.c., come integrata (proprio con riferimento all’esigenza di trascrizione del relativo provvedimento per la sua opponibilità ai terzi) dalla sentenza della Corte costituzionale n. 454 del 1989.

3.7. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, poi, e per quanto qui di stretto interesse: i) l’assegnazione della casa costituisce in capo all’assegnatario un diritto personale di godimento e non un diritto reale (cfr., ex multis, Cass. n. 11096 del 2002; Cass. n. 17843 del 2016; Cass. n. 1744 del 2018; Cass. n. 9990 del 2019); ii) ove la casa sia stata alienata, e ciò soltanto dopo l’assegnazione, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorchè non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni (cfr. Cass. n. 9990 del 2019; Cass. n. 1744 del 2018; Cass. n. 15367 del 2015, resa peraltro in materia cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, con principi, però, applicabili anche alla separazione); iii) l’opponibilità opera su un piano diverso dall’efficacia della pronuncia giudiziale di assegnazione, costituente il titolo in forza del quale il genitore, che non sia titolare in via esclusiva di un diritto reale o personale di godimento dell’immobile, acquisisce il diritto di occuparlo, di regola in quanto affidatario di figli minori o convivente con figli maggiorenni non economicamente autosufficienti senza loro colpa (cfr. Cass. n. 15367 del 2015).

3.8. Può considerarsi, dunque, ius receptum nella giurisprudenza di legittimità – già peraltro nella versione dell’art. 155 c.c., come integrata, proprio con riferimento all’esigenza di trascrizione del relativo provvedimento per la sua opponibilità ai terzi, dalla sentenza della Corte costituzionale n. 454 del 1989 – che l’opponibilità del previo provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge o al convivente affidatario di figli minori (o coabitante con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa), nei limiti del novennio, ove non trascritto, o anche oltre il novennio, ove trascritto, anche al terzo successivamente resosi acquirente dell’immobile, opera finchè perduri l’efficacia della pronuncia giudiziale; l’insussistenza del diritto – da qualificarsi personale di godimento – sul bene (di regola, perchè la prole sia stata ab origine, o sia successivamente divenuta, maggiorenne ed economicamente autosufficiente o comunque versi in colpa per il mancato raggiungimento dell’indipendenza economica), legittima il terzo acquirente a proporre un’ordinaria azione di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo e la condanna dell’occupante al pagamento di una indennità di occupazione illegittima (così Cass. n. 15367 del 2015, in massima).

3.9. In base a tale principio generale, dunque, la censura in esame va accolta perchè, una volta ritenuto improduttivo di effetti, nei confronti del Fallimento, l’atto traslativo del 30 giugno 2011, la già avvenuta assegnazione (rimasta incontroversa), in favore della S., della casa familiare – poi oggetto del predetto atto – aveva comunque determinato il sorgere, in capo alla stessa, di un diritto personale di godimento “sui generis”: diritto che, benchè non trascritto (pacificamente non essendo stato eseguita una tale formalità per la convenzione, di natura meramente obbligatoria, del 23 maggio 2011, che, in parte qua, aveva recepito la concordata assegnazione della casa coniugale alla odierna ricorrente), sarebbe stato comunque opponibile ai terzi (nella specie il sopravvenuto Fallimento del R.).

4. Venendo, poi, al ricorso incidentale di R.P., lo stesso deve essere dichiarato inammissibile alla stregua delle seguenti argomentazioni.

4.1. Questa Corte ha avuto modo più volte di ripetere che qualora un atto, anche se denominato controricorso, non contesti il ricorso principale ma aderisca ad esso, deve qualificarsi come ricorso incidentale di tipo adesivo, con conseguente inapplicabilità dell’art. 334 c.p.c., in tema di impugnazione incidentale tardiva; ciò non esclude che, nell’ipotesi di non contestazione del ricorso principale, quello incidentale possa contenere la richiesta di cassazione della sentenza impugnata per ragioni diverse da quelle fatte valere dalla parte ricorrente in via principale, bastando in tal caso che il medesimo abbia rispettato per la sua proposizione il termine di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1 (cfr. Cass. n. 26505 del 2009, richiamata, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 24155 del 2017. In senso analogo si vedano anche Cass. n. 21990 del 2015 e Cass. n. 5438 del 2018), o, il termine breve, ex art. 326 c.p.c., comma 1, posto che, nella specie, il R. ha affermato essergli stata notificata, l’11 marzo 2019, la sentenza impugnata.

4.2. In altri termini, le regole della impugnazione tardiva, in osservanza dell’art. 334 c.p.c., ed in base al combinato disposto degli artt. 370 e 371 c.p.c., operano esclusivamente per l’impugnazione incidentale in senso stretto, e cioè proveniente dalla parte contro la quale è stata proposta l’impugnazione principale, solo alla quale è consentito presentare ricorso nelle forme e nei termini di quello incidentale, per l’interesse a contraddire ed a presentare, contestualmente con il controricorso, l’eventuale ricorso incidentale anche tardivo. Invece, quando il ricorso di una parte abbia contenuto adesivo a quello principale, non trovano applicazione i termini e le forme del ricorso incidentale (tardivo), dovendo invece osservarsi la disciplina dettata dagli artt. 325-327 c.p.c., per il ricorso autonomo, cui è altrettanto soggetto qualsiasi ricorso successivo al primo, che abbia valenza d’impugnazione incidentale, qualora investa un capo della sentenza non impugnato con il ricorso principale o lo investa per motivi diversi da quelli fatti valere con il ricorso principale (cfr. Cass. n. 1120 del 2014; Cass. n. 20040 del 2015; Cass. n. 24155 del 2017).

4.3. Nel caso di specie (a nulla rilevando che l’impugnazione della S. sia stata proposta anche nei confronti di R.P.), non soltanto il ricorrente in via incidentale ha espressamente dichiarato di “non dover muovere alcuna opposizione ai motivi del ricorso proposto in via principale, considerandoli validi ed esaustivi e, pertanto, con espressa richiesta di loro accoglimento”, spiegando ulteriori motivi per i quali “la sentenza della Corte di appello di Roma va integralmente cassata” (così a pagina 5 del controricorso contenente il ricorsoqualificato incidentale), ma ha poi in effetti esposto, seppure con il richiamo a norme giuridiche diverse, argomenti non diretti contro la S., ma volti, piuttosto, ad ampliare l’impugnazione di quest’ultima.

4.3.1. Si tratta, pertanto, di controricorso contenente un ricorso incidentale sostanzialmente adesivo a quello principale, l’interesse alla proposizione del quale è sorto non già, neppure indirettamente, dalla proposizione del ricorso principale, bensì, con tutta evidenza, dalla pronunzia della sentenza.

4.4. A ciò resta soltanto da aggiungere che la sentenza impugnata è stata pronunciata il 6 marzo 2019, e, per stessa ammissione del R., notificata a quest’ultimo dal Fallimento odierno controricorrente, il successivo 11 marzo 2019, mentre il controricorso del R. è stato passato alla notifica solo il 19 giugno 2019 (cfr. in atti), allorquando il termine di cui all’art. 326 c.p.c., comma 1, era ormai spirato (il precedente 10 maggio 2019).

5. All’accoglimento del terzo motivo del ricorso della S. consegue la cassazione della sentenza impugnata; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può decidere nel merito, accogliendo il corrispondente motivo dell’appello proposto dall’odierna ricorrente principale e rigettando, in parziale riforma della sentenza di primo grado, la domanda di restituzione dell’immobile avanzata dal Fallimento.

5.1. Le spese di questo giudizio e quelle del doppio grado di merito fra la S. ed il Fallimento controricorrente vanno integralmente compensate in ragione della parziale, reciproca soccombenza; non v’è luogo, invece, alla liquidazione delle spese fra R.P. ed il medesimo Fallimento, che non ha svolto difese nei confronti del ricorrente incidentale.

5.2. Deve darsi atto, infine, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata sul ricorso incidentale del R., sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte sua, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proprio ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi del ricorso principale e ne accoglie il terzo; dichiara inammissibile il ricorso incidentale.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, in parziale riforma della sentenza di primo grado, rigetta la domanda di restituzione dell’immobile avanzata dal Fallimento.

Dichiara interamente compensate le spese del presente giudizio e quelle del doppio grado del giudizio di merito fra S.N.O., anche nella indicata qualità, ed il Fallimento controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di R.P., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il suo ricorso incidentale, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2021

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